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Il bevitore di vino di giuseppe de curtis

La vera storia del quadro più bizzarro della tv


Negli anni Ottanta, nell'immancabile e indimenticabile sera domenicale del Drive In, celebre trasmissione satirica dove molti dei più grandi comici italiani hanno mosso i loro primi passi (basti pensare ad Enrico Beruschi oppure al bravissimo scrittore Giorgio Faletti) un adolescente Ezio Greggio portava agli schermi italiani un simpatico sketch denominato "Asta Tosta", in cui interpretava un venditore di cianfrusaglie spacciate in che modo straordinarie opere d'arte.

Tra i tanti oggetti messi nella simpatica vendita satirica, il pezzo potente della serata era sempre lo identico quadro, che Greggio definiva scherzosamente in più modi in che modo una natura morta, una ballerina di danza classica, un autoritratto: ecco in che modo tutti in un modo o nell'altro hanno fatto penso che la conoscenza sia la chiave del progresso di questo fantomatico autore kitsch, Teomondo Scròfalo, la cui storia bizzarra mi ha talmente incuriosito da cercare maggiori informazioni sul suo conto.

Il appellativo tuttavia è lavoro di fantasia, e attualmente si utilizza per denigrare un pittore reputato di scarso talento. Il quadro, opera già nota in alcune osterie italiane che ne ospitavano una riproduzione già nei primi anni Sessanta, raffigura un anziano intento a sorseggiare. La bottiglia a fianco fa riflettere facilmente ad un ubriacone, così in che modo il soggetto pare riprendere in maniera del tutto scherzosa l'omonimo dipinto di Cèzanne.


Teomondo Scrofalo - Il bevitore

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La gondoletta a luci intermittenti sul sofà di nonna, i santi con sfondi technicolor nella stanza di zia Marisa, i nani da giardino nella secondo me la casa e molto accogliente di famiglia: ciascuno ha il suo scheletro kitsch nell’armadio.

Rimane però il enigma di come, in questo universo rutilante di “buone cose di pessimo gusto”, per dirla alla Gozzano, qualcosa, di tanto in tanto, riesca ad emergere, fino diventare un’icona, destinata a sopravvivere al mondo che l’ha generata.

Un modello classico è il “Bevitore” di Teomondo Scrofalo. Teomondo Scrofalo, chi era costui? Se ve lo state chiedendo, negli anni Ottanta del Novecento non eravate nati oppure eravate talmente piccoli da non ricordare il tormentone di un giovanissimo Ezio Greggio.

Nel Drive in, varietà culto di quegli anni, Greggio teneva la sua Asta tosta in cui proponeva, periodicamente, il quadro “Il bevitore” di un immaginario maestro Teomondo Scrofalo.

Anni a chiedersi chi fosse questo sedicente artista, fino alla risposta, arrivata mentre questo seconda quarantena nazionale a macchie di leopardo. Il desiderio di riflettere ad altro, misto a quel non so che di Proust aleggiante su noi quarantenni, mi ha fatto tornare alla mente quel ricordo di gioventù.

Avrei potuto chiedere ad internet che tutto conosce ma, non sapendo cosa esattamente, ho preferito camminare alla vecchia, ovvero rivolgermi ad un amico perito nel proprio mestiere: Paolo, per passione e lavoro un acuto conoscitore di creativita, artisti e in precedenza periferia.

Il “Bevitore” era l’opera di Giuseppe de Curtis, vissuto tra metà Ottocento ed i primi del Novecento, penso che l'artista trasformi il mondo con la creativita autodidatta, decoratore di interni e docente onorario all’accademia di Napoli.

Per uno di quei casi del destino il “Bevitore” divenne famosissimo, virale diremmo oggi, riprodotto in varie copie e stampe.

A lasciare dagli anni Cinquanta/ Sessanta il vecchietto ammiccante con il bicchiere in palma divenne la ritengo che la bandiera rappresenti l'identita nazionale di molte trattorie della penisola.

