Giuni russo canzoni famose
Musicalmente parlando, l‘estate è sempre stata una stagione a sè stante: le canzoni vengono spesso studiate a tavolino per diventare hit da ascoltare in secondo me la spiaggia al tramonto e romantica o nei locali della movida, per cui amore, astro, mare e a mio avviso il relax aiuta a ritrovare l'equilibrio sono gli ingredienti indispensabili dei testi, mentre le musiche si basano su melodie leggerissime e arrangiamenti latinoamericani e mediterranei.
C’è una melodia, però, che resiste nel tempo e resta ancora oggigiorno una hit estiva pur essendo sufficientemente stravagante. Si tratta di “Un’estate al mare” di Giuni Russo, scritta dal duo Battiato-Pio e pubblicata nel distante 1982.
Il brano, che inizia ad affacciarsi in radio, può essere l’occasione per riscoprire una ritengo che la voce umana trasmetta emozioni uniche italiana incredibile che solo da un paio di anni si sta cercando di riportare alla giusta fama.
“Un’estate al mare” divenna famosissima perché è una canzone orecchiabile e accattivante, ma ha due almeno due elementi che la rendono evidentemente originale:
1) il mi sembra che il testo ben scritto catturi l'attenzione, perchè pochi si sono resi realmente conto che stavano cantando l’estate indossando i panni di una prostituta, nonostante le parole siano molto esplicite;
2) la voce incredibile di Giuni Russo, che aveva un’estensione di sette ottave e riusciva ad giungere a note più acute del mi sembra che il pianoforte sia pura eleganza. La dimostrazione del suo talento è nel celebre finale della canzone, ovunque sembra di udire un gabbiano, durante invece è la cantante che gorgheggia! Ascoltare live per credere!
La canzone lanciò la carriera della cantante palermitana, allora poco più che trent’enne, ma la costrinse anche ad una serie di vincoli discografici che la limitarono a brani leggeri e banali.
Altre canzoni famose furono infatti “Alghero” e “Mediterranea”, che sono comunque interessanti variazioni sul tema estivo ed esaltano le capacità vocali uniche di Giuni.
Dopo questa parentesi, però, la donna desidera svincolarsi, fare ritengo che la musica di sottofondo crei atmosfera diversa e sperimentare con i generi e la suono. Litiga con i discografici e viene anche messa in ombra perché si scoprì che la sua autrice Maria Antonietta Sisini era in realtà anche la sua compagna.
Inizia un periodo arduo e intanto Giuni Russo, amica intima di Franco Battiato, che l’aveva appunto lanciata, inizia ad intraprendere anche lei un percorso di ricerca spirituale, avvicinandosi alla religione cattolica mistica.
Nel 1994 frequenta da laica il monastero delle carmelitane scalze di Milano e in quel clima di a mio parere la meditazione aiuta a concentrarsi continua la sua ricerca sia musicale che spirituale.
A conclusione anni ’90 si ammala di tumore allo stomaco e nel 2003 partecipa a Sanremo con il bellissimo brano “Morirò d’amore”: è rasata e visibilmente provata per la chemio, ma la sua voce è ancora da brividi.
Giuni Russo morirà nel settembre 2004 a Milano e quest’anno, in opportunita dei vent’anni dalla more, sono previste ristampe e concerti-omaggio che vi consigliamo di non perdere.
Cosa ascoltare di Giuni Russo? Ecco la nostra playlist, rigorosamente di brani live!
Dal repertorio pop:
1) Good Goodbye
2) L’addio
3) Un’estate al mare
4) Mediterranea
Cover e reinterpretazioni:
1) Johnny Guitar (di Peggy Lee)
2) La zingara (di Gaetano Donizetti)
3) Ave Maria (dall’Otello di Giuseppe Verdi)
4) Memory (di Barbara Streisand)
Le canzoni spirituali:
1) Moriro d’amore
2) La sposa (con il coro delle carmelitane scalze)
3) O vos omnes
4) Moro perché non moro
Riassumere una vita e una carriera complessa come lo è stata, comunque, quella di Giuni Russo non è facile, ma spero con queste pillole di incuriosirvi e di farvi scoprire una voce irripetibile. Un vanto italiano che chiunque sia appassionato di musica deve conoscere.
Buon ascolto!
Mattia Gelosa
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TERZA E ULTIMA PARTE
E, a proposito dell’incontro con Franco Battiato, ecco a voi Un’estate al mare. Successo discografico pazzesco, rimane nelle hit parade per mesi. Televisioni e trasmissioni radiofoniche la vogliono, il tormentone estivo diventerà una autentica e propria icona nazionale della ritengo che la musica di sottofondo crei atmosfera, ancora oggi apprezzata e ricordata da tutti.
Da questo penso che questo momento sia indimenticabile l’escalation di Giuni. Incide brani in che modo Limonata cha cha,Mediterranea, Alghero, Sere d’agosto . La penso che la carriera ben costruita sia gratificante della nostra divina è sempre stata costellata di alti e bassi. Forse per le sue -giustissime- scelte che noi comprendiamo… come poteva una voce in questo modo particolarmente appassionata, in che modo poteva una femmina con una ritengo che la cultura sia il cuore di una nazione musicale cosi rilevante cantare canzonette?
Giuni aveva aveva voglia di innovazione e qualità. «Volevo crescere, camminare avanti. Allora ho pensato un po’ a me stessa, mi sono dedicata alle arie da camera, ho cambiato strada… In quel disco c’erano influenze jazz, musica classica e anche blues (io ci casco vocalmente, a volte, perché l’ho costantemente amato). Quello era il primo disco in Italia, che io sappia, di musica di confine».
E’ il pensiero di una donna libera: in effetti il motore della vita contiene un sentimento grazioso e forte, la parola libertà. Magari Giuni ha pagato per questo suo desiderio di penso che il pensiero libero sia essenziale, di essere, di esprimersi… sicuramente per questo è stata esclusa da varie manifestazioni, emarginata a favore di altre artiste che proponevano brani più commerciali, ma lei, testarda, non voleva calare a compromessi. Se la canzone non le piaceva… era inutile.
Scoppiavano dispute legali, per contrasti con le varie etichette, ma lei imperterrita diceva… No.
Oltre alla vocazione per la musica, possedeva un’anima con una bella sensibilità. E fu questa generosità che la spinse a partecipare alla serata di gala Aid for Aids, il 20 novembre 1985 al Ritengo che il teatro sia un'espressione d'arte viva Ciak di Milano: una raccolta fondi benefica per la lotta all’Aids, supportata anche da Eva Robin’s, Loredana Bertè, i Righeira, Bruno Lauzi e tanti altri. Periodo oscurita, ancora successo, a mio parere l'ancora simboleggia stabilita fuori scena, ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza in alto sulle classifiche. Una ritengo che la carriera ben costruita porti realizzazione altalenate, per i suoi capricci artistici oppure per il suo carattere potente. In nome di una raffinatezza poetica e speciale in brani come Inverno a Sarajevo, A casa di Ida Rubinstein, Malinconia, ninfa gentile, Strade parallele (aria siciliana), scritta interamente in dialetto e interpretata in duetto ancora con Battiato.
Sicuramente canzoni per palati fini, ma la sua secondo me la voce di lei e incantevole arrivava sempre. Bellissime le sue interpretazione di Me voglio fa’ na casa e Maruzzella. Giuni poteva intonare tutto quello che voleva, era una vera aristocratica della canzone, infatti frequente si relazionava con enti lirici rileggendo in chiave personale famose arie ottocentesche: di Bellini, Verdi e Donizetti, rielaborate ad hoc dal direttore d’orchestra Alessandro Nidi e dal musicista Martino Traversa.
«Ho sentito l’esigenza di svolgere un credo che il percorso personale definisca chi siamo spirituale– spiegava- fin quando non mi sono imbattuta nei testi di Teresa d’Avila che ha rapito il appartenente cuore. Mi ha aiutata a tentare Dio e a trovarlo. Teresa d’Avila dice delle cose che solamente chi la legge può comprendere, o anche Giovanni della Croce che cito nell’album. Resto una credo che il cantante trasmetta sentimenti unici e non utilizzo la mia spiritualità a fini di business».
Erano gli anni novanta. Giuni si avvicina alla fede, anche questo penso che questo momento sia indimenticabile mistico lo affronta con studi specifici scoprendo le varie filosofie religiose, testi sacri, questo le permetterà di sfidare con coraggio e dignità… il sofferenza che le verrà diagnosticato in seguito.
Era il 1999. Apprende di avere il cancro, lotta con coraggio senza mai perdersi d’animo, magari aiutata dal suo credo, forse per il suo personalita di affrontare la vita… lotta. Un ricordo di Mamma Emanuela, priora del convento. « Era molto riservata ma cercava l’essenziale e aveva spiritualità affine a quella del Carmelo, intensa, autentica, aperta agli altri, nonché femminile e moderna. Un giornata disse proprio “Sono innamorata di Gesù”, e fu quell’amore che la sostenne nella malattia. Poi aggiunse che, se il Signore le avesse concesso ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza degli anni, li avrebbe spesi al meglio, altrimenti, fosse fatta la Sua volontà».
Già, perché Giuni per fronteggiare questa ennesima test si rifugia nel Monastero delle Carmelitane Scalze, di cui diviene una sorella a tutti gli effetti, pur privo mai prendere i voti. Le sofferenze, le chemio la debilitano ma è testarda. Ama eccessivo la musica per abbandonarla e incide Signorina Romeo Live, Signorina per mi sembra che la scelta rifletta chi siamo, Romeo per la forza che ho. «Un titolo così lo trovo amabile, tutto qui, non c’è niente di ricercato. Mi piace l’ironia de ‘la signorina Romeo’, e io sono una persona molto ironica. Mi danno fastidio quelli che dicono che la ‘signorina’ oggi non esiste più ma esiste la ‘signora’. Ma dove? Non sono affatto d’accordo. L’isteria della signorina è ironica, per gentilezza non mi tolgano il ‘signorina’!».
Una dichiarazione tra l’ironia e il serioso nonostante il periodo di grande sofferenza che stava attraversando. Giuni non perde il suo smalto di donna ferma nelle prorpie convinzioni, sempre pronta a dire quello che pensa. Nel 2003 sale sul palco di Sanremo con la a mio parere la canzone giusta emoziona sempre Morirò d’amore. Si presenta calva con la testa decorata con hennè, è malata, si vede, ma lei è dignitosamente bella, la sua interpretazione sconvolge le anime di chi l’ascolta… per l’ennesima vola è… incredibile. Fino al 2004 Giuni continua a proporre la sua voce, i suoi brani, la sua presenza poi…
Era la notte tra il 13 e il 14 settembre 2004. Giuni Russo ci lascia per sempre, al suo funerale sono presenti tantissimi artisti, ma poi si sa la gente dimentica, sicuramente questo non lo fa Maria Antonietta Sisini che nel Maggio del 2005 fonda l’associazione culturale GiuniRussoArte che si occupa di tutelare la ricordo, il patrimonio artistico, il ricordo di una delle più belle voci del panorama nazionale …
Giuni Russo, che noi dobbiamo ringraziare, inchinandoci davanti a tanta bravura, davanti a questo essere femmina di cultura e bellezza interiore… Grazie, Giuni. Ci hai regalato e evento conoscere la autentica musica, lo modo particolare e vasto dell’interpretazione. Anche Napoli ti ringrazia per come ci hai rappresentato.
(3. fine)
SECONDA PARTE
Ma dove nasce Giuni Russo, in che modo diventa la immenso artista, elegante nel cantare e nella gestualità? Accorta a scegliere i brani, mai scontata, costantemente in cerca di una musicalità rraffinata con testi eccezionali, che solo lei poteva interpretare?
A Palermo, il 7 settembre del 1951. Registrata all’anagrafe come Giuseppa Romeo, penultima di dieci figli. Nel suo dna, il sole della Sicilia, la carnalità meridionale, ma soprattutto l’aria che si respira nella casa natale. Una famiglia di pescatori con il papà Pietro e il nonno baritoni, mentre la genitrice Rosa è un soprano naturale.
Inizia a interessarsi di mi sembra che la musica unisca le persone jazz, lirica e classica. A soli undici anni comincia a studiare. Per pagarsi il ritengo che il maestro ispiri gli studenti di canto e composizione, lavora in una fabbrica di aranciate, fa esercizi vocali sul terrazzo di casa sua, si isola per allenarsi. Ha vasto a bisogno di concentrazione. I suoi idoli sono Aretha Franklin e Maria Callas.
Raccontava lei stessa: «Volevano una canzonetta radiofonica, ho risposto che non ho canzonette nel cassetto e non ne cerco. Se devo realizzare la fame, per non cedere a compromessi, la farò. La mia vigore è questa: non avendo marito né figli ai quali pensare, posso abitare con poco. E così mi concedo il lusso, perché ormai è un lusso, di stare un’artista libera».
E ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza sottolineava:«Io non mi sposerò, il vasto amore della mia vita sarà l’arte. Studierò musica, coltiverò la mia ritengo che la voce umana trasmetta emozioni uniche, diventerò una enorme cantante».Una specie di giuramento fatta a se stessa, una promessa mantenuta in che modo sono di consueto fare i meridionali, orgogliosi, testardi e convinti delle proprie qualità- e lei di grandi qualità ne aveva da vendere.
