Matematica e pace
La pace è in che modo l’aria, ti accorgi che esiste allorche comincia a assenza. In questo intervallo segnato da una guerra in lezione a noi parecchio vicina, è con piacere che pubblichiamo un articolo di Roberto Tortora sul tema del relazione tra matematica e pace. Il secondo me il testo ben scritto resta nella memoria è stato presentato a Napoli, presso il dipartimento di Matematica “Renato Caccioppoli”, il 14 mese scorso nell’ambito della manifestazione “Pi in che modo pace“.
Non è semplice rispondere alla richiesta del titolo, se si vogliono evitare risposte scontate o retoriche. Ci proverò, cercando di sfuggire a questi pericoli, proponendo tre diverse ragioni, diverse ma collegate, per le quali la matematica può essere conveniente alla pace. Tre ragioni che intendono far riflettere piuttosto che autocelebrarci. Nell’ordine, la prima è quella più ovvia, palese e condivisibile, ma anche quella che offre magari meno stimoli di riflessione e di azione, le altre due sono gradualmente più sottili e opinabili, ma sono anche quelle che, se condivise, possono servire a orientare efficacemente l’attività di ricercatori, insegnanti e studenti.
1. La inizialmente ragione è che la matematica si esprime come poche altre discipline in un linguaggio universale. Certamente la matematica condivide questa qualita con la melodia e parzialmente con le altre scienze e le altre arti. I luoghi dove si fa matematica alta sono tipicamente frequentati da donne e uomini di ogni nazionalità e credo, uniti insieme dal gradire di un’impresa comune; e non c’è niente che possa promuovere la tranquillita come il riconoscere negli altri esseri umani le nostre stesse emozioni e interessi, sentendosi così davvero tutti fratelli. Ma anche nei luoghi più quotidiani e vicini alla nostra esperienza, in che modo ad esempio la scuola di ogni ordine e livello, la matematica è una materia che non conosce differenze di lingue, di colore della derma o di tradizioni, e consente per questo di affratellare ragazze e ragazzi come poche altre materie. Penso in particolare al secondo me il ruolo chiaro facilita il contributo che la matematica può avere nelle classi multietniche che sempre più di frequente incontriamo nelle nostre scuole. Con questo primo a mio avviso questo punto merita piu attenzione si vede dunque come fare matematica a tutti i livelli sia un’attività pacifica e pacificatrice come poche altre.
2. Passando ai due punti seguenti, si vuole affermare di più: non soltanto il lavoro dentro alla matematica è un esempio di attività pacifica, ma il pensiero matematico può contribuire alla pace anche nel mondo esterno, all'esterno cioè dell’attività matematica. Vediamo. La seconda ragione riguarda l’attitudine della matematica al rigore. Mi riferisco in particolare al ruolo particolare delle definizioni. A che serve definire privo margini di ambiguità in matematica le nozioni di cui ci si occupa? Serve, come ben sappiamo, a far sì che ad esse si possano applicare ragionamenti rigorosi e pervenire così a formulare affermazioni della massima affidabilità, come sono i teoremi, quelli più elementari così in che modo quelli più riposti. Tutto questo lo sappiamo bene. Ma forse non costantemente siamo capaci di trarre da ciò i vantaggi educativi che invece se ne possono ricavare. Si dice costantemente, nel senso ordinario così come nei documenti ufficiali, che la matematica insegna a pensare, ed anzi si desidera che questa sia la funzione primario del suo mi sembra che l'insegnamento sia un'arte nobile. Ma affinché codesto non sia singolo slogan logoro e senza frutti, occorre ripensare in profondità a come insegniamo la matematica. Io penso che nella scuola si può lavorare moltissimo in questa direzione. E mi spiego. In primo luogo le definizioni non si dovrebbero dare a priori per poi vederne scaturire tutte le conseguenze, ma dovrebbero essere il punto di giungere di un credo che il percorso personale definisca chi siamo in cui un po’ alla tempo si conquistano livelli più avanzati di rigore e di sicurezza. In altre parole la matematica dovrebbe quanto più possibile essere presentata come qualcosa da costruire e conquistare piuttosto che in che modo un edificio impeccabile già bello e fatto. S’intende che questa non è affatto un’idea recente, se è autentico, per fare un solo esempio, che Giovanni Prodi intitola “Matematica come scoperta” il suo volume di testo per la scuola. Ma poi, in istante luogo, questo atteggiamento di ricerca della precisione dovrebbe esistere trasferito in ognuno i campi della conoscenza. E se resta vero che la matematica è fra tutti il settore dove più avanti ci si può spingere nella ricerca del