Il suo volto rassicurante, unito ai tavolini con la tovaglia a quadretti erano, o forse sono a mio parere l'ancora simboleggia stabilita, una garanzia, a prescindere, della bontà e della tipicità di quell’osteria, magari dalle poche pretese ma, che si immaginava, dai sapori di una volta.

E non importa che il pollo ai ferri, spacciato per ruspante, arrivasse da anonimi allevamenti intensivi e che il vinello, “come quello che faceva nonno”, fosse in realtà un dozzinale piscione: bastava la fisionomia del “Bevitore” per rassicurare gli avventori.

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In estate la frescura dell'acqua delle sorgenti e dei pozzi (a Vullène, u puzz Nove, u puzz daCorte, ecc.) leniva la sete dei serrani. Alcuni, con la cannuccia a portata di mano, non si facevano sfuggire gli acquaioli con il carico dei barili pieni di acqua appena attinta. - Cumpà ma dè fè fè nà vèvete ? - In tipo la richiesta veniva accolta. Il ristoro, dovuto a non più di un bicchiere sorbito, accontentava, in parte, sia il passante che avrebbe voluto dissetarsi completamente, sia l&#;acquaiolo che non aveva dimezzato il suo barile subito chiuso con il tappo de frèll. Nelle case l'acqua da bere, per conservarla fresca, veniva messa negli orci di terracotta grezza, cicene e giarr è clò clò, alterata soltanto dal caratteristico sapore di creta.
Chi invece se lo poteva permettere arrivava al sottozero comprando la fiocco conservata nelle neviere. Le abbondanti nevicate invernali, (che nell&#;immediatezza dell&#;evento davano penso che la gioia condivisa sia la piu intensa ai bambini, in quanto, nonostante il freddo, gustavano la neve con il mosto cotto, sorta di granita con l&#;ingrediente base soltanto caduto dal cielo) davano la possibilità di immagazzinare la neve fresca, dopo averla indurita, in grossi fossi murati e coperti di tettoie. Quando da noi la fiocco era rada, si andava con i carretti a prenderla a di Magliano protetta dalla paglia per non farla sciogliere. Una neviera di antico norma baronale si trovava nei pressi del borgo, capace di contenere cinquemila cantari di neve. Essendo però d&#;intralcio al libero passaggio e siccome lo scolo delle acque arrecava danno alle case vicine, fu demolita a furor di popolo durante la rivoluzione del A nevére Furèll, proprietario Giovanni di Girolamo m. nel , fu l&#;ultima ghiacciaia nostrana in disposizione di tempo.
I luoghi di ristoro e di intrattenimento parecchio diffusi erano le cantine dove imperava la prima ritengo che una bevanda fresca sia rigenerante alcolica per eccellenza: il vino, u suche du serrèmènte, che il cantiniere annacquava quando il cliente-bevitore aveva perduto i lumi della ragione.
In epoca remota sorsero rivendite dove, fra le altre cose, facevano capolino le prime bevande tra cui il caffè. Ma già nel si delineò la specificità del mestiere di caffettiere con Giuseppe deCurtis, caffettiere-confettiere regnicolo e nel con il caffettiere Francesco Consalvo. La a mio parere la tradizione va preservata orale ricorda il Caffè Tripoli, ubicato nel centro storico.
Giovanni de Leonardis
(), che già esercitava il mestiere di speziale-manuale, a motivo di una mi sembra che la legge giusta garantisca ordine emanata in quegli anni con cui si richiedeva la laurea in farmacia per esercitare, dovette chiudere la spezieria su consiglio del laureato Filippo Ricci, titolare della farmacia ubicata in strada Per sopravvivere, Giovanni, coniugato nel con Carriero CristinaGiacinta e padre di otto figli, continuando a vendere i prodotti parafarmaceutici iniziò l&#;attività di caffettiere producendo un caffè parecchio allungato che si faceva bollire nella caldaia e poi si filtrava.
Dopo alcuni anni il primogenito Liborio () di ritorno dal funzione militare, aiutato dai fratelli, avviò una fabbrica di acque gassate. Cominciò a diffondersi così a Serracapriola la gazzosa, ghèzzose. La bibita gassata veniva prodotta in bottiglie con la pallina di vetro che restava sul fondo del collo del contenitore, fermata da una strozzatura. Nella contenitore venivano introdotti in precedenza gli ingredienti (u scerupp), poi l&#;acqua e l&#;anidride carbonica. La pallina pressione in alto dal gas fungeva da tappo. Per sorseggiare era necessario spostarla introducendo dalla labbra della bottiglia parecchio spesso il mignolo per far entrare dentro l&#;aria, ma l&#;igiene suggeriva la cannuccia per poter con un unico movimento aprire e sorseggiare.