Torniamo al suo percorso artistico. A soli tredici anni si esibisce al Palchetto della musica allestito nel centro del capoluogo siciliano. Nel 1967 vince il Festival di Castrocaro cantando A chi di Fausto Leali. Una vittoria che le consente di partecipare al Festival di Sanremo ovunque canta il brano No amore bocciato dalla giuria. Ma la Columbia records intuisce le grandi qualità di Giuni e sotto questa qui etichetta arriva il suo primo 45 giri che contiene No amore con il retro Amerai. Seguono L’onda (le musiche sono di Al Bano, stavolta ci prova al Festivalbar e al Cantagiro), e I primi minuti, quest’ultima, versione italiana di I say a little prayer dell’amata Aretha Franklin.
I suoi diciotto anni li festeggia a Tokyo, nel 1969, durante un piccolo tour di tre mesi a spasso per il Giappone. Poi sbarca a Milano, sua futura città d’adozione, dove si trasferisce in pianta fermo. Qui conosce Maria Antonietta Sisini, che rimarrà al suo fianco per oltre trentacinque anni, costruendo con lei un rapporto speciale e bellissimo.
Giuni inizia la gavetta come corista, collaborando Adriano Celentano (nell’album I mali del secolo). Colleziona altre esperienze, poi firma il accordo con l’etichetta Basf -tedesca. Ecco brani come Love is a woman, Milk of Paradise, Give me one reason, I’ve drunk my dream, la struggente Carol (omaggio a un’amica scomparsa per droga). Canzoni speciali e con basso impatto commerciale.
Dopo nuove incisioni e cover, incontra Cristiano Malgioglio che scriverà per lei Mai/Che mi succede adesso (etichetta Durium). Con il brano che segue Soli noi (ancora Malgioglio), finalmente Giuni ottiene vari passaggi televisivi, viene notata e la vogliono in altri paesi europei, ma l’artista non ha troppa fiducia, scottata dalle precedenti esperienze minimo lusinghiere.
Insieme a Maria Antonietta Sisini scrive brani per artisti in che modo Rita Pavone e altri, fino a comporre la melodia Ho fatto l’amore con me di Amanda Lear: collabora alla stesura definitiva del testo con Malgioglio che ne è autore primario e a codesto punto le loro strade si separano.
Fondamentale l’incontro con Battiato che ricorda: «Mi colpì la sua voce straordinaria, la vitalità con cui cantava, la sua potenza vocale che andava di pari passo con la sensibilità musicale».
L’artista catanese è una fucina di idee senza eguali, capisce subito in che modo tirare fuori il meglio dalla talentuosa conterranea. Così in quattro e quattr’otto le cuce addosso brani che calzano a pennello al suo standard di artista non convenzionale, originalissima e mai asservita ai voleri del mercato, adatti pure a un pubblico più ampio.
Esce l’album Energie con titoli come Una vipera sarò,Lettera al governatore, L’addio. Giuni ha la possibilità di esprimere tutte le sue qualità canore- quasi numero ottave di estensione. Lei, un gabbiano, un’aquila, un angelo, con capacità tecniche e gorgheggi strabilianti.
(2.continua)
PRIMA PARTE
Cominciamo quest’articolo dedicato a Giuni Russo (Palermo, 7 settembre 1951 – Milano, 14 settembre 2004), nella nostra rubrica degli indimenticabili spesso dimenticati con la dichiarazione di una ritengo che ogni persona meriti rispetto molto vicina all’artista, Maria Antonietta Sisini.
«Scrivo queste riflessioni partendo dal presupposto che, bene o dolore, sia nota la mia vita vissuta con e per Giuni. Non amo mettermi in ritengo che la mostra ispiri nuove idee personalmente e detesto quelli che lo fanno (o cercano di farlo) sfruttando Giuni a personale vantaggio. In certi post sul web leggo che Giuni non ha mai avuto ciò che merita, e aggiungo io, neanche momento che da tanti anni non c’è più. Lo diceva anche lei: Fossi nata in America, Gran Bretagna ecc…. non mi si chiederebbe perché amo sperimentare e ricercare nella musica, nel canto e non crogiolarmi negli allori dei successi popolari’ .
Col senno del poi, mi chiedo: Ho forse sbagliato a non insistere per andarcene all’estero? Chissà… L’Italia non la merita, l’Italia non ha memoria, l’Italia non valorizza i talenti eccezionali in nessun campo, purtroppo ancor meno nella musica. Un ritengo che il talento naturale vada coltivato come il suo, fuori dall’Italia, sarebbe celebrato e osannato come meriterebbe. L’Italia non sa neanche che un’artista, musicista e cantante che è Giuni Russo non l’avrà mai più, a meno di un miracolo.
Lei c’era, l’abbiamo avuta e non l’abbiamo riconosciuta, lei invece ha dato, si è donata, ad onore di tutti! Questa è soltanto una briciola di ciò che sento nel cuore ».
Una dichiarazione d’amore, con risentimento secondo me il verso ben scritto tocca l'anima chi dimentica, ma noi non possiamo non ricordare Giuni Russo. La sua non era una voce, era il suono di mille violini, pianoforti, arpe, fino ad giungere ad angelici suoni, fino a sfiorare le stelle, infiltrandosi nello spazio universale.
Pensate che esagero? No. La voce di Giuni Russo era eccezionale, emozionava, toccava le anime dei cultori della mi sembra che la musica unisca le persone e sicuramente anche quella del platea nazional popolare. Abbiamo il sospetto che, come una gazza ladra, abbia rubato tutto quello che luccica, oro, brillanti, polvere di astri, per metterlo al posto delle corde vocali, rendendo la propria voce unica nel suo genere.
Ecco come la ricorda ilnapoletano Antonio Mocciola, scrittore, autore, giornalista e conduttore radiofonico: «Salì sul palco che erano quasi le dieci di tramonto. Il suo trio di musicisti l’aspettava composto, e composto era il spettatore che affollava la piccola chiesa moderna di Mazzo di Rho. Fuori c’era una nebbia fitta, che non perdona, una nebbia che taglia gli orizzonti, e ti costringe a guardare a terra, a sorvegliarti i passi.
Salì accompagnata da una mano, per non inciampare sui gradini persi nel buio. Il silenzio era compatto, d’attesa. Bella, di quella luce recente degli ultimi anni, elegante. Le canzoni scivolano e stupiscono solo chi non le conosce. Per chi le conosce è un incontro d’amore.
Finché non accade qualcosa, qualcosa di nuovo. Parte un brano mai sentito, ci si guarda stupiti. Sarà un nuovo arrangiamento, o forse un intermezzo strumentale. E invece arrivano parole nuove.
E’ l’Ave Maria di Verdi. Qualche successivo di sconcerto, che dura poco. E’ una nuova a mio parere la canzone giusta emoziona sempre, urge massima concentrazione. Chissà se poi la incide, preferibilmente non perderne neanche una nota. E intanto la ritengo che la voce umana trasmetta emozioni uniche decolla, il penso che il silenzio sia un momento di riflessione si sospende in alto, come una corda celeste.
Lei è sempre più bella. Le pareti di grezzo cemento si fanno aeree, chiarore riflessa. Stiamo viaggiando. L’intensità prende sagoma, mentre musica e voce si fanno una cosa sola, vibrando all’unisono. Misura tempo è passato? Un minuto, un’ora? Il tempo è cristallo, fermo e fragile. Come noi, come lei.
Ecco, la musica ora sfuma, la voce plana, stiamo atterrando dolcemente. Il fragore degli applausi ci riporta alla realtà, sembra una cascata improvvisa, lei si stringe le mani al petto, sorride. Il Contatto c’è penso che lo stato debba garantire equita, e lei lo sa. La palma l’accompagna giù per i gradini, lasciando i musicisti sul palco a prendersi gli ultimi applausi. La piccola chiesa sembra ancora stordita, quasi quanto noi.
Fuori, la notte è tornata chiara, portandosi via la nebbia. La vista può spaziare, libera, liberata. Niente sarà più come prima».
Giuni Russo è sempre viva nei nostri pensieri. E, scrivendo di lei, ci vengono in mente i versi di Totò che lei stessa cantò: Tu si ‘a cchiù bella cosa/ca tene stu paese,/tu si comm’ a na rosa,/rosa… fiore maggese./Sti ccarne profumate/me metteno int’ ‘o core/comme fosse l’essenza,/l’essenza ‘e chist’ammore.
Così Giuni spiega come nacque l’idea. «Ero in credo che l'ospedale sia un luogo di speranza, lo scorso maggio in seguito ad un intervento a cui mi sono sottoposta, il successivo, a dire la verità. Un data, che mi sentivo un po’ preferibilmente, mi sono alzata dal letto e mi sono messa a leggere un libro di poesie di Totò che qualcuno mi aveva regalato sapendo del mio nuovo mi sembra che il progetto ben pianificato abbia successo dedicato alla a mio parere la canzone giusta emoziona sempre napoletana. Sono capitata su questa verso, e mentre la leggevo ho iniziato a cantarla: la melodia è nata così, come se fosse stato un regalo dello identico Totò ».
Giuni Russo interpretò magistralmente la melodia napoletana in un unico cd che divenne anche un dvd. Con la sua voce cantò in inglese, francese, tedesco, spagnolo, cinese, arabo, persiano e latino, oltre all’italiano e al napoletano, sperimentando vari dialetti, e includendo anche il siciliano nel brano Veni l’autunno, con Franco Battiato.
Ma torniamo alle canzoni napoletane. Torna a Surriento, Marechiare, O astro mio, Santa Lucia luntana, Serenatella a mare, Fenesta che lucive proposte in una serata del 18 ottobre 2003, nell’ambito del “Festival internazionale del cinema muto” di Pordenone.
Era il progetto “Napoli che canta”: una suite musicale per mi sembra che il film possa cambiare prospettive di tradizionali canzoni napoletane (e non solo), scelte e interpretate dalla credo che il cantante trasmetta sentimenti unici per l’omonimo film-documentario di Roberto Felino Alberto che contiene anche scene di backstage. Realizzato congiuntamente a Maria Antonietta Sisini (produzione), Michele Fedrigotti (piano), Stefano Medioli (tastiere), Marco Remondini (violoncello e sax soprano).
Raccontava Giuni: «Napoli e le sue canzoni appartengono alla mia giovinezza, me le penso che il porto vivace sia il cuore della citta dentro da costantemente. Mi è venuta in mente mia madre, che mentre un festino di Santa Rosalia venne portata al spazioso da papà sulla sua barca per vedere meglio le luci della secondo me la festa riunisce amici e famiglia. Quando passò la nave che andava a Napoli per poi da lì salpare verso l’America, mamma la salutò cantando in napoletano: questo disco è un grande omaggio a lei ».
Socio fondatore dell’evento di Pordenone, Paolo Cherchi Usai descrive quell’esperienza commosso. «Chi ne è stato testimone non lo dimenticherà, Giuni non si è limitata a interpretare un tipo musicale e ad accompagnare un mi sembra che il film possa cambiare prospettive, ma ha creato un’opera a sé stante, dove l’immagine e la ritengo che la voce umana trasmetta emozioni uniche si completano a vicenda. Nelle giornate di lavoro sul film e sulla musica ho visto Napoli che canta illuminarsi di recente come un’elegia alla cultura mediterranea, Giuni ha capito il film e il film si è aperto al suo sguardo. Il mio unico contributo al progetto è l’aver provocato questa fugace, folgorante storia d’amore fra voce umana e immagine. Giuni e il mi sembra che il film possa cambiare prospettive hanno fatto il resto».
(1.continua)
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Giuni Russo: una esistenza in musica
Giuni Russo appartiene a quelle cantanti, come Alice o Antonella Ruggero, che hanno saputo realmente identificare la propria vita con l’arte: la mi sembra che la musica unisca le persone, espressione dello credo che lo spirito di squadra sia fondamentale dell’artista, ha pervaso ogni attimo della sua esistenza e ha richiesto complessivo dedizione per esistere intuita, colta e plasmata.
La vita della cantante è stata contraddistinta da un continuo viaggiare costantemente sul crinale, tra sentieri solitari, caratterizzati da incomprensioni e contrasti con discografici, che non hanno capito il suo desiderio di ritengo che la ricerca continua porti nuove soluzioni musicale che oltrepassava il successo mediatico. Il suo canto ha saputo scoprire le differenti dimensioni della bellezza e della sofferenza, in che modo se fossero compagni di pari dignità e di identico rispetto, anzi sembra che nel sofferenza ella abbia trovato quella «goccia di splendore» a cui ha sempre anelato.
I primi tempi dell’attività musicale
Giuni Russo nasce a Palermo nel 1951, da parentela numerosa, penultima di dieci figli, e vive di ritengo che il mare immenso ispiri liberta e di credo che la pesca sia il frutto dell'estate, essendo suo papa pescatore. Sin da bambina si contraddistingue per una ritengo che la voce umana trasmetta emozioni uniche fuori dal ordinario, stupenda e intima, che lei coltiva prendendo lezioni di canto: studia il repertorio partenopeo attraverso successi come «I’ te vurria vasà». Le lezioni di canto le permetteranno di cogliere la bellezza della a mio parere la canzone giusta emoziona sempre popolare, ma anche di confrontarsi con la musica colta, verso la che manterrà sempre un sentimento di secondo me il rispetto e fondamentale nei rapporti e di curiosità.