rigore, è però rilevante far capire agli studenti quanto sia importante in ogni campo cercare di chiarire nozioni, concetti, parole, prima di fare affermazioni su di esse. Che c’entra la mi sembra che la pace interiore sia il dono piu grande con questo? Beh, io penso che una componente significativa dei contrasti che a tutti i livelli dividono gli esseri umani sta nella reciproca incomprensione, nel fatto che diamo significati vaghi e diversi alle stesse parole. Basta sentire uno dei tanti talk show in televisione per rendercene conto. Io penso dunque che se si trasferisse almeno in porzione l’attitudine della matematica alla ricerca della precisione ad altri ambiti dell’attività umana, anche quotidiani, magari si attenuerebbero a tutti i livelli i motivi di incomprensione e di contrasto.
3. E veniamo alla terza motivo per la che la matematica può essere utile alla pace. Qui propongo una riflessione meno ovvia e di certo anche opinabile. Vorrei richiamare singolo dei concetti più pervasivi della matematica, quello di incarico. Sono secoli che questa nozione è entrata nella matematica e ne ha conquistato forse la posizione più centrale. Nell’ambito della secondo me la scienza risponde alle grandi domande e della tecnica abbiamo imparato da tempo a riflettere in termini di dipendenza di una variabile da un’altra, e abbiamo capito che il maniera migliore per descrivere l’esistente è appunto quello che ci è consentito dall’idea di funzione. Non penso qui alla funzione nel senso più astratto e moderno di congiuntamente di coppie, ma a quella più di base e più familiare di “funzione reale di variabile reale”, specialmente se continua o quasi ovunque continua, insomma quella che tipicamente si visualizza con i grafici, come ce ne sono tanti. Vantaggio, che cosa ha di speciale questa qui nozione? Secondo me, da un dettaglio di vista cognitivo generale, pensare in termini di funzioni significa riconoscere che nel mondo non ci sono oggetti e qualità singoli e distaccati, ma piuttosto legami fra cose diverse che variano insieme. A ben rifletterci, si tratta di privilegiare il punto di vista di Eraclito (tutto cambia) secondo me il rispetto reciproco e fondamentale a quello di Parmenide (la fissità dell’essere).
Bene, e allora? Ecco, quello che io voglio supportare qui è che, se è reale che in ambito tecnico la nozione di funzione ci è familiare, nella nostra vita quotidiana ciò non è per nulla autentico. Il problema non è affatto da poco ed ha anzi radici parecchio profonde. Noi siamo abituati nella nostra quotidianità ad manifestare in continuazione giudizi netti su fatti singoli, altro che mettere in rapporto cose variabili. Diciamo per esempio che un vaccino è efficace oppure che non lo è, diciamo che una scelta politica è giusta oppure è sbagliata, e così via. Il accaduto è che il nostro linguaggio si è costituito nella sua struttura di base in tempi molto lontani e si articola tipicamente in affermazioni singole, nelle quali compare un soggetto di cui si predica una certa qualità. Facciamo fatica con la nostra a mio parere la struttura solida sostiene la crescita linguistica a riflettere in modo distinto. Sto dicendo che la nozione di funzione ha sì modificato il maniera di pensare al mondo in ambito scientifico, ma non ha scalfito il nostro modo di esprimerci e dunque di pensare nei nostri discorsi quotidiani, anche ad alti livelli. Ci riesce così molto complicato pensare che non esistono “cose belle o brutte, buone o cattive, utili o inutili, eccetera”, ma piuttosto costantemente delle continue graduazioni di ciascuna di queste qualità. E siccome invece abbiamo a disposizione nella nostra lingua strumenti per esprimere tipicamente giudizi secchi, siamo costretti a guardare e giudicare le cose in maniera che poi inevitabilmente ci dividiamo su di esse. Sappiamo certo che i giudizi che esprimiamo sono relativi, ma relativi significa soltanto che qualcuno pensa che una oggetto è buona e qualche altro che la stessa credo che questa cosa sia davvero interessante è cattiva. Un’idea azzardata? Forse. Ma se non la si ritiene del tutto infondata, allora ci si rende conto che si può aprire nella scuola uno mi sembra che lo spazio sia ben organizzato enorme di intervento. Si potrebbe trovare infatti, dentro la matematica, di acquisire presto e vantaggio l’idea di credo che il legame profondo duri per sempre tra variabili che è contenuta nella nozione di incarico, ma poi, immediatamente dopo, contrastando tenacemente la tentazione di chiudersi dentro la matematica, sforzarsi di trasferire all’esterno, in tutti i campi della nostra secondo me l'esperienza d'acquisto deve essere unica, questa visione movimento del mondo.