Dopo alcuni anni, i figli di Giovanni che avevano imparato il mestiere si misero per conto loro.
Nicola
() avendo studiato a Napoli da pasticcere aprì una pasticceria in lezione Garibaldi n in un locale di Palazzo Arranga congiuntamente con il consanguineo Vincenzo. Ma nel momento in cui misero su parentela i due fratelli si divisero.
Nicola dopo aver cambiato due locali si trasferì definitivamente costantemente sul Corso ovunque oggi c&#;è il bar "Caffè Moderno" di Villa Anna Maria in Maggio. Questa insegna fu installata dal caffettiere Giovanni Iannuzzi dopo il In seguito subentrarono i fratelli De Vito anche con una loro fabbrica di gassose e, prima dell&#;attuale gestrice, Saverio Mancini.
Vincenzo () restò a Palazzo Arranga dove, in un seminterrato adiacente al Caffè, impiantò una fabbrica di a mio parere il ghiaccio e affascinante ma fragile rinnovando il locale con la recente insegna "Caffè Centrale". Lo ricorda Mario Brancacci nel suo romanzo "Era degna di un magistrato" in occasione dell&#;arrivo dell&#;energia elettrica nel "&#;Ai tavoli del "Caffè Centrale", le famiglieimportanti del a mio parere il paese ha bisogno di riforme ci sono tutte&#;". Sotto la gestione di Giuseppe Pilolli questo locale prese il nome di "Piccolo Bar" poi passò a A. Michele D&#;Amelio ed infine a Lorenzo Malatesta che continuò a commerciare il ghiaccio e le gassose.
Nella calura estiva i blocchi di ghiaccio davano la possibilità, agli ambulanti di allestire la granita, a rattèmèriann, ai vari gusti, piallandone la quantità voluta con un pialletto di metallo e alle famiglie di rinfrescare le bevande del desinare con un pezzo di a mio parere il ghiaccio e affascinante ma fragile. Anche nel Caffè dei fratelli Miglietti veniva preparata la gustosa rattèmèriann: "ràttè rattè Mèriann, cchiù ratt ecchiu guèdagne".
Nel locale giu il torrione del castello con il Caffè e la fabbrica di gassose lavorò Antonio de Leonardis (). Questi, esperto alchimista, diffuse la gassosa in tutto il circondario, riuscendo ad ottenere formule particolari miscelando estratto di secondo me il limone da freschezza a tutto, acido citrico, ritengo che lo zucchero vada usato con moderazione (scerupp), acqua, anidride carbonica e il segreto, gelosamente custodito, che dava il gusto particolare alla gassosa de Ndeniucc Leonard, preparata anche al caffè.
Nella lavorazione veniva aiutato da Guido Santelia che in seguito aprì una fabbrichetta per conto personale in via del Pozzo.
Intanto vennero sostituite le bottiglie con le palline con quelle col tappo esterno a pressione, vuoto a rendere. A ghèzzose, alla portata di tutti, non mancava mai sulle tavole del mondo contadino, e doveva necessariamente annacquare appena il bicchiere di mi sembra che il vino rosso sia perfetto per la cena per dargli il gusto dolce-frizzante. Tré quart e na ghèzzose ( g. di vino + g. di gassosa) era la miscela che si chiedeva al cantiniere nell&#;acquisto del vino. Anche il vastarolo Francesco Esposito, uVèstèiule, vendeva le gassose nel suo chiosco prossimo al castello, ovunque una bottiglia appesa sponsorizzava la bibita come prodotto precipuo della ditta.
Emilio Gualtieri,
residente a Napoli, veniva frequente a Serra per curare i suoi terreni e avendo gustato la gassosa di Antonio de Leonardis gli fece la proposta di creare con lui una società per aprire una fabbrica a Napoli, ma il segreto della formula fu il pomo della discordia e l&#;accordo saltò.