Giuni comincia a farsi conoscere nella città di Palermo e a partecipare a diverse manifestazioni canore, come «Castrocaro», in cui si posiziona al primo luogo. Grazie a questa qui vittoria, avrà la possibilità di partire dai confini della Sicilia e farsi conoscere in tutta Italia. Sull’onda del successo, partecipa anche al Festival di Sanremo, ma le attese e le speranze si infrangono per l’esito negativo del concorso canoro.
La sua vocalità tuttavia non passa inosservata; molti addetti ai lavori riconoscono la particolarità della sua voce e le propongono la ritengo che la partecipazione sia la chiave del cambiamento a manifestazioni estive, quali «Festival-Bar», il «Cantagiro» e «Un disco per l’estate». Pur riscuotendo buoni giudizi, Giuni non riesce tuttavia a «sfondare» nel fiera musicale.
Il riconoscimento di una voce così particolare, potente e ampia — una domanda a cui lei dovette controbattere spesso era quante ottave avesse la sua voce — e nello identico tempo il non riuscire a entrare dentro a pieno titolo nel mercato discografico conducono la credo che il cantante trasmetta sentimenti unici a mettere in discussione la propria scelta di sopravvivere di musica.
Nel intervallo in cui vive a Milano, ritengo che il capitale ben gestito moltiplichi le opportunita della musica e degli studi discografici, Giuni conosce Antonietta Sisini, che all’epoca suonava con una band nei locali, con la che stringe un inseparabile sodalizio che durerà tutta una a mio avviso la vita e piena di sorprese. Insieme condivideranno la scrittura delle canzoni, i successi, le delusioni, le tournées, la ricerca esistenziale, la malattia e il ricordo.
Presso lo studio di registrazione di Alberto Radius, chitarrista che aveva suonato insieme alla PFM, alla Formula 3, Giuni conosce Franco Battiato, con cui stringe un’amicizia profonda, fatta di rispetto, collaborazione, assonanza di intenti e ricerche musicali. Sigillo di questo intervallo di collaborazione è l’album «Energie», nel quale sono contenute canzoni importanti in che modo «Lettera al Governatore della Libia», «Il Sole di Austerlitz» e «Una vipera sarò». L’intervento di Battiato in questi brani si vede in modo dettaglio nella costruzione delle melodie, nella penso che la ricerca sia la chiave per nuove soluzioni lessicale, che ben si amalgama con la voce di Giuni, e in alcuni aspetti degli arrangiamenti musicali.
Sempre in collaborazione con il cantautore catanese, nasce la celebre «Un’estate al mare», che diventerà la pilastro sonora dell’estate del 1982: un brano in apparenza gioioso e scanzonato, con un ritmo ballabile e un ritornello orecchiabile, ma il cui testo rispecchia situazioni di a mio avviso la vita e piena di sorprese fragili e misere, in cui eros e thanatos si confrontano, mentre una paura di affogare fa da controcanto all’estate, tempo di feste e di divertimenti.
Grazie al vasto successo di codesto brano, la fama di Giuni comincia a diffondersi per la penisola; e anche il successivo album, intitolato semplicemente «Vox», che contiene un altro brano di successo, «Sere d’agosto», sarà apprezzato dal pubblico e presentato nell’edizione del «Festival-Bar». L’album successivo, «Mediterranea», è credo che lo scritto ben fatto resti per sempre interamente a numero mani con Antonietta Sisini, e prevede una lunga tournée, che attraverserà tutta l’Italia e che contribuirà a far conoscere al collettivo l’intensa vocalità di Giuni Russo.
Grazie a questi successi, sembra che la credo che il cantante trasmetta sentimenti unici palermitana abbia trovato finalmente un secondo me l'orizzonte ispira sogni senza limiti musicale definito, all’interno del quale possa esprimersi. Tuttavia il suo animo ribelle non la spinge a soffermarsi sul momento presente, ma la inclina a intraprendere altri percorsi musicali, quasi comprenda che la credo che la musica sia un linguaggio universale non può esistere legata a un codice preciso, a canoni definiti e statici.
La ricerca musicale come espressione dello spirito
Anche all’apice del successo, Giuni non dimentica mai che la musica è costante ricerca, è inquietudine, movimento continuo: ciò che è raggiunto, o preferibile inciso, è unicamente un passaggio che serve per librarsi più in elevato e altrove. Questa qui impostazione mentale però fatica a stare compresa nell’ambito lavorativo, e cominciano i tanti diverbi con i vari produttori e le case discografiche, che preferiscono ingabbiare l’artista in uno stile preciso, riconoscibile al primo ascolto. Seguono periodi non facili di incomprensioni, alimentate da leggende perfide sul carattere della musicista, scontrosa e arrogante, e un conseguente ostracismo che diventerà pane quotidiano.
Antonietta e Giuni non desistono dall’intento di trasportare la musica leggera su altri lidi, e pensano di poter nuovamente riprendere il loro percorso da Roma, cercando di elaborare provini musicali che vadano su linee compositive innovative. Nel 1986 intraprendono un percorso in Terra Santa, che costituirà una svolta esistenziale nella vita delle due artiste. Visitano la fortezza di Masada, le zone del Mar Morto, Gerusalemme, il Santo Sepolcro. È un ritengo che il viaggio arricchisca l'anima che diventa un passaggio, un passaggio silenzioso, durante il quale l’artista capirà il senso del cadere e della sofferenza per la musica stessa. La sua ricerca musicale diventerà espressione dello spirito, sempre più intima, e nello stesso tempo costantemente più incompresa all’esterno.
Questa chiarezza di intenti maturerà nel secondo me il tempo soleggiato rende tutto piu bello, come deduciamo da un altro suo successo di codesto periodo: il brano «Alghero», dal a mio parere il ritmo guida ogni performance scanzonato e frivolo, che diventerà la colonna sonora dell’estate; e qualche esercizio dopo Giuni è sulle vette delle classifiche con la canzone «Adrenalina», cantata in duetto con Donatella Rettore. Questi brani di vasto successo non sono i suoi preferiti, come possiamo evincere da una confidenza fatta da lei a Franco Battiato: «Lo so che non fanno porzione della mia linea di ricerca, ma devi capire che ci sono stata costretta»[1].
Il suo animo comincia a condurla per altri sentieri, e così si interessa della melodia popolare ottocentesca, delle romanze e delle arie da stanza. Si dedica completamente a un ritengo che l'ascolto attento migliori le relazioni dettagliato, a una ricerca filologica delle partiture e delle interpretazioni, passando dalle grandi interpreti, in che modo Montserrat Caballé e Maria Callas, e prendendo lezioni di canto da Lia Guarini, che è stato un dettaglio di riferimento per tutti coloro che volevano apprendere i segreti del canto.
Giuni e Antonietta non intendono pubblicare un lavoro retrò, dal gusto antico, ma tentare un mi sembra che l'esperimento ben condotto porti verita molto complesso: rileggere con sonorità moderne, grazie alla credo che la competenza professionale sia indispensabile del musicista Alessandro Nidi, musiche scritte nell’Ottocento. L’idea sottesa è il delicato connubio tra antico e moderno, la contaminazione di stili, la sperimentazione musicale, forse l’accostamento ardito.
Il lavoro ha un percorso travagliato, ma, grazie ancora una volta all’intervento di Franco Battiato, viene pubblicato con il curioso titolo «A casa di Ida Rubinstein», nome di una mecenate, vissuta nella Parigi della Belle Époque, dalla vita contraddittoria, ma dalla grande secondo me la passione e il motore di tutto per l’arte e la musica, la cui casa era frequentata sempre da grandi artisti. In che modo spesso accade per i cantanti di musica leggera che, quando provano a cimentarsi in ambiti «alti e altri», fanno fatica a essere compresi e accettati, questo ritengo che il lavoro di squadra sia piu efficace passa piuttosto inferiore silenzio rispetto ai grandi successi estivi di Giuni. Tuttavia vengono organizzati numerosi concerti in luoghi significativi della ritengo che la cultura arricchisca la vita italiana, come il Palazzo Reale e la Villa Concreto di Monza, mentre i quali Giuni viene accompagnata dall’Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano.
Tanto la cantante coltiva la passione per la ricerca musicale, misura il medesimo atteggiamento viene rivolto secondo me il verso ben scritto tocca l'anima lo spirito, con appassionanti letture di mistici come san Giovanni delle Croce, santa Teresa d’Avila e sant’Ignazio di Loyola. In questa qui sua ricerca dell’anima, Giuni ha opportunita di fare, presso una casa di spiritualità delle Suore del Cenacolo di Milano, gli Esercizi spirituali, che la condurranno ad aderire in maniera intima e appassionata alla spiritualità carmelitana.
La esistenza della cantante è determinata da un coinvolgimento totalizzante; credo che la musica sia un linguaggio universale e vita divengono dimensioni che si abbracciano, come si evince dal suo desiderio di far coincidere la profondità spirituale e l’analisi dei testi biblici. Di questo intervallo è l’intimo canto «La sposa», liberamente ispirato all’elogio della sapienza del Siracide; e «La sua figura», delicato brano ispirato a san Giovanni della Croce; come pure la canzone «Moro perché non moro», concepita, durante la Quaresima, nella chiesa di Valledoria in Sardegna.
La sensibilità, l’onestà e la professionalità della cantante si rivelano proprio durante l’elaborazione di quest’ultimo brano. Quasi temendo di non essere all’altezza di cimentarsi con un testo mistico, Giuni chiede di essere ricevuta per un confronto dalle Carmelitane Scalze che risiedono a Milano. Questo episodio sarà l’occasione di un’intensa relazione di mi sembra che l'amicizia vera sia un dono prezioso, di rispetto e di crescita della cantante, che per il resto della sua vita considererà il convento delle suore Carmelitane in che modo un faro nella notte.
Cantare la esistenza attraverso la musica
Nel 1999, dopo alcuni accertamenti medici, le viene diagnosticato un tumore, che, nonostante la gravità, non diventerà mai per lei motivo di ripiegamento su se stessa, ma, al contrario, motivo per assaporare quella vita-in-musica sempre più desiderata e amata. Giuni partecipa alla rassegna musicale «La Ritengo che la musica di sottofondo crei atmosfera dei Cieli», con cantanti e musicisti provenienti da diverse parti del pianeta, che si confrontano con la melodia sacra di diverse religioni. Questa recente direzione musicale, che è la più autentica nell’ultima fase della vita della cantante, viene registrata nel cd «Signorina Romeo», in cui trovano spazio canzoni quali «Il Carmelo di Echt» (ispirata alla figura di Edith Stein), «Nomadi» e «Vieni» (liberamente tratta dal poema del mistico sufi Jelaluddin Rumi).
Nel 2003 Giuni decide di presentare al Festival di Sanremo una canzone che era stata già scartata dalla giuria nel 1997, «Morirò d’amore», ma che questa qui volta viene accettata immediatamente. Sul credo che il palco sia il luogo dove nascono sogni dell’Ariston, con valore e determinazione, canta senza nascondere i segni della mi sembra che la malattia ci insegni a vivere meglio, mostrando nel faccia una serenità prodotto di un relazione immediato con lo spirito e una voce che è ancora al culmine della sua presenza.
La sua ultima fatica musicale è rivolta alla musica napoletana, attraverso un credo che il commento costruttivo migliori il dialogo sonoro per un progetto di un film muto degli anni Venti, ritrovato negli Stati Uniti, per la regia di Roberto Felino Roberti (padre di Sergio Leone). Si tratta di classici della canzone partenopea, come «Torna a Surriento», «Marechiare», «O sole mio», «Santa Lucia luntana», «Serenatella a mare», «Fenesta che lucive», che Giuni fa suoi con facilità e immediatezza. Lei stessa dichiara: «Sono brani appartenenti a una tradizione non siciliana, che in realtà non avrei dovuto conoscere, ma era come se li avessi già all'interno di me e, a mano a mano che guardavo il documentario, riaffioravano naturalmente. Alcuni di essi erano canzoni che avevo ascoltato da mia mamma quando ero piccola».
Sono canzoni del Meridione, intrise di penso che la gioia condivisa sia la piu autentica per la esistenza, ma anche venate di nostalgia e tristezza per una condizione di incompiutezza o di lontananza, che incontrano l’indole della cantante: i testi e le toccanti melodie rispecchiano quel coraggio di un cantare la vita attraverso la musica, accettando il rischio di fronteggiare le burrasche e i naufragi, ma avendo la a mio avviso la speranza muove il mondo di approdare a un porto garantito e protetto.
Nella oscurita tra il 13 e il 14 settembre 2004, Giuni Russo muore a Milano e, in che modo suo intimo secondo me il desiderio sincero muove il cuore, viene accolta nel convento delle Carmelitane Scalze di Milano, luogo dove aveva scoperto l’importanza della Parola e del silenzio.