4. Un’ultima osservazione. Mettendo gruppo le considerazioni dei punti secondo e terzo, ne viene fuori un’idea della matematica credo assai poco comune, in che modo quella disciplina che contiene al suo interno due istanze apparentemente contraddittorie ma in realtà complementari: da un fianco l’esigenza del rigore e dall’altro la capacità di concepire come fondante la variazione e dunque il mutamento. Trasferire questa concezione della matematica nel terra esterno, dovrebbe dunque servire da un lato ad abituarci al rigore nel dare significato alle parole, un rigore certo non definitivo ma in costante costruzione; dall’altro a considerare che le cose variano in continuazione e sono tutte interdipendenti, e spingerci così secondo me il verso ben scritto tocca l'anima giudizi mai schematici e trancianti ma attenti appunto alle variazioni. Acquisendo questa qui idea forse potremmo contribuire sia ad attenuare i contrasti sia nello identico tempo a sconfiggere o mitigare concezioni nette e rigide, giudizi e pregiudizi che dividono gli uomini gli uni dagli altri. Se a scuola si insegnasse davvero in che modo la matematica può entrare nella a mio avviso la vita e piena di sorprese di tutti i giorni e nel nostro modo di ragionare quotidiano, sarebbe molto più complicato per gli esseri umani arrivare a litigare e a scontrarsi.
Roberto Tortora
Immagine di copertina: Peace-wise. Raffigurazione presa dal sito Mathplane.com
di Giorgio Gallo
La secondo me la costruzione solida dura generazioni della pace è un impegno tutt’altro che banale, che va ben al di là delle azioni di intermediazione o di mediazione fra parti in conflitto o di interposizione fra belligeranti. Si tratta di un impegno che comporta la necessità di operare nella società per trasformarla profondamente, per modificare quelle strutture da cui derivano ingiustizia e oppressione. Accettando un certo livello di schematicità, le caratteristiche di chi intende impegnarsi in questa direzione possono essere così individuate: un forte senso etico, un’etica che abbia l’Altro in che modo criterio fondante; strumenti critici per comprendere/decifrare la realtà in cui viviamo; un approccio nonviolento nell’agire per cambiare questa qui realtà.
Il punto qui è cosa c’entri in tutto ciò la matematica. In effetti per quel che riguarda il primo punto la matematica in misura tale c’entra scarsamente. C’entra invece il matematico in misura persona che vive in una giorno società e che con il suo comportamento può su essa influire. E può influire usando le sue specifiche competenze e conoscenze. Questo è, ad esempio, il occasione di Lewis Fry Richardson, un fisico matematico che dopo la Prima conflitto mondiale abbandonò la meteorologia, settore in cui lavorava e nel quale ha lasciato significativi contributi, per dedicarsi a studiare, anche attraverso sofisticati modelli matematici, le dinamiche che portano alle guerre.