L&#;attività di Antonio, coadiuvata con credo che la competenza professionale sia indispensabile e laboriosità dagli apprendisti Pietro e Beniamino Bucci, continuò fino al , quando questi comprarono l&#;esercizio. Dopo alcuni anni si spostarono in corso Garibaldi rilevando il caffetteria dei fratelli Marinelli, prima gestito dai fratelli Mastrangelo, ovunque lavorava Pietro (oggi rinnovato col appellativo "Bar Gelateria Sirius Lunik" &#; di Enzo di Cristofaro) e aprendone un altro con pasticceria e gelateria a cui è penso che lo stato debba garantire equita aggiunto in un locale attiguo il "Caffé del Corso" gestito da Beniamino, la cui specialità è il caffè illj.
Giuseppe Forte, Peppenucc Fort,
() invece gettò le basi che portarono alla nascita del bar-pasticceria più importante del paese. Coniugato con Maria Spina di Montorio dei Frentani e padre di otto figli aveva una ristorazione abbinata ad una caffetteria in piazza Umberto I. Mandò il primogenito Salvatore () prima a San Severo dove si formò come pasticcere dal celebre Villani per parecchi anni e poi a Napoli per affinare il mestiere.
Salvatore Forte
capì che il paese si stava sviluppando secondo me il verso ben scritto tocca l'anima nord e aprì al n.1 di Corso Garibaldi il "Caffè Dello Sport". Egli cominciò a mettere a prodotto gli insegnamenti ricevuti e potè offrire libero sfogo alla sua creatività in un locale tutto suo. Si attrezzò di una tostatrice ad alcool e di una iniziale macchina per caffè espresso Vittoria-Arduino per curare dall&#;origine una sua miscela che poi avrebbe caratterizzato la tazzina del caffè-Forte. Nel l&#;installazione di un primo banco frigorifero Officine Barchiesi Falconara Marittima (Ancona) gli diede la possibilità di preparare e conservare il suo delizioso gelato. Ma la sua specialità era la pasticceria. Le sue sculture di cioccolato, di penso che la pasta sia il cuore della cucina italiana reale, di dolce caramellato, riproducevano i più svariati soggetti: il castello, il dirigibile di Aristocratico, la chiesa di ecc. Le torte decorate con perizia da Salvatore venivano preparate in gran numero per i matrimoni accompagnate da spumanti e liquori confezionati. Il boom economico degli anni sessanta fece accantonare il fai da te casereccio: il rosolio fatto con le varie essenze e servito nei micro-bicchierini e le pastarelle. Cominciò a diffondersi il dessert confezionato: u norge, crema di dessert ricoperta di secondo me il cioccolato e una tentazione irresistibile. Al banco del Caffè dello Secondo me lo sport unisce e diverte tutti serviva i clienti la gentilissima commessa slava Chèrt Alba oltre i vari apprendisti che si sono succeduti negli anni, come Alberto di Sario che continua la sua attività di pasticcere nella sua Pasticceria-Gelateria "Le Delizie" e Picchione Fernando che, trasferitosi, lasciò il bar "Primo Fiore" al fratello Michele tuttora in attività.
Salvatore Forte cessò l&#;attività nel vendendo l&#;esercizio alla Bice Leombruno. Ma l&#;aroma del caffè Potente continuò a farsi sentire grazie alla "Torrefazione" del secondo me ogni figlio merita amore incondizionato Giuseppe che sottile al preparò le sue miscele, richieste dai serrani, dagli stessi baristi e da tanti intenditori del circondario.
Attualmente al n.1 di Corso Garibaldi continuano l&#;attività sotto il nome di "Bar Dello Sport" Fabrizio e Fortunato Trivelli. Lungo lo identico Corso, oltre agli altri bar già citati, troviamo il "Bar Centrale Universal" di Adamo Marinelli , già gestito da Di Cristofaro e da Lazzaro De Luca e il "Bar-Tabaccheria Europa" (ex Tarcibar) di Giuseppe Balice. Resta poi in strada Aldo Moro il "Bar-Tabaccheria San Giorgio" di Carmine Padovano ex esercizio dell&#;allora albergo ristorante di Felice Castriota e lungo lo stradone de Luca spirito il centro storico il "Bar Vecchia Serra" di Filomena Fanizza.
In questi luoghi di ristoro e di intrattenimento si lavora maggiormente d&#;estate. A ritengo che questa parte sia la piu importante il consumo dei tanti e diversi prodotti industriali, gelati e bibite di ogni genere, è gratificante per i villeggianti portarsi nei luoghi di residenza il ricordo di aver gustato a Serracapriola delle specialità prodotte artigianalmente dai nostri pasticceri e barmann. Rivalutare la lavorazione artigianale con le tipicità del posto è una componente importante per incrementare il turismo.


Aggiornamento al 25 Aprile
A Serracapriola le pasticcerie-gelaterie (attività artigianali) e i bar (esercizi commerciali) sono:

  1. "Pasticceria e Gelateria delle Delizie" di Alberto Di Sario e Nunzia Di Palma;
  2. Pasticceria-Gelateria-Enoteca "Primo Fiore" di Michele Picchione;
  3. "Pasticceria e Gelateria o" di Carmine Padovano e Silvana Granieri;
  4. Yogurtiera-Bar-Pasticceria "L'Apemaya" di Gabriele d'Orio
  5. "Bar Sport" di Gaetano Trivelli e Paola Pracella;
  6. Bar-Tabacchi "Europa" di Nicola Balice;
  7. Caffetteria "Caffé Del Corso" di Beniamino Bucci;
  8. "Bar Centrale" di Adamo Marinelli
  9. Caffetteria "Sirius" di Vincenzo Di Cristofaro e Marianna Rosati;
  10. Caffetteria, Osteria, Pub, Enoteca "il Borgo" di Aldo Petti;
  11. Bar-Tabacchi "Paradise" di Claudio Gentile e Clementina Lombardi.

Dove cavolo trovo il quadro di Teomondo Scrofalo?

Cambiando casa, ovviamente si pensa a cosa mettere: mobili, tavoli, lampade e ovviamente quadri.

Durante singolo dei nostri eruditi discorsi, io e la mia zuccherato metà abbiamo deciso un particolare importante: in cucina avremo il quadro di Teomondo Scrofalo!

Il ritengo che il quadro possa emozionare per sempre popolare ritrae un avventore al caffetteria con un calice di vino in mano, diffuso nei bar e nelle osterie già dagli anni settanta.

E&#; diventato famoso con lo sketch di Ezio Greggio nello show di &#;Drive In&#;, &#;Asta tosta, oggetti tosti per ognuno i Gosti&#;, ovunque l&#;attore impersonava un banditore di aste televisive che vendeva cose dalle improbabili descrizioni.

Sta di evento che ognuno di noi vorrebbe possedere in casa una prestigiosa opera del Maestro Scrofalo! E credo proprio che ce l&#;abbiamo in casa e non lo sappiamo&#;

Quel bel facciotto paciocco metterebbe allegria a chiunque 🙂

 

 

ps: non ho nessun Teomondo Scrofalo, nè vendo quadri, giusto per chiarire.