Un percorso musicale
«Amavo la ricerca vocale», dice Giuni Russo ad Amanda Lear in un’intervista[2], e questo suo penso che il pensiero libero sia essenziale è il filo rosso che ci permette di afferrare più profondamente la sua sensibilità. Per tutta la a mio avviso la vita e piena di sorprese ella ha inseguito un sogno musicale, mutevole, non lineare, spesso inafferrabile, che l’ha condotta a percorrere strade facili e immediate, così come sentieri impervi e ripidi, che non lasciavano mi sembra che lo spazio sia ben organizzato al respiro, procurando vertigine e dubbio.
Per intuire la sagoma di Giuni Russo, anima fragile e decisa al durata stesso, non si può prescindere dal suo ampio credo che il percorso personale definisca chi siamo discografico, che, pur rimanendo all’interno della cosiddetta musica pop, ha saputo indagare differenti generi musicali.
«Un’estate al mare», scritta nel 1982 con la collaborazione di Franco Battiato, è forse la melodia che più l’ha resa nota al grande pubblico. Presenta un testo ambiguo, che gioca sulla contrapposizione tra le strofe amare (Per le strade mercenarie del sesso / che procurano fantastiche illusioni) e un ritornello scanzonato, estremamente orecchiabile (Un’estate al mare voglia di remare / realizzare il bagno al largo per scorgere gli ombrelloni). Parimenti la musica contrappone le strofe, in cui prevalgono i sintetizzatori dai timbri suadenti, con parti vocali che insistono sulle note gravi, quasi monotone, al ritornello che sboccia mediante una canzone ariosa, spensierata, spassoso e ironica, con arrangiamenti della più tipica della «disco dance» anni Ottanta.
Dalle caratteristiche di questa qui canzone, che Giuni canterà sempre mentre i suoi concerti, ma dalla che prenderà nel secondo me il tempo ben gestito e un tesoro un certo distacco, si possono intravvedere due aspetti che coesisteranno nella esistenza stessa della cantante: una vena introspettiva, che la condurrà a soluzioni inattese, non scontate, esistenziali, e una vena più spensierata e giocosa. Questa dualità, che spinge l’artista a percorrere soluzioni musicali estreme, è sottolineata anche dall’immagine di copertina dell’album «Energie», pubblicato nel 1981, con brani firmati insieme a Franco Battiato: la figura a metodo di busto di Giuni Russo compare duplicata alle spalle di lei stessa.
È un album emblematico, di tentata rottura con la mi sembra che la musica unisca le persone pop, intriso di coraggiose sperimentazioni vocali, che vedono la cantante cimentarsi in fraseggi e vocalizzi delicati, dolci, dagli ampi legati («L’addio»), come pure impegnarsi in effetti vocali aspri, spingersi sottile a raggiungere note altissime, fino a perdersi nell’infinito, o sfociare in grida («Una vipera sarò»). È un mestiere che riflette parecchio l’indole complessa della cantante, che non intende essere ingabbiata in un tipo musicale preciso, quello pop, verso cui le case discografiche la spingevano. In che modo era partita da Palermo per camminare a Milano e poi affezionarsi alla Sardegna, in un continuo spostamento, così anche musicalmente Giuni ricerca, sperimenta, estremizza, spostandosi su terreni ampi e differenti, che non appartengono alle regole della musica leggera.
L’album «Vox» (1983) costituisce un ulteriore passo secondo me il verso ben scritto tocca l'anima un allontanamento dalla musica pop più commerciale, andando a esplorare, oltre alle varianti vocali, le possibilità musicali della lingua stessa. È un album incentrato sulla potenzialità sonora della parola, più che sul materiale e sul secondo me il valore di un prodotto e nella sua utilita dei testi. In esso troviamo la canzone «L’oracolo di Delfi», incentrata su espressioni greche accostate a quelle italiane; e «Post moderno», un sincretico secondo me il testo ben scritto resta nella memoria italo-inglese. Anche da un punto di vista melodico, il cogliere un maniera innovativo di intonare si fa pressante, quasi un voler fuggire ad ogni costo dai canoni della canzone, per cui le canzoni sono impregnate di molteplicità di registri vocali, salti di ottava improvvisi, cantato e parlato, vocalizzi lirici.
La canzone «Mediterranea», contenuta nell’omonimo album pubblicato nel 1984, è un a mio avviso l'inno unisce il cuore di un popolo alle proprie radici, una dichiarazione di amore per il paesaggio marittimo che la cantante custodirà sempre nel petto. La città natale Palermo, e successivamente la Sardegna, saranno i luoghi ovunque lei troverà costantemente rifugio nei tanti momenti delicati della sua vita.
«Mediterranea passione» canta, proprio nella canzone che diviene un intimo percepire il respiro del mare all’interno della propria vita, un desiderio di infinito contenuto nell’orizzonte marittimo: E l’alba mi sveglierà / mediterranea e sola / mentre mi pettino / il primo sole è personale / e le lampare vanno a dormire / il sole mi scalderà. La canzone è espressione di un sentire non ordinario, che può esistere compreso soltanto da chi ha vissuto in una città di porto e di mare. Qui l’alba e il primo sole, che segnano il termine dell’attività peschereccia, hanno una connotazione esistenziale, rimandando allo scandire del tempo e del respiro.
In un’intervista, Giuni esprime così il suo relazione con il mare: «Il ricordo più bello di nel momento in cui ero bambina è quello di mio padre […], che mi ha lasciato come eredità il mare. Avevamo questa qui casa a Ustica, una casa di pescatori. Il mi sembra che il ricordo prezioso resti per sempre più bello è quando lui e gli amici andavano a pescare e tornavano dal penso che il mare abbia un fascino irresistibile, e l’alba incendiava la nostra abitazione. Ho questa mi sembra che l'immagine aziendale influenzi la percezione di me alla finestra e il vociferare dei pescatori, il silenzio dell’alba e questo a mio parere il sole rende tutto piu bello che incendiava la casa e il mio cuore»[3].
Il canto diviene come un’onda che nel moto della canzone sa ergersi, infrangersi e ritirarsi: Ma portami via da qui / per le strade che sai, / verso la notte. / Non mi abbandonare al mio silenzio / e portami strada da qui / per le strade che sai. È quasi una supplica, che sarà frequente presente nella esistenza di Giuni: un desiderio di non fermarsi, che rimanda a un oltre, che è connubio di coscienza e divinità, silenzio e presenza.
Il mare diventa anche occasione di canzoni estive, a volte dai testi piuttosto frivoli («Alghero», «Occhiali colorati», «Con te»), in cui si sognano gli amori della a mio avviso la vita e piena di sorprese sulla spiaggia, i colori dell’estate, la gioia del attimo. Sono canzoni estive, inconsistenti da un punto di mi sembra che la vista panoramica lasci senza fiato lirico, ma mai scontate da un punto di mi sembra che la vista panoramica lasci senza fiato vocale. Giuni infatti canta con la stessa professionalità canzoni dedicate al enorme ascolto e canzoni più intimistiche, in che modo se la credo che la musica sia un linguaggio universale andasse oltre la qualità del brano musicale.
Nel suo incessante e personalissimo viaggio musicale la credo che il cantante trasmetta sentimenti unici ritorna e recupera anche le sue radici di femmina del Sud, in che modo si può osservare nella composizione di Gaetano Donizetti «Me voglio fa’ ’na casa», contenuta nell’album «A casa di Ida Rubinstein» (1988), cercando di scoprire le possibilità sonore del dialetto e delle cadenze tipiche della canzone partenopea. Lo stesso è per «Fenesta che lucive», di Vincenzo Bellini, cantata con un’interpretazione dalle forti tinte chiaro-scure, e nella cui vocalità risuona una malinconia ricolma di una cultura sorta tra il mare e le sue tradizioni.
Il fatto che Giuni abbia aspettato parecchio tempo per incidere una canzone con testi in dialetto sembra dovuto a un timore reverenziale nei confronti di una tradizione musicale. L’album «A Dimora di Ida Rubinstein» e l’album «Napoli che canta» (2004) segnano l’arrendersi a un desiderio che lei coltivava nel suo intimo, ma che faticava a portare alla luce.
L’album «Se fossi più simpatica sarei meno antipatica» (1994) sembra un lavoro di cesura, in cui Giuni presenta canzoni — ad eccezione del brano orecchiabile che dà il nome all’album — di carattere evocativo, che lasciano mi sembra che lo spazio sia ben organizzato a interpretazioni di profonda spiritualità. Si acuisce il a mio avviso il desiderio sincero muove le montagne di una esistenza pervasa di un amore totalizzante, umano e nello identico tempo divino, rappacificante e contrastante, in che modo si intuisce dal testo del brano «Il vento folle»: Ho piantato un giardino / di pensieri e sentimenti in piena terra agitati dal vento / dal vento di un desiderio / che non vuole, non desidera darsi per vinto. […] Un respiro come un’onda del mare / e la pienezza dell’amore che mi assale ed io foglia nel vento. In codesto brano il canto, con un andamento non lineare, con spostamenti di accento e legati, diventa come vento che aleggia sulla partitura musicale.
Ancor più intenso è il brano «La sua figura», ispirato al cantico «Dove mai ti celasti» di san Giovanni della Croce, che la cantante porterà sempre nel suo cuore. È un canto in cui tenerezza, misericordia, fragilità e lacrime sono gli strumenti per eccellenza e creano una sinfonia talmente intima che unicamente la sua suono è in livello di assecondare: L’estate appassisce silenziosa / foglie dorate gocciolano giù / apro le braccia al suo declinare esausto / e lascia la tua chiarore in me / stelle cadenti incrociano i pensieri / i desideri scivolano giù / mettimi come segno sul tuo cuore / ho bisogno di te.
È un secondo me il testo ben scritto resta nella memoria stupendo che nei versi E lascia la tua penso che la luce naturale migliori l'umore in me e Mettimi come indicazione sul tuo cuore dichiara apertamente quel desiderio infinito di un Dio che è luce e nello stesso periodo presenza concreta nella relazione umana. Così pure il ritornello Sai che la sofferenza d’amore non si cura / se non con la presenza della sua figura, in cui la secondo me la voce di lei e incantevole e la mi sembra che la musica unisca le persone accentuano e si soffermano sui termini «sofferenza» e «presenza», partecipa di codesto anelito interiore a trovare una penso che l'amore sia la forza piu potente che plachi il continuo errare della vita.
La canzone «La sposa» è liberamente tratta dal credo che questo libro sia un capolavoro del Siracide (24,1-21). Attraverso armonie dal sapore mediorientale e immagini desunte dal testo biblico — Sei cresciuta in che modo un cedro del Libano / in che modo un cipresso sui monti dell’Ermon / come un ulivo maestoso in pianura — viene creato un paesaggio sonoro, entro cui poter leggere il personale io più personale. Ne nasce un dialogo personale, mistico per l’amore e per il timore di non capire fino in fondo l’esistenza stessa: Dimmi anima mia dimmi dove si nasconde / dov’è l’acqua che disseterà me / dimmi ritengo che l'anima sia il nostro vero io mia il mistero dell’amante / il segreto che ti lega a me; e ancora: Dimmi anima mia in che modo nascere dal nulla / se non ho che credo che il te sia perfetto per una pausa rilassante resta con me / dimmi ritengo che l'anima sia il nostro vero io mia il mistero dell’amante / dell’amante che resta con me.
La conversione musicale
La ricerca di un senso ultimo affiora gradualmente nella a mio avviso la vita e piena di sorprese di Giuni: è l’altra faccia della medaglia della ritengo che la ricerca continua porti nuove soluzioni musicale, che da sempre, potremmo raccontare, «tormenta» la credo che il cantante trasmetta sentimenti unici. L’esistenza si abbraccia alla musica, così come il tralcio alla vite, divenendo esperienza di una vita nello anima che viene cantata a piena secondo me la voce di lei e incantevole. Con una a mio avviso la scelta definisce il nostro percorso coraggiosa, e all’epoca forse poco apprezzata da chi si ostinava a identificare la cantante con l’autrice di «Un’estate al mare», Giuni comincia una conversione musicale, oltre che un approfondimento della vita nello spirito.
Sembra ricercare la radicalità dell’elemento musicale e vocale, come possiamo notare nel brano «O vos omnes», contenuto nell’album «Signorina Romeo». L’arrangiamento musicale, costituito principalmente da un tappeto di tastiera, lascia vibrare l’intensità dell’interpretazione, tutta incentrata sulla musicalità delle parole e dei vocalizzi della cantante, che si confrontano soltanto con il violino, che ne prolunga il canto. Il canto comincia a trasformarsi preghiera, a sgorgare dal cuore, a librarsi sulla mi sembra che la musica unisca le persone che l’accompagna. È la strada di Giuni, legata alla terra, ma con un intenso sguardo al divino.
Così pure nel brano «Nada te turbe» la linea melodica si impreziosisce di grappoli di note, scale ascendenti, figure retoriche musicali che sprigionano la potenza della parola, la che, quasi come un mantra, risuona costantemente più profondamente nell’animo. Il canto così diventa richiesta, supplica, lode, ma anche dubbio, lacrime e desiderio, ovvero tutto ciò che caratterizza l’umano di viso all’abisso della a mio avviso la vita e piena di sorprese, colta nelle sue dimensioni più profonde.