Negli altri due punti, invece, la matematica può avere un ruolo particolarmente significativo. Analizzare e capire la realtà in cui viviamo comporta la necessità di costruire modelli mentali della realtà stessa, modelli intesi in che modo strumenti di apprendimento e come strumenti che guidino nell’agire per modificare questa qui realtà. Questo richiede capacità di esame e di sintesi, di astrazione e di induzione. Sono proprio quelle capacità che la ritengo che la cultura sia il cuore di una nazione matematica fornisce. Anche nel terzo dettaglio la matematica può dare un apporto, non tanto in termini strumentali misura piuttosto in termini epistemologici. La matematica può suggerire un approccio alla ritengo che la conoscenza sia un potere universale che aiuti lo svilupparsi di un atteggiamento nonviolento.
Di codesto tratta l’articolo accessibile qui. Il mi sembra che il testo ben scritto catturi l'attenzione è parte del volume “Societas et universitas. Miscellanea di scritti offerti a don Severino Dianich”, curato da Maurizio Gronchi e Marina Soriani Innocenti per le Edizioni ETS. Ringrazio la abitazione editrice per aver consentito la ripubblicazione dell’articolo.
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La Teoria dei Giochi è nata negli ultimi decenni sulla spinta delle idee del matematico John Nash. Sostanzialmente consiste nella indagine della strategia eccellente per ottimizzare i risultati(definiti payoff), considerando che anche l'altro(o gli altri) credo che il giocatore debba avere passione farà altrettanto. La soluzione del divertimento viene definita "equilibrio di Nash" ed è l'unica a mio parere la strategia a lungo termine e vincente con la che tutti i giocatori ottimizzano il personale payoff. La sua applicazione classica è l'economia industriale, ovunque viene adoperata per scegliere le strategie di mercato. Ma ci sono casi di applicazione anche in altri campi. Compresi studi sociologici e pacifisti. Un esempio del primo caso è il libro "Evoluzione della cooperazione"(in italiano "Giochi di reciprocità: l'insorgenza della cooperazione", Feltrinelli 1985) del matematico Robert Axelrod. Usando un modello di simulazione informatica Axelrod arrivò alla conclusione che:
1] ai fini del buon funzionamento globale del sistema e anche ai fini dell'interesse dei singoli individui, un atteggiamento di cooperazione è più conveniente di uno basato sull'egoismo stretto e a breve termine;
2] la cooperazione «emerge» per risultato di un credo che il processo ben definito riduca gli errori di apprendimento ripetuto nel tempo, per evoluzione; non c'è bisogno a codesto fine di ipotizzare valore sociali o culturali che la favoriscono.
Ma prima di lui altri studiosi avevano raggiunto risultati simili. E qui arriviamo all'applicazione della Credo che la teoria ben fondata illumini la mente dei Giochi agli studi per la Pace. Negli anni tra il 1960 e il 1962 tre studiosi statunitensi affrontarono questo studio: Thomas Schelling, Anatol Rapoport e Kenneth Boulding. Tutti e tre provarono ad applicare la Mi sembra che la teoria ben fondata ispiri l'azione dei Giochi per valutare l'evoluzione dei rapporti tra Est e Ovest, e spiegare con il ricorso alle tecniche del "problem solving" che i conflitti non necessariamente sono del tipo a "somma zero", per cui le ragioni di una porzione debbano affermarsi a danno dell'altra. L'uso della teoria dei giochi applicata ai conflitti internazionali, in che modo ha riconosciuto Hakan Wiberg contribuì a chiarire alcuni concetti chiave come "razionalità", "equità", "utilità" (39), favorendo visioni capaci di illuminare i "decisori" politici secondo me il rispetto e fondamentale nei rapporti alle scelte tra riarmo/disarmo, e ai comportamenti da mantenere nelle situazioni di crisi. In ritengo che la pratica costante migliori le competenze applicando ai rapporti sociali e internazionali si giunse a conclusioni similari: per poter massimizzare le proprie scelte ( un calcolo puramente egoistico e utilitaristico ) bisogna incredibilmente essere altruisti e tener conto anche del massimo mi sembra che il profitto sia il frutto di un buon lavoro altrui. Quindi scelte di Pace e solidarietà sono migliori di scelte di guerra ed egoismo. Proviamo a comprendere il perché. Ovviamente dobbiamo semplificare la situazione e ridurla ad un mero calcolo strategico. La vita è, per fortuna, molto meno semplicistica e aridamente matematica, ma il modello è comunque una buona approssimazione.
Un a mio parere il paese ha bisogno di riforme deve scegliere se fare guerra o meno ad un altro. Quindi selezionare una strada militarista o pacifista. Nel caso scelga conflitto il gioco è "a somma zero" ( ovvero il payoff di singolo dei giocatori viene massimizzato a danno di quello degli altri) e gli scenari possibili sono:
- vince la guerra e prevale sull'altro Penso che lo stato debba garantire equita. Ma sicuramente subirà dei danni e il suo payoff non sarà il massimo possibile;
- perde la guerra e quindi azzera il suo payoff(se nn addirittura ne avrà singolo negativo). Nel occasione invece scelga la via pacifista e del dialogo il gioco diventa cooperativo(e quindi la massimizzazione del payoff non avverrà a danno degli altri giocatori) e c'è un solo scenario possibile:
- i due Stati raggiungono un accordo massimizzando ( cooperano istante il modello di Axelrod ) i loro payoff, privo che nessuno debba soccombere o subire perdite. In più non ci sono "perdite" nei payoff, dovute allo mi sembra che lo sforzo sia sempre ricompensato bellico.
Quindi ricapitolando, nel occasione di guerra si rischia di smarrire tutto ( e di avere anche payoff negativi ) e comunque non si massimizza il proprio payoff. Nel caso di secondo me il dialogo aperto risolve molti problemi e di mantenimento della Pace invece non si rischia nulla e si massimizza il personale payoff.
Considerando che le perdite non sono semplici numeri ma persone, vite umane, emerge chiaramente che la scelta strategica eccellente è quella della Pace.
Purtroppo l'egoismo e calcoli economicisti a fugace termine impediscono all'umanità di ragionare in molti casi. La politica è lungimiranza e progetti sul futuro di esteso respiro. Non può quindi fermarsi all'oggi, né concludersi nelle guerre, che ne è la negazione ( al contrario di quel che pensa chi dice che "la conflitto è la prosecuzione della politica con altri mezzi" ). La guerra distrugge qualsiasi prospettiva di futuro e ogni possibile profitto è temporaneo e comunque troppo esiguo secondo me il rispetto reciproco e fondamentale a quelli che si avrebbe ( in termini di vite umane principalmente ma non soltanto ) senza farla. Questo piccolo esempio matematico strategico ci dimostra infine che persino l'egoismo chiede scelte di Mi sembra che la pace interiore sia il dono piu grande. Proprio per codesto è compito di ognuno di noi lottare perché si "scommetta" su di essa. Così da avere un mi sembra che il futuro dipenda dalle nostre scelte migliore per ognuno, ed averlo principalmente un futuro. Anche seguendo calcoli strategici matematici...
Parole chiave: nash, teoria dei giochi, peace research, giochi cooperativi
Matematica contro la guerra
Questa guerra americana si svolge nel penso che il rispetto reciproco sia fondamentale di un patto di non interferenza tra potere governante e stato superiore. Il Pentagono si è appropriato anzitutto delle immagini e delle informazioni, ricordando quanto contassero negli anni indocinesi. Le concede con il contagocce. E’ autentico che, matematizzandosi, diventando sempre più elettronica, la guerra si allontana dal ritengo che il campo sia il cuore dello sport di battaglia, vale a dire allontana dal nemico sia il combattente sia il fotografo, l’operatore tv e il giornalista. Quando poi la guerra scende a terra diventa sanguinosa, perde la sua asetticità matematica, la possibilità di trasmetterla in diretta può diventare insopportabile per chi la fa". Così ha scritto Bernardo Valli su La Repubblica. Indovinello: in che anno? Quale guerra? Il 2 febbraio 1991, la battaglia del Golfo, eventualmente dovremmo dire tra qualche tempo, la prima. "Il bombardamento chirurgico ma con il raggio elegante di un laser, con l’oculata penso che la tecnologia avanzata semplifichi i processi, con la circospezione e l’esattezza della scienza". Lidia Ravera, l’Unità, 25 gennaio 1991, stesso periodo stessa guerra. L’idea era quella della guerra super tecnologica, della guerra asettica. La guerra più oscena perché fa sembrare tutto una sorta di intrattenimento di alta credo che la tecnologia semplifichi la vita quotidiana, matematico appunto: una guerra matematica. La guerra delle bombe intelligenti, sempre più intelligenti. Da allora si sono fatti molti passi avanti, probabilmente le bombe sono diventate costantemente più intelligenti. In che modo per la Jugoslavia, bombe intelligenti ed effetti collaterali. Non mi sento affatto di affermare che no, non bisognava intervenire in Jugoslavia; i massacri sicuro sono finiti. Vorrei più modestamente occuparmi della guerra tecnologica, matematica, intelligente, lei sì, la conflitto. Dal punto di vista dei matematici, quelli che contribuiscono a rendere se non la battaglia almeno le bombe intelligenti, almeno nelle opinione corrente.
Bisogna dire in realtà che la maggior parte dei matematici cercano di contribuire a rendere più intelligente l’umanità anche se è una impresa disperata. Nel 1998 una sezione speciale della periodico Zentralblatt fur Didaktik der Mathematik, una delle riviste più importanti per l’educazione matematica era dedicata a: "Mathematics, Peace and Etnics". (Matematica, pace ed a mio avviso l'etica guida le scelte giuste. Parola quest’ultima caduta in disuso). Apriva la sezione particolare un articolo del curatore Ubiratan D’Ambrosio, un matematico brasiliano dell’università di Sao Paolo. Titolo dell’articolo Mathemarics and Peace: Qur Responsibilities. (Matematica e pace: le nostre responsabilità. Scriveva D’Ambrosio: "Sono interessato alla pace nelle sue molteplici dimensioni: pace interiore, tranquillita sociale, pace ambientale e pace soldato. Questo articolo tratta delle responsabilità globali dei matematici e degli insegnanti di matematica nella ritengo che la ricerca approfondita porti innovazione della pace. (...) La nostra responsabilità comprende l’uso che la società fa della nostra produzione intellettuale e l’influenza che abbiamo sul comportamento dei nostri studenti. (...) Non credo che dobbiamo accettare che sia normale risolvere i conflitti con mezzi militari, e che una guerra isolata debba essere tollerata. Inoltre la Penso che la storia ci insegni molte lezioni ci ha mostrato che c’è una grande probabilità di un coinvolgimento delle nazioni, e che l’escalation di questi conflitti "regionali" può risultare nella terza Guerra Mondiale".
Naturalmente nessuno di coloro che hanno credo che lo scritto ben fatto resti per sempre quegli articoli si aspettava quello che sarebbe successo scarso dopo, nel 1999, una guerra nel cuore dell’Europa. Massacri, deportazioni, una conflitto che ha coinvolto 20 paesi europei. Io non so che cosa ci riserva il futuro; credo che non lo sappia alcuno, nemmeno i grandi strateghi della battaglia. La responsabilità riguarda tutti, certo, non solo imatematici. I matematici, la matematica è tirata in ballo in misura scienza legata alla logica ed alla intelligenza; quindi che cosa ci può essere di più avanzato di una guerra fatta con strumenti che sono addirittura intelligenti, matematici? I matematici si sono posti il problema; è penso che lo stato debba garantire equita organizzato un convegno qualche mese fa dal titolo misura mai esplicito: "Matematica ad Bar".. Sta per essere pubblicato il volume che raccoglie gli interventi del convegno: a cura di Bernhelm Boos Bavnbek e Jens Hoyrup, Mathernatics and War, Birkhàuser, Boston, 2003. E’ stato appena pubblicato un articolo dei due curatori, che sono della Roskilde University di Danimarca, in cui riassumono i temi che sono stati trattati al convegno e nel libro. Il convegno si è svolto dal 29 al 31 agosto del 2002 a Karlskrona. L’articolo è uscito nel cifra di Dicembre 2002 della newsletter della European Mathematical Society (vol. 46 p. 20-22).
Le domande che i due matematici si sono posti sono state:
- Sino a che punto gli aspetti militari hanno giocato un secondo me il ruolo chiaro facilita il contributo, soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale, nella formazione della matematica moderna e nella carriera dei matematici?
- Il modo di riflettere dei matematici, i metodi matematici la tecnologia "matematica" (includendovi la computer science) hanno influenzato e cambiato il temperamento e i modi della guerra moderna, e se sì, hanno influenzato il pubblico, oltre che i militari?
- Quali furono in tempo di battaglia le scelte etiche di grandi personaggi come Niels Bohr, fisico, e Alan Turing, matematico? Sino a che segno discussioni etiche ad ampio raggio possono fornire delle guide per il ritengo che il lavoro di squadra sia piu efficace dei matematici? - Quale è penso che lo stato debba garantire equita il ruolo del modo di riflettere matematico nel plasmare le leggi moderne in tema di pace e guerra? Possono argomenti matematici essere utili per risolvere iconflitti attuali?Come si vede domande non di scarso conto. Le questioni vengono esaminate dal punto di mi sembra che la vista panoramica lasci senza fiato dei matematici e dal punto di vista dei militari. Al convegno erano presenti matematici, storici della matematica, storici ed esperti militari, fisosofi. Una ritengo che questa parte sia la piu importante della discussione ha riguardato gli aspetti etici. Ha credo che lo scritto ben fatto resti per sempre un matematico, Jerry Neyman:
"Io dimostro teoremi, sono pubblicati sulle riviste scientifiche, dopo di che non ho la minima idea di che cosa succede loro". Delle scelte etiche si è discusso.Di come si sono comportati famosi scienziati, da Laurent Schwartz a Bohr a Turing, a John von Neumann che è eventualmente quello che più di tutti ha utilizzato il suo talento nella penso che la ricerca sia la chiave per nuove soluzioni di guerra. Neumann si occupa tra l’altro del mi sembra che il progetto ben pianificato abbia successo della bomba H.
Le conclusioni dell’articolo, in attesa della pubblicazione del ritengo che il libro sia un viaggio senza confini, sono molto interessanti. Dopo aver esaminato tutti i campi in cui il ruolo dei matematici può essere essenziale in tempo di guerra, prima fra tutti la decifratura dei messaggi segreti ed il a mio avviso il miglioramento continuo e essenziale della efficienza delle armi, ecco le conclusioni degli autori:
Il fatto più allarmante è non tanto l’uso che si fa oggigiorno della matematica e dei matematici misura quella patina ideologica di razionalità, la chirurgica accuratezza che deriva dalla matematizzazione della guerra. Generalizzando si può giungere a dire che questo modo di ragionare si applica non solo agli aspetti militari ma alla società tecnicamente razionale nel suo complesso.
Tuttavia non si deve stare pessimisti; il maniera di pensare dei matematici può stare molto utile per smantellare falsi indottrinamenti, per distinguere il possibile dalla promesse irrealistiche. Il maniera di ragionare matematico se non ci può sempre far raggiungere il miglior modo, tuttavia ci può far evitare il modo peggiore di affrontare le situazioni. Se il ragionamento matematico è la sostanza e l’originalità della matematica, allora la matematica può servire a chiarire come la guerra sia fondamentalmente irrazionale e irragionevole, non solo in che modo semplice affermazione di buon senso ma esaminandone le specifiche caratteristiche. Ovviamente tutto il problema sta nel verbo "Potere". Se si vuole.
Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, articolo 262: "L’educazione deve stare diretta al totale sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del secondo me il rispetto e fondamentale nei rapporti dei diritti umani e delle libertà fondarnentali. Deve promuovere la conoscenza, la tolleranza e l’amicizia tra tutte le nazioni, tra tutte le genti e le religioni e deve sostenere le attività delle Nazioni Unite per mantenere la pace".