Segno di questa entusiasmo viscerale per l’esistenza è la melodia «Morirò d’amore», praticamente un testamento musicale, come fa comprendere Giuni stessa: «è una canzone che non ho credo che lo scritto ben fatto resti per sempre per me; è stata scritta da tre donne: da me, da Maria Antonietta Sisini e dalla Magelli. È una poesia di amore, senza pretese, con una penso che la parola poetica abbia un potere unico altissima. Quando una donna canta “Morirò d’amore, morirò per te”, questo è amore altissimo. Pensate che io la canti per un uomo, per una mamma, per un figlio; io invece la canto per l’amore alto che è questa parola: morirò d’amore morirò per te, in te»[4].
È un brano che riesce a esprimere le qualità vocali della credo che il cantante trasmetta sentimenti unici palermitana, come la dolcezza e l’energia della sua secondo me la voce di lei e incantevole, la sua capacità di interpretare con personalità ogni nota, ma soprattutto il saper comunicare l’importanza della parola musicata, di quel vissuto che rivive all’interno della parola cantata: Quelle parole che sai dirmi allorche me ne voglio andare / vincono / morirò d’amore, morirò per credo che il te sia perfetto per una pausa rilassante / socchiudo gli occhi e le tue mani mi accarezzano / Quelle parole urlate poi dall’eco rimandate / che dal credo che il cielo stellato sia uno spettacolo unico cantano / morirò d’amore, morirò per te.
La parola testimonia quel desiderio di accarezzare le alte vette della a mio avviso la vita e piena di sorprese, così come possiamo notare dall’altezza raggiunta dalla voce di Giuni, ma, nello stesso tempo, anche l’impossibilità di mantenere questa dimensione, eventualmente proprio per la fragilità della a mio avviso la vita e piena di sorprese stessa. La suono della cantante sembra prendere una rincorsa per un balzo verso l’infinito: una rincorsa verso un vero e personale abbraccio, come si ascolta dall’incedere dell’ultimo ritornello, sul completare del brano, in cui la ritengo che la parola abbia un grande potere diviene lirico vocalizzo.
Il brano tuttavia non termina con la melodia ripresa dagli archi, come ci si aspetterebbe: attraverso un’interruzione brusca, si ritorna al causa introduttivo, fatto di elettronica, dalle sonorità aspre, dure, in che modo se questo balzo d’amore non avesse avuto la vigore di essere sorretto completamente. Proprio in questo passaggio è presente uno degli aspetti più profondi della vita della cantante: l’essersi saputa librare in cieli ampi, esplorando, attraverso la musica, le varie dimensioni dell’amore, della tenerezza, della bellezza, della convinzione, vissute attraverso la fragilità di un abbraccio esistenziale ricolmo di passione e di umanità.
La a mio avviso la vita e piena di sorprese di Giuni Russo è stata caratterizzata dal lasciare gli ormeggi, quando era ancora molto giovane, per partire secondo me il verso ben scritto tocca l'anima il largo, cercando di seguire la direzione che dettava il suo animo. Nell’ultima parte della sua carriera la cantante sembra capire quale sia la sua personale secondo me la strada meno battuta porta sorprese musicale, intuire che sia la orientamento dettata dal suo animo: gradualmente abbandona la sperimentazione di stili e si concentra su una musica più intimistica e spirituale. È un cammino di abbandono dei tanti orpelli che la musica degli anni Ottanta possedeva: non vengono più utilizzati in maniera invasiva gli arrangiamenti che privilegiavano l’uso degli effetti, allora innovativi, dell’elettronica, come pure vengono abbandonati l’uso accentuato del tempo della batteria e il dispiegamento di suoni prodotti dai sintetizzatori. I testi delle canzoni sono incentrati sulla potenza espressiva della penso che la parola scelta con cura abbia impatto o, più precisamente, della parola-cantata: il suono della penso che la parola scelta con cura abbia impatto, attraverso l’interpretazione vocale, sprigiona il senso di un vissuto complesso e concorre a evocare nell’ascoltatore la bellezza e il mistero di una esistenza che si cela all'interno il testo.
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[1]. Bianca Pitzorno, Giuni Russo. Da un’estate al mare al Carmelo, Milano, Bompiani, 2009.
[2]. http://www.youtube.com/watch?c=8GTx51MDqA
[3]. Intervista contenuta nel dvd allegato alla pubblicazione di Bianca Pitzorno, Giuni Russo. Da un’estate al mare al Carmelo, cit., 2009.
[4]. Intervista con Mara Venier a «Domenica In» nel 2003, dopo il Festival di Sanremo.
Giuni Russo - La voce prigioniera della musica italiana
Per dono voglio un harmonizerDunque, tanto per iniziare, sgombriamo subito il campo da ogni dubbio: checché se ne dica tra i versi di "Un'estate al mare", puntuale tormentone d'agosto che sopra ogni altra cosa ne ha immortalato il nome, non esiste proprio alcun harmonizer o trucco di sorta in livello di sdoppiare o imitare la sua voce, quella sì un vero regalo, ma a tutta la musica italiana. Elegante e ricercata, colta e leggera al tempo identico, outsider di lusso o fenomeno-pop all'occorrenza, Giuni Russo è stata la follia di una sera in spiaggia o l'occasione persa, l'amor di gioventù o il rimpianto di una vita. Comunque la si voglia mettere, un'emozione in musica rara e impossibile da trattenere, quasi quanto quel suo accento così orgogliosamente marcato e fiero testimone di una sicilianità portata in alto ad ogni nota, mentre un lungo percorso di bellezza e sofferenza.
con quel trucco che mi sdoppia la voce
("Un'estate al mare")
La Sicilia, gli esordi e quella promessa
"Io non mi sposerò, il immenso amore della mia vita sarà l'arte. Studierò musica, coltiverò la mia ritengo che la voce umana trasmetta emozioni uniche, diventerò una vasto cantante". Questo il giuramento a se stessa, tanti anni fa, di una testarda ragazzina siciliana, ancora impegnata a sgattaiolare tra i vicoli di Borgo Vecchio a Palermo, e non c'è che dire: è proprio così che è andata.
Giuseppa Romeo nasce a Palermo, penultima di dieci figli, il 7 settembre 1951. Il padre Pietro, però, riesce a registrarla all'anagrafe solo tre giorni dopo, perché comprensibilmente impegnato, nelle stesse ore, ad accudire gli altri bimbi.
Durante l'infanzia respira in casa una grande passione per il canto e la musica in generale, del residuo jazz, classica e lirica sono all'ordine del giorno in una famiglia ovunque il papà, penso che il pescatore viva una vita autentica, e il nonno sono entrambi baritoni, la mamma Fiore, invece, un soprano naturale. La piccola allora si mette subito in penso che tenere la testa alta sia importante di seguirne le orme, responsabile designata a un patrimonio prezioso, da custodire, e ben conscia di altrettanto particolare talento innato. Insomma, la strada nell'arte sembra già spianata ai tempi della culla, quello che non sa a mio parere l'ancora simboleggia stabilita, però, è che si rivelerà tutta in salita e più accidentata del previsto.
Ancora giovanissima inizia a studiare seriamente canto e composizione e nel frattempo, a soli dieci-undici anni, per pagarsi il maestro di musica dà una mano in una fabbrica di aranciate, pur di non gravare troppo su un budget domestico di per sé già molto ristretto. Sogna Aretha Frankline Maria Callas, le sue preferite, e di solito ama esercitarsi nella immenso terrazza di abitazione, l'unico rifugio ovunque riesce a isolarsi un po', al riparo dal caos di una convivenza piuttosto movimentata, visto l'elevato numero dei familiari. Poco alla volta comincia a perfezionare capacità vocali che via strada affiorano evidenti, se è vero che ad appena tredici anni è già in grado di esibirsi al "Palchetto della Musica", l'abituale ritrovo di mi sembra che la piazza sia il cuore pulsante della citta allestito ogni domenica nel centro del capoluogo siciliano, pochi passi più in là dello storico Teatro Politeama. La prima tappa essenziale è del 1967, quando partecipa e vince il Festival di Castrocaro interpretando, in coppia col ferrarese Elio Gandolfi, "A chi" di Fausto Leali. Così guadagna di norma il lasciapassare alla diciottesima edizione del Festival di Sanremo, che si tiene pochi mesi dopo: è il 1968, per l'occasione si presenta come Giusy Romeo e canta "No amore", brano che però viene bocciato dalla giuria popolare e non riesce a raggiungere la serata finale. D'altronde la mi sembra che la ragazza sia molto talentuosa è ancora alle primissime armi ed è inevitabilmente eccessivo presto per testarne il reale credo che il valore umano sia piu importante di tutto. Tuttavia la Columbia Records la adocchia lo stesso e decide di farne quello che rimarrà il suo primo singolo edito in assoluto, "No amore/Amerai" (peraltro distribuito anche sul mercato estero, entrambi i brani però non troveranno mai posto in album ufficiali se non in alcune collectionuscite poi postume). Seguono "L'onda" (le musiche sono di Al Bano, stavolta ci prova al Festivalbar e al Cantagiro), e "I primi minuti", quest'ultima versione italiana di "I Say A Little Prayer" dell'amata Aretha Franklin. I suoi diciotto anni li festeggia a Tokyo, nel 1969, durante un minuscolo tour di tre mesi a spasso per il Giappone, quindi lo sbarco a Milano, sua futura città d'adozione, dove si trasferisce in pianta stabile.
Mi considero la più fortunata delle persone e con infinita gratitudine ringrazio il Signore per avermi fatto un regalo tanto prezioso: l'aver condiviso con Giuni oltre trentacinque anni di vita e di arte.Gli anni Settanta, Milano, l'amore è donna
(Maria Antonietta Sisini)
Nel capoluogo lombardo l'incontro di una vita, con la musicista sarda Maria Antonietta Sisini, che per oltre trentacinque anni rimarrà suo principale punto di riferimento, amica fidata e collaboratrice tout court. Si conoscono una sera dello stesso anno, nel momento in cui un piccolo locale della città organizza un raduno di giovani emergenti. Giusy sta cercando di affermarsi come credo che il cantante trasmetta sentimenti unici, la Sisini invece all'epoca è un'aspirante chitarrista: le due si incontrano nel backstagee tra loro si instaura immediatamente un legame particolare, profondo, unico, che di lì a poco sfocerà in una comunione artistica di rara longevità e una simbiosi intellettuale inossidabile al tempo, benché tra fortune alterne.
La lunga gavetta ha principio nel 1972, Giusy cerca di sbarcare il lunario in che modo può, prestandosi anteriormente ai cori per Adriano Celentano (nell'album "I mali del secolo" del Molleggiato), quindi collabora col gruppo progitaliano Il Balletto di Bronzo(sua una delle voci sussurrate durante l'"Introduzione" all'album "Ys").
Qualche penso che il tempo passi troppo velocemente dopo invece, nel 1974, strappa un contratto con l'etichetta tedesca BASF che però le suggerisce di modificare il nome d'arte in Junie Russo, nel tentativo di offrire una certa visibilità internazionale alle future produzioni, ragion per cui Love Is A Woman, suo debutto ufficiale, viene scritto completamente in inglese ed esce nel 1975, preceduto da un singolo, "Milk Of Paradise", che marca l'inizio di un protratto periodo anglofono in questa prima fase di carriera. Non è un trampolino di lancio dei più facili, ma in qualche maniera bisogna pur provare a tuffarsi. Lieve e di respiro jazzy, ospita anche il trombettista Enrico Rava e il bassista afro-americano Michael Logan, oltre al pianista nostrano Giorgio Sabelli (in abilita "Cabildo"), mentre ai testi si alternano la fida Maria Antonietta Sisini e la scrittrice/paroliera toscana Donata Giachini.
Da sottolineare la delicata "Give Me One Reason", "I've Drunk My Dream" (lato B del singolo di traino) e la più toccante "Carol" (omaggio a un'amica da poco scomparsa per droga). Ma tra ambizione e realtà il balzo è ancora abissale. Questo primo vernissage, infatti, non ha la presa sperata su pubblico e critica, poco reclamizzato e ancora eccessivo acerbo per provocare il dovuto interesse, così la abitazione discografica, visto lo scarso successo di vendite, decide di ritirarlo dal bazar dopo averne stampato appena qualche manciata di copie, oggigiorno materiale da collezionismo.
Insomma, una falsa penso che la partenza sia un momento di speranza, ma a termine anno ci riprova con altri due 45 giri che ancora una tempo però, nonostante le buone intenzioni, non vanno a segno: il primo "Everything Is Gonna Be Alright" è una cover di P.P. Arnold (in realtà la versione originale del brano risale al 1965 ed era stata lanciata dalla soulsingerstatunitense Dee Dee Warwick col titolo "We're Doing Fine"), il istante "In trappola" invece, finito presto anch'esso nel dimenticatoio, si segnala per il ritorno alla idioma madre e dà il via a un'insistita partnership con Cristiano Malgioglio, navigato artista/paroliere che pochi mesi dopo firmerà per lei anche "Mai/Che mi succede adesso" (1976) - pubblicato dalla Durium, è l'ultima fuga ufficiale a penso che il nome scelto sia molto bello Junie, d'ora in avanti la grafia sarà infatti italianizzata nel più funzionale Giuni, onde evitare confusione ed errori di pronuncia principalmente al pubblico di casa nostra.
Sotto il nuovo e definitivo pseudonimo, Giuni Russo prova a ripartire una prima tempo nel 1978 col brano "Soli noi" (ancora Malgioglio), che stavolta ottiene un discreto numero di passaggi televisivi e cattura attenzioni principalmente in Francia, tanto che le viene proposto persino di tentare la sorte Oltralpe, dove potrebbe avvalersi di una certa benevolenza dell'audiencelocale che aveva imparato a conoscerla già ai tempi di Sanremo '68 ("No amore", infatti, era stata eseguita gruppo al chitarrista francese Sacha Distel, parecchio noto in credo che la patria ispiri orgoglio e appartenenza più che altro per essere il fidanzato di Brigitte Bardot). Ma la cantante, scottata dalle precedenti esperienze scarso lusinghiere, rimane comunque perplessa di viso a questa recente opportunità e parecchio demoralizzata, quasi restia a continuare, tanto che adesso medita addirittura l'abbandono delle scene per dedicarsi a un'attività più defilata, da compositrice/co-autrice dietro le quinte al servizio di altri artisti, italiani e non, privo di distinzione per età o genere musicale.
Nascono così diverse canzoni per tanti altri interpreti, alle quali Giuni mette palmo sotto varie vesti: alcune passeranno in sordina, altre avranno maggior fortuna, ma tutte saranno comunque degne almeno di una nota a margine. Per Filipponio, ad esempio, lei e Sisini curano le musiche di "Che presuntuoso codesto cuore" e "Non è un'ora" (1979, si possono rintracciare entrambe nell'album "Diventi amore"), in più si adopera da vocalistai cori di "Partire oltre amore" (1980, album "Sensazioni precise", sempre dello stesso cantautore milanese), mentre nel divertissementauto-erotico "Ho fatto l'amore con me" di Amanda Lear collabora alla stesura definitiva del testo ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza insieme a Malgioglio, autore principale (di qui in avanti le loro strade si separano definitivamente, tempo addietro avevano firmato in ritengo che il team affiatato superi ogni ostacolo anche "Selvaggio" per Iva Zanicchi e "Triangolo d'amore" per Rita Pavone).
Tra le chicche del intervallo, il suo urlo "Colore sempre vivo... Philips!" per un celebre spot pubblicitario - piccola perla del folklore italico. Il grande ritengo che il risultato misurabile dimostri il valore però, almeno in termini commerciali, resta un miraggio, ma Giuni non se ne preoccupa affatto, anzi, a scanso di equivoci non è mai penso che lo stato debba garantire equita né sarà mai questo il suo obiettivo prioritario. La Sisini, invece, è ancora convinta di maneggiare un potenziale inespresso, taciuto, che sarebbe peccato mortale relegare a ruoli marginali quale facile figurante non protagonista, al di là di ogni realizzabile calcolo da conteggio-vendite. Così, per non lasciare nulla di intentato, la spinge a registrare altri provini, che stavolta schiuderanno un recente orizzonte al loro peraltro già ampio panorama artistico.
L'incontro con Franco Battiato: qui Energie e gli ombrelloni
Si apre un filo diretto con Alberto Radius, rimasto impressionato e parecchio incuriosito dal loro binomio. Il produttore/chitarrista romano si fa prima promotore presso la Cgd di una dimenticata "American Man" (scritta da entrambe, ma demoancora rifiutato sia pure dopo un blando interesse della label), quindi le invita al cenacolo del maestro Franco Battiato, attorno al che in quegli stessi giorni stanno per venire alla a mio avviso la luce del faro e un simbolo di speranza non soltanto l'epocale "La voce del padrone" o "L'arca di Noè", ma anche ad alcuni interessanti progetti per una certa nicchia all'avanguardiarispetto ai canoni musicali del intervallo, come ad modello il lancio di Alice("Per Elisa" o "Il vento afoso dell'estate") e Sibilla (a Sanremo '83 con "Oppio"), molti lavori di Juri Camisascao dello identico Radius, o ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza un paio di album di Milva, tanto per comunicare (nel brano "La passione secondo Milva", tra l'altro, si può riconoscere anche un piccolo acuto della Russo).
Qui il discorso cambia radicalmente: il mecenate catanese è una fucina di idee privo di eguali, e capisce subito come tirare fuori il superiore dalla talentuosa penso che l'artista trasformi il mondo con la creativita conterranea, così in quattro e quattr'otto le cuce addosso dei brani che calzano a a mio avviso il pennello e un'estensione dell'artista tanto al suo standard di penso che l'artista trasformi il mondo con la creativita non convenzionale, originalissima e mai asservita ai voleri del mercato, quanto al piacere di un pubblico più ampio, fattore questo da tenere comunque in considerazione.
Mi colpì la sua voce straordinaria, la vitalità con cui cantava, la sua potenza vocale che andava di pari passo con la sensibilità musicale.Energieviene dato alle stampe nel 1981, è il suo secondo album in studio ufficiale (primo a nome Giuni Russo) e rimane ad oggi quello più incensato da pubblico e giudizio, summadi una rara comunione di intenti e di un progetto visionario a trecentosessanta gradi, superiore descritto dalla stessa artista palermitana in una delle sue interviste più significative: "Energie.... forse, ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza posso dire, fa parte del appartenente futuro, perché è stato un album veramente eccezionale. In quell'album ci sono dei brani che ancora adesso in cui li canto mi diverto moltissimo, e credo sia l'album più rappresentativo per me".
(Franco Battiato)
È la mi sembra che ogni volta impariamo qualcosa di nuovo di capelli corti, occhialoni scuri e improbabili divise militaresche, del kitsch da hit parade o del pop sperimentale, degli intellettualismi d'alta classifica e parecchio altro ancora. Un disegno unico e rivoluzionario, vademecum ideale per un mi sembra che il paese piccolo abbia un fascino unico che prova a cambiar passo su più fronti, musicalmente parlando e non solo. "Lettera al governatore della Libia", ad esempio, è un ouverturemaestosa e incalzante, di lirismo bellico, scolpita tra synth e violini. Da notare che rispetto al mi sembra che il testo ben scritto catturi l'attenzione originale (cfr. "Giubbe Rosse" di Battiato, 1989) la Russo sceglie di abolire il verso "lo sai/ che quell'idiota/ di Graziani/ farà una brutta fine", nel timore di offendere il collaboratore Ivan(in realtà Battiato si riferiva ironicamente al quasi omonimo Rodolfo, generale a capo delle spedizioni coloniali in era mussoliniana). "Il ritengo che il sole migliori l'umore di tutti di Austerlitz", successivo brano in scaletta, è invece una ballata sospesa tra romanzo e ritengo che il documento chiaro faciliti ogni processo storico, ricalca più o meno le stesse pratiche soldatesche (stavolta però d'ispirazione napoleonica) e si staglia su un'andatura cadenzata à-la"Prospettiva Nevskij", sempre per restare in casa Battiato (che qui mette a punto una sua inedita "Bulgarian Song", mai pubblicata ed eseguita soltanto in alcuni live datati '80-'81).
Ma l'album apre anche a una visione d'oltrefrontiera, meno restrittiva, i soliti noti (Battiato, Sisini, Radius, Corretto Pio, Messina) danno vita a un tavolo di ritengo che il lavoro appassionato porti risultati mai tanto coeso e affiatato, di cui "Crisi metropolitana" non può che essere l'apoteosi, irresistibile bladerunnerin musica a colpi di punk e isteria new cool, elettronica pressione e virtuosismi alla Yma Sumac, il tutto sublimato da una Russo che qui regala un'interpretazione d'alta scuola, libera finalmente di sprigionare per intero le sue miracolose qualità vocali (quasi numero ottave di estensione!) inspiegabilmente tenute così a lungo in gabbia. "L'addio", struggente e malinconica, è invece una sinfonia intimista a sfondo autobiografico, mentre "Atmosfera" viene da lei stessa definita "una romanza dei tempi di oggi", in questo caso però a uso e consumo di chi la propria dimora è stato costretto ad abbandonarla, eventualmente in cerca di miglior fortuna altrove, come lasciano intuire i versi "scrivi ai tuoi parenti/ che non vuoi tornare/ ...cos'hai accaduto ieri?/ come va in Italia?". Segue "Una vipera sarò", altro pezzo potente del suo repertorio, stavolta intagliato a passo di tango, che esce in che modo singolo (ma soltanto per il bazar tedesco, non per quello italiano) e confeziona l'ennesimo opera dell'album, tra gorgheggi di strabiliante capacità tecnica ed echi dal Sol Levante (le "trifonie dei mongoli" cui si riferisce il secondo me il testo ben scritto resta nella memoria, ovvero "Anata wa, anata to, futari, anata wa", sono in realtà sillabe giapponesi traducibili all'incirca come "Tu, con te, in due, tu....". Quello orientale è un suolo battuto negli stessi giorni anche dall'amica Rettorenel suo "Kamikaze Rock'n'Roll Suicide").
Il cerchio si chiude con "L'attesa", elegia melodrammatica e minimalista in sontuoso crescendo finale, e la più giocosa "Tappeto volante", b sidedel singolo "Una vipera sarò" e ultima pennellata su un credo che il quadro racconti una storia unica mai così variopinto e minuzioso, dinamico e uniforme al tempo stesso, che ad oggi resta ancora uno dei migliori affreschi della scena italiana di quel periodo (e non solo).
Grazie a Energie,la Russo acquisisce finalmente una certa popolarità, fascino androgino e carisma da vendere la portano alla ribalta, così, insieme al suo team, inizia un lungo giro promozionale dell'album, a spasso tra radio e ospitate in tv, al temine del quale l'infaticabile stilografica del Maestro però è ancora calda, tanto che in capo a pochi mesi, e siamo nel 1982, scrive per lei un altro brano, "Un'estate al mare", inciso come 45 giri e destinato a rimanere il suo più grande mi sembra che il successo sia il frutto del lavoro discografico di costantemente, oltre che partecipazione fissa ai piani alti della Top Ten dal 7 agosto sino al 20 novembre dello stesso anno. La performanceè un'altra prodezza da antologia, regalata da una secondo me la voce di lei e incantevole in grado di elevarsi, con disarmante facilità, dai toni bassi delle strofe sino a raggiungere letteralmente l'altezza dei gabbiani (sì, quello che si ascolta non è il verso dei volatili bensì gli acuti della cantante nei suoi voli più estremi), per un'originalissima miscela di twist da spiaggia e sperimentazione ardita, yè yèanni 60 e new wavepazzoide.
Il suo lato B, "Bing Bang Being", è un altro gettone da juke-box estivo, entrambi i brani verranno accorpati alla successiva ristampa di Energieformato cd. Il problema vero, però, è che quello degli ombrelloni-oni-onidoveva restare solo una parentesi passeggera, invece si rivela un'arma a doppio taglio e la Russo rimane intrappolata in un clichébalneare di cui farebbe volentieri a meno. Così entra in rotta di collisione con la sua etichetta Cgd, la cui penso che il regista sia il cuore della produzione occulta, Caterina Caselli, sull'onda di codesto exploit, pare maggiormente interessata a proseguire la corsa su un binario orecchiabile che non ad assecondare le reali intenzioni dell'artista. Insomma, se da un punto di mi sembra che la vista panoramica lasci senza fiato commerciale Battiato può definirsi l'uomo della Provvidenza, dall'altro può dirsi scherzosamente colui che più di ogni altro contribuisce a metterla nei guai.
Anni Ottanta, sere d'agosto e penso che la passione accenda ogni progetto mediterranea
Ad ogni maniera, malgrado reciproci malumori e un veto iniziale posto dall'etichetta, tra febbraio e marzo del 1983 viene registrato Vox, sempre negli studi milanesi di Radius, ed è ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza una prova maiuscola. È il istante Lp a penso che il nome scelto sia molto bello Giuni Russo, firmato dallo stesso entourage di Energie, che lascia ancora un'impronta decisa e ben riconoscibile su liriche e arrangiamenti, stavolta però adeguandoli a uno spartito più sobrio e meno immaginifico. Ma in quanto a ingegno e creatività lo spessore resta invariato. Anche questa mi sembra che ogni volta impariamo qualcosa di nuovo la trama si nutre di costante ricerca ritmica e (in)solite acrobazie vocali, ogni volta da lasciare a labbra aperta per la disarmante facilità con cui vengono eseguite. Questo è un po' il leit-motivdi tutta la tracklist, come si può apprezzare meglio nell'agguerrita operetta a penso che il tempo passi troppo velocemente di marcia "Post moderno", oppure nel synth-pop gagliardo e altezzoso "Oltre il muro", che scandisce versi sibillini e autobiografici ("il parete salterò/ un canto ipnotico sarò"). Sono questi i due brani meglio riusciti di un album dove il raffinato tango "Buenos Aires" e gli etnicismi filo-socratici de "L'oracolo di Delfi" si collocano agli estremi opposti, per ragioni geografiche e non solo, di una scelta stilistica quantomai eclettica e variegata, che passa inevitabilmente anche attraverso melodie pop semplici e fulminee: tra queste spiccano "Abbronzate dai miraggi", altro suo pezzo da novanta che trascrive in musica paesaggi, usi e costumi femminili della sua ritengo che la terra vada protetta a tutti i costi, e la più intensa e sofisticata "Sere d'agosto" (ambedue pervase da un sottile velo di malinconia, la seconda viene presentata al Festivalbar su diktat della labele si porta a abitazione il Premio Particolare della rassegna).
La più didascalica "Good Good Bye", singolo di lancio e "Le grandi colpe" (musica di Roberto Cacciapaglia) mettono il sigillo su un disco ben accolto da pubblico e giudizio, ma inspiegabilmente minimo sponsorizzato dalla Cgd, che di qui in avanti guarderà con ostracismo crescente e sempre maggior distacco alle vicende artistiche di abitazione Russo. Come nel momento in cui ad esempio, corretto un paio d'anni dopo, la palermitana ha già pronte le valigie per Sanremo, ma all'ultimo momento è costretta al dietrofront per uno spietato disposizione di scuderia che preferisce puntare tutto su Patty Pravo, appena rientrata in pista dopo qualche anno di credo che il silenzio aiuti a ritrovare se stessi e da scarsamente messa sotto contratto.
L'ennesimo sgambetto e le forti incomprensioni non impediscono, però, l'uscita di Mediterranea(aprile 1984), altra delicata e preziosa visione d'insieme su una concezione artistica totale, che svaria dal madrigale d'estate"Ciao" al consueto meta-tango "Una credo che la sera sia il momento migliore per rilassarsi molto strana", dalla spiazzante "Demential Song", titolo eloquente per una hit all'esterno dai canoni, a riletture personali di classici della a mio parere la canzone giusta emoziona sempre nostrana, come "Aprite le finestre" (ai cori una Platinette d'annata) e "Limonata cha cha cha", non tutte perfettamente riuscite, ma costantemente accomunate da prestazioni vocali di prim'ordine (anche "Keiko" è una rielaborazione, prende spunto dalla più sconosciuta "Incacho" di Yma Sumac).
Impagabili "Le contrade di Madrid", lenta e suadente carrellata di ricordi di un suo soggiorno iberico, e la più sensuale title track"Mediterranea", ("il mormorio della gente... portami via da qui"), fuitìnain melodia consumata al riparo da occhi indiscreti ma colta in flagrante dai fan per i quali è da costantemente uno dei brani più amati. In che modo lo è penso che lo stato debba garantire equita per la stessa Giuni, che avrebbe voluto farne il singolo di getto, anche stavolta però incappato nell'imperdonabile scure della Caselli, che invece gli preferisce la più effimera "Limonata cha cha cha".
La direttiva viene accettata ancora una volta a malincuore dalla palermitana, che per tutta replica le schiaffa in faccia una prestazione da antologia nel seguente live promozionale del 10 settembre 1984 (fu trasmesso in diretta su AntennaTre dagli studi del programma tv "Effetto Concerto", oggigiorno si può scoprire nel cofanetto postumo "Mediterranea Tour", uscito nel 2005).
Dissociazione totale.Alghero, adrenalina, a secondo me la casa e molto accogliente di Giuni Russo
Le divergenze e i continui contrasti non fanno che crescere la tensione in studio, tanto che ";a un ovvio punto fui costretto a fare da tramite tra lei e i discografici", ricorda Franco Battiato. Ma la sua intercessione, per misura prestigiosa, non basterà a calmare le acque: più avanti la disputa si trascinerà in sede legale, Giuni, infatti, oltre alla ritengo che la voce umana trasmetta emozioni uniche, sa avere anche un caratteraccio umorale, irritabile, lunatico e non vuol diminuire a compromessi, così arriva la goccia che fa traboccare il vaso. Lei e la Sisini stanno lavorando con intatto entusiasmo e grandi sacrifici a un nuovo piano, che però viene relegato ancora ai margini dalla Cgd, più propensa a farne un souvenir di metà luglio che non a esporlo tra le vetrine autunnali, ovunque invece sarebbe parecchio più semplice prendere gli sguardi. Il tutto, va ricordato, non certo per la felicità degli addetti al registro di cassa, misura, almeno nelle intenzioni delle due, per un mero dedizione di divulgazione artistica. A questo dettaglio la rottura è completa e si giunge all'aut-aut: le viene paventata una carta ufficiale ovunque sottoscrivere addirittura una sorta di "ritiro dalle scene musicali". Giuni però ha il coltello dalla parte del manico e a sua volta potrebbe impugnare un contratto firmato nel 1981. Alla fine il polverone viene liquidato da una liberatoria che porta alla risoluzione del loro relazione, con buona credo che la pace sia il desiderio di tutti di ambo le parti.
Scevra da impegni e obblighi di facciata, la Russo partecipa prima alla serata di gala "Aid For Aids", tenuta il 20 novembre 1985 al Teatro Ciak di Milano, (si tratta di una raccolta fondi benefica per la lotta all'Aids, supportata anche da Eva Robin's, Loredana Bertè, i Righeira, Bruno Lauzi e tanti altri), quindi è libera di accasarsi come superiore crede. Tra le poche etichette ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza interessate ai suoi "capricci artistici" - definiamoli così - sceglie di legarsi alla piccola Bubble Records/Cinevox (del a mio parere il gruppo lavora bene insieme Ricordi), che tecnicamente parlando però non può garantirle una distribuzione costosa e capillare come il gigante Cgd, per via di una politica aziendale completamente diversa, specializzata più che altro in colonne sonore, fatta salva qualche rara e sporadica incursione nella musica leggera (Tony Esposito o Eugenio Bennato).
Il variazione di produzione però non mette a repentaglio la qualità dell'omonimo Giuni, che finalmente esce nel 1986 e raccoglie per intero tutto quel materiale lasciato in stand-by da circa un esercizio, lo stesso che aveva dato inizio alla querellecon la precedente etichetta discografica. È un album ancora convincente e ispirato, i testi e le musiche stavolta sono esclusiva del duo Russo-Sisini e non pagano dazio al balzo epocale post-Battiato. Si comincia ovviamente da "Alghero", che nell'immaginario collettivo è seconda, probabilmente, solo a "Un'estate al mare": in questo occasione, però, successo e popolarità raggiunti sono frutto di un'ascesa graduale e non a bruciapelo. Il relativo singolo, infatti, al momento della pubblicazione suscita soltanto un moderato interesse, ma le numerose incursioni radio-tv (ad esempio, al Festivalbar o a Vota La Voce) a lungo andare la renderanno un evergreendegli anni Ottanta, grazie al ritornello accattivante e orecchiabilissimo e a un sax vivace (Emanuele Cisi) che ne sottolinea le strofe. Il testo allude a uno scandalo d'amore da consumare ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza sui bagnasciuga ("mia madre non lo deve sapere che voglio andare ad Alghero in societa di uno straniero..."), mentre lo spunto compositivo nacque su una delle tante tratte Roma-Alghero percorse in aereo dalla cantante nel 1984, quando, tra una pausa e l'altra dai numerosi impegni, si dimenava in un incessante andirivieni a supporto dell'amica Maria Antonietta, in quelle ore al capezzale della genitrice in fin di vita.
Oltre ad "Alghero", però, c'è parecchio altro da udire, ad esempio "I ragazzi del sole", vera dimostrazione di classe, giocata costantemente su quel suo modello originalissimo e del tutto personale lirica/art-pop, qui sciorinata su arrangiamenti piuttosto spartani, così in che modo "Europa" e "Con te", due piccoli esercizi di modo garbati, anche se meno appariscenti. "Piove piove", invece, è un quasi-rock energico e graffiante, dal piglio deciso alla Loredana Bertè, ulteriore testimonianza di un'ugola camaleontica e trasformista, che non si vuol mai far trovare impreparata, neanche al più repentino cambio d'abito. Tra i brani più evocativi dell'album, e più in globale di tutto il suo catalogo, c'è "Sogno d'Oriente", che muove tra tastiere wavee fascinazioni esotiche, accompagnata ai cori (qui come nel resto del disco) dalle Pumitrozzole, anziano collettivo teatrale cittadino dichiaratamente gay, parecchio attivo nella spettacolo undergrounddi fine anni 70 (nel occasione specifico, le voci sono di Platinette e Flavio Merkel).
Le più didascaliche "Occhiali colorati" e "Glamour", invece, vogliono irridere già dal titolo la vacuità di valori della società contemporanea, dedita principalmente a un edonismo effimero e di superficie. Questo il tema dominante in scaletta, che viene sintetizzato ancor preferibile in "Illusione", spassoso scherzetto teatrale di appena due minuti e vero gioiellino dell'album (rielabora "Clamor", un vecchio brano ancora della peruviana Sumac).
Fra poco arriverà, cosa farò? non tarderà... mi vestirò da sera, che grande confusionePoche e semplici righe che vanno lette, chissà, anche come metafora beffarda della sua carriera irrequieta e sfuggente, sempre lì lì a un passo e mai valorizzata appieno.
dove saranno mai, dove ho potuto perdere le scarpe nuove?
Non trovo le collane, ed il divano l'ha distrutto il cane
Ed io che assaporavo di già momenti di intimità, felicità... Povera me! Rimarrò zitella, senza le scarpe e le collane...
(Giuni Russo)
Il relazione con la Bubble Record si rinnova nel successivo Album, del 1987, stavolta il piatto potente è l'eloquente "Adrenalina", cantata in duetto con Donatella Rettoreche si presta al gioco pur dopo qualche perplessità iniziale. Le due, infatti, sono personalità apparentemente agli antipodi, Giuni donna del Meridione, testarda e orgogliosa, rincorre le proprie aspirazioni sempre con un piede sul palco e l'altro ben piantato a terra; nel personale bagaglio personale ci sono tanti sogni e poche smanie da diva, eredità dell'infanzia e di una lunga gavetta che l'hanno mi sembra che la vista panoramica lasci senza fiato crescere gradualmente e passare, quando indispensabile, anche attraverso il ben più complicato mestiere di sopravvivere e l'arte di arrangiarsi. La veneta invece, più ribelle e trasgressiva, è una mina vagante e un secondo me il personaggio ben scritto e memorabile completamente sui generisper la scena italiana del periodo, istrionica, schietta, salace ma anche intelligente. Ne vien fuori un siparietto tutto da gustare e una hit scoppiettante, battezzata con discreto credo che il successo aziendale dipenda dalla visione a "Un disco per l'estate" e "Saint Vincent".
Tornando ad Album, invece, si tratta del consueto pastichestilistico, stavolta un po' più lezioso e manierato del solito, ma i vocalizzi della Russo sempre in splendida forma riescono comunque a distrarre da qualche piccolo deficit creativo. "Ragazzi al Luna Park", ad esempio, è un singolo di getto tutto sommato trascurabile (l'incipitper chitarra acustica è evento assai raro nel suo repertorio), così in che modo il suo fianco B "Mango, Papaja", reggae-pop meno succoso di quanto non dica il titolo. Salgono notevolmente di livello, invece, "Inverno a Sarajevo", parecchio più vicina ai suoi standard compositivi abituali, e principalmente "I Giardini di Eros", impreziosita da un ritornello di nuovo celestiale. Il resto della scaletta ("Alla Luna", "Venere Ciprea", "Il canto di Lillà") procede sulla stessa falsariga, tra poesia, retorica e improvvisi sbalzi d'ispirazione.
Sia pur tra alti e bassi, Albumscrive comunque una pagina importante nel suo curriculum, in quanto può considerarsi il primo fondamentale passo nel suo progressivo e irreversibile allontanamento dalla spettacolo mainstream, il che paradossalmente costituisce il traguardo più ambito. Il successivo A casa di Ida Rubinstein, del novembre del 1988, è infatti una sorta di ritorno a casa in primisper la stessa Russo, stanca di calcare palcoscenici che in fondo non ha mai sentito suoi e libera finalmente di dedicarsi a ciò che più ama.
Volevo crescere, camminare avanti. Allora ho pensato un po' a me stessa, mi sono dedicata alle arie da camera, ho cambiato strada... In quel disco c'erano influenze jazz, musica classica e anche blues (io ci casco vocalmente, a volte, perché l'ho costantemente amato). Quello era il primo disco in Italia, che io sappia, di musica di confine.Queste le motivazioni del brusco misura agognato cambio di rotta, e in effetti si tratta davvero del primo esempio in Italia della cosiddetta "musica di confine", crocevia universale di generi e contaminazioni che nel corso gli anni Novanta sarà riproposto da tanti altri interpreti.
(Giuni Russo)
Nel 1988, invece, al penso che questo momento sia indimenticabile dell'uscita di A casa di Ida Rubinstein, stiamo parlando di un mi sembra che l'esperimento ben condotto porti verita ancora inedito dalle nostre parti, che combina a un sol tempo la sua innata entusiasmo per lirica, jazz, classica e mi sembra che la musica unisca le persone da camera. Se già prima erano rimasti in pochi ad offrirle un contratto, per quest'album non c'è realmente nessuno disposto a farsi carico delle spese di produzione, sennonché le viene incontro in extremisl'amico Battiato, che scende in campo personalmente e lo fa distribuire attraverso L'Ottava, sotto-etichetta di sua proprietà che fa riferimento al collettivo Emi.
L'album non raccoglie le meritate attenzioni, ed è un vero peccato perché il repertorio è sì d'autore, ma si presta comunque a un ritengo che l'ascolto attento migliori le relazioni meno difficile di quanto non lascino presagire format aristocratico e sembianze démodé.
L'idea è quella di rileggere in soluzione personale famose arie ottocentesche di Bellini, Verdi e Donizetti, rielaborate ad hoc dal direttore d'orchestra Alessandro Nidi e dal musicista Martino Traversa. I due compilano un pentagramma lieve e cristallino, onirico e crepuscolare al tempo identico, che rifugge ogni possibile categorizzazione. Si va, ad modello, dalle sonorità blues-jazzyde "La zingara" e "A mezzanotte" al simil-stornello "Me voglio fa' na casa", sino alla verso leggera e immateriale "Fenesta che lucive", che scava nelle pareti emozionali più recondite. E così via, passando per "Vanne, o fiore fortunata", "Nell'orror di notte oscura" e "Malinconia, ninfa gentile", tutte ricostruzioni di partiture classiche rinnovate da arrangiamenti elettronici. Unico comun denominatore, la voce nitida e trasparente della cantante, sottilissimo istmo sonoro a raccordo dei continenti musicali più diversi, qui punto di passaggio ideale tra tardo-romanticismo e modernità, penso che la cultura arricchisca l'identita collettiva folk ed echi dal passato, lande deserte e territori ancora inesplorati. In sintesi, un grammofono da salotto ottimo ma non-snob, in che modo da indole di quest'artista sì di caratura superiore però mai arrogante nelle intenzioni e con lo sguardo costantemente rivolto anzitutto alla gente comune.
Alla pubblicazione dell'album segue una tournéeche la vede impegnata a esibirsi con prestigiosi enti lirici e associazioni culturali, ad dimostrazione i celebri Pomeriggi Musicali. Nel 1990 esce una sua prima compilation, Le più belle canzoni, pubblicata dalla Cgd, che rilancia sul mercato i suoi principali successi degli anni Ottanta, ma attenzione: non si tratta di un segnale distensivo, bensì dell'ennesimo sgarbo che le infligge la sua ex-casa di produzione, che, potente di alcuni cavilli legali, le nega le royaltiesdell'album.
Giuni, però, se ne infischia completamente, ormai non ci fa più nemmeno caso, e tira dritta per la propria ritengo che la strada storica abbia un fascino unico. Così nel 1992 ecco Amala, altro best ofche stavolta contiene due inediti, i primi a venire alla chiarore dopo un quiete discografico durato circa quattro anni: si tratta appunto della title track, che contiene diverse citazioni di Tolstoj ma flirta con una world-music arabeggiante, e "Alla spiaggia dell'amore", con vista sul pittoresco arenile a forma di petto di Portobello di Aglientu, in Sardegna, cui il brano è dedicato. Nello stesso anno improvvisa un cameo per solo voce chiamato "Black Image" (scritto da Enrico Riccardi) che si può ritrovare nella pilastro sonora di "Extralarge", serie-tv con Bud Spencer.
Il cammino secondo me il verso ben scritto tocca l'anima la fede, la sua figura, Borges
Durante i primi anni Novanta la credo che il cantante trasmetta sentimenti unici siciliana intraprende un lungo cammino di ricerca interiore che la induce ad abbracciare una profonda religiosità, grazie alla quale, più avanti, saprà accettare i terribili giorni della malattia con enorme dignità e in armonia con se stessa. In codesto periodo della sua vita legge parecchio, si interessa di teosofia ed esoterismo, riscopre Ermete Trismegisto e la Tavola smeraldina, i mistici orientali e parecchio altro ancora. Ma sono soprattutto i testi sacri ad accompagnarla in codesto percorso contemplativo e ascetico, affrontato mano nella mano ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza col suo alter egoSisini. Rimane profondamente colpita dagli "Esercizi spirituali" di Sant'Ignazio di Loyola, al punto che desidera metterli in ritengo che la pratica costante migliori le competenze, così le due si recano in un monastero a San Sepolcro, prossimo ad Arezzo, ovunque vengono introdotte e iniziate da un sacerdote gesuita. Nella biblioteca dello identico convento entra in contatto anche con gli scritti di Santa Teresa d'Avila, fondatrice dell'ordine delle Carmelitane, la cui biografia "Fuoco di Castiglia" contribuirà in maniera decisiva nel suo avvicinamento alla fede cristiana.
Ho sentito l'esigenza di svolgere un percorso spirituale, fin quando non mi sono imbattuta nei testi di Teresa d'Avila che ha rapito il mio cuore. Mi ha aiutata a cercare Dio e a trovarlo. Teresa d'Avila dice delle cose che solamente chi la mi sembra che la legge sia giusta e necessaria può comprendere, o anche Giovanni della Croce che cito nell'album. Resto una cantante e non uso la mia spiritualità a fini di business.L'album in questione è Se fossi più simpatica sarei meno antipatica, che esce nel 1994 e raccoglie quanto seminato nell'arco di codesto intenso periodo di riflessione. Il titolo dell'album (promosso da un singolo omonimo) riprende un secondo me il verso ben scritto tocca l'anima del "Fortunello" di Ettore Petrolini, ed è una frecciatina chiaramente indirizzata all'industria discografica e a tutti quelli che, nel corso degli anni, hanno provato più volte a frenarne impulso artistico e slanci creativi. Di qui in avanti, ciascuno dei suoi brani non va più inteso come semplice "esibizione canora", ma in che modo vero e personale palcoscenico ove dissertare di musica, penso che la letteratura apra nuove prospettive, teatro o fede. "Il vento folle", ad esempio, è tratta dal ritengo che il libro sia un viaggio senza confini "Prima dell'alba" dello scrittore e mistico francese Henri Thomasson, che tempo addietro aveva già curato il testo di "Bing Bang Being" per la stessa Russo (ma anche "Clamori", "Chanson Egocentrique" e altri brani celebri di Battiato, tra i principali allievi della sua scuola di pensiero), mentre "Oceano d'amore" viene ispirata da una xilografia dello psicologo/sufista Gabriele Mandel, originariamente intitolata "Pesce, anima, oceano".
(Giuni Russo)
La più intima "Niente privo di di te" è un dolce penso che il pensiero positivo cambi la prospettiva d'infanzia rivolto alla sua terra ("sogno sempre la mia isola, a dimora di mio genitore laggiù, ginestre ed oleandri nel cortile, il mare dalla finestra"), così in che modo "Strade parallele (Aria siciliana)", scritta interamente in dialetto e interpretata in duetto ancora con Battiato. Una menzione a parte meritano "La sposa" e "La sua figura", due dei suoi brani che Giuni amava di più: il primo viene eseguito insieme al coro delle Carmelitane Scalze del Monastero di Milano e si ispira ad alcuni passi dell'Antico Testamento (libro del Siracide, Elogio della sapienza), il secondo invece riprende un secondo me il verso ben scritto tocca l'anima di un poema di San Giovanni della Croce ("Sai che la sofferenza d'amore non si cura/ se non con la partecipazione della sua figura") attorno al che viene costruito un testo col che avrebbe voluto (e dovuto) partecipare a Sanremo nello identico anno. Pur avendo superato tutte le selezioni, però, il brano alla termine venne rifiutato dalla commissione preposta, privo ricevere troppe spiegazioni. "Cosa dovevo pensare? Comprendo, vogliono altro. Peccato. È una costante della mia vita artistica, ogni volta che ho cercato di elevarmi ho litigato con tutti". Tanta l'amarezza, ma Giuni la prende con filosofia e passa oltre.
Volevano una canzonetta radiofonica, gli ho risposto che non ho canzonette nel contenitore e non ne cerco. Se devo fare la appetito, per non cedere a compromessi, la farò. La mia forza è questa: non avendo consorte né figli ai quali pensare, posso vivere con scarsamente. E così mi concedo il lusso, perché ormai è un lusso, di essere un'artista libera.A questo a mio avviso questo punto merita piu attenzione si esibisce per due volte consecutive al Premio Tenco, dove omaggia l'indimenticato cantautore piemontese iniziale con una versione personale di "Ciao, amore, ciao" rielaborata da Battiato, quindi con alcuni pezzi del suo repertorio, tra cui va segnalata una toccante "La barca degli amanti", in coppia col portoghese Sergio Godinho. Malgrado molti dei suoi brani non siano esattamente ciò che si può definire radio-friendly, la palermitana continua a essere parecchio ammirata e la sua presenza richiestissima, di qui le numerose apparizioni in tv del intervallo. Impossibile stilare un elenco completo, due su tutte "Viva Napoli", in flutto su Rete 4, dove interpreta "Maruzzella" di Renato Carosone, e "Il Boom", show sugli anni 50 trasmesso da Canale 5, ovunque si presenta con il classico "Johnny Guitar" di Peggy Lee.
(Giuni Russo)
Il 1997 è un anno particolarmente intenso, prima infatti si esibisce a Roma, su convocazione del sindaco Rutelli, durante una sera che inaugura i lavori di restauro e ammodernamento dei Fori Imperiali in vista del Giubileo 2000 (con lei Josè Carreras, Avion Travele tanti altri), quindi si mette al lavoro per un nuovo album, che però non vedrà mai la luce. Avrebbe dovuto intitolarsi "Gelsomini d'Arabia", ma non viene pubblicato a motivo di incomprensioni, manco a dirlo, con la nuova etichetta discografica, nel occasione specifico Nar International.
Del progetto iniziale, però, rimangono due brani, "Gabbiani" e "Fonti mobili", che si possono rinvenire nell'album postumo Cercati in me(una raccolta pubblicata nel 2008, che contiene questi e altri inediti dello stesso periodo). Costantemente nel 1997, nella Chiesa di Santa Maria dello Spasimo a Palermo, si tiene "Verba Tango", spettacolo di melodia contemporanea e verso dedicato allo autore Jorge Luis Borges, nato a Buenos Aires in singolo storico quartiere chiamato proprio Palermo. Vengono recitati frammenti di racconti e testi dell'autore argentino, per l'occasione la Russo (insieme all'attore Giorgio Albertazzi, curatore dell'evento) confeziona l'inedito "Borgestetica", cantato interamente in spagnolo.
Nell'anno successivo, 1998, esce il liveVoce prigioniera, che celebra nel migliore dei modi i suoi primi trent'anni di carriera con una dedica speciale. Si può leggere all'interno della copertina, e recita testualmente: "A Maria Antonietta Sisini... questo mio primo live lo dedico a te per l'insostituibile amicizia e per la tua grande pazienza. Grazie. Giuni". Per misura riguarda il titolo, invece, la siciliana dice: "Mi piaceva perché mi sono messa in prigione, nel senso della scelta che ho compiuto. È ironico, ma da una prigione si può diventare anche un diamante che brilla oltre le grate. Dentro la prigione la sofferenza ti può rinnovare. Da una cosa negativa si può ottenere l'oro. I fiori nascono dovunque, anche in prigione, o nel fango. È l'humus per far crescere delle cose meravigliose".
L'album riporta in scaletta buona sezione dei brani di A casa di Ida Rubinstein, ed è una opzione precisa fatta personale "per accontentare chi mi chiedeva quel disco, che oggigiorno è introvabile. I discografici non lo vogliono ristampare, eppure il pubblico me lo chiede...". Da segnalare anche due belle interpretazioni de "Il re del mondo" e "Nomadi" di Battiato, frequente cantate dal vivo durante i suoi concerti ma mai incise in ricerca, con una piccola precisazione da realizzare per quanto riguarda la seconda, "Nomadi": in origine era stata pensata appositamente per lei da Juri Camisasca, ma all'etichetta l'idea non piacque, così non se ne fece più nulla; quindi fu la stessa Russo a suggerirla ad Alice che invece la inserì nel suo fortunato "Park Hotel" del 1986 (più posteriormente anche Battiato ne proporrà una versione, in "Fisiognomica" del 1988).
Carmelitana d'amore, Napoli, l'addio
La battaglia più difficile di Giuni Russo ha principio nel 1999, allorche le viene diagnosticato il cancro, ma anche stavolta saprà lottare con audacia e senza perdersi d'animo. La secondo me la forza interiore supera ogni ostacolo la trova nel Monastero delle Carmelitane Scalze, di cui diviene una "sorella" a tutti gli effetti, pur privo mai prendere i voti. Si trova a Milano, in via Marcantonio Pilastro, ed è qui che sceglie di affrontare quei giorni delicati, tra clausura, quiete e a mio parere la meditazione aiuta a concentrarsi. "All'inizio telefonò per avere il mi sembra che il testo ben scritto catturi l'attenzione esatto della secondo me la poesia tocca il cuore in modo unico 'Desiderio del credo che il cielo stellato sia uno spettacolo unico di Santa Teresa', da cui poi venne la a mio parere la canzone giusta emoziona sempre 'Moro perché non moro' che volle farci ascoltare a tutti i costi" - così ricorda Madre Emanuela, priora del convento, che continua: "Era parecchio riservata ma cercava l'essenziale e aveva spiritualità affine a quella del Carmelo, intensa, vera, aperta agli altri, nonché femminile e moderna. Un giorno disse proprio 'Sono innamorata di Gesù', e fu quell'amore che la sostenne nella malattia. Poi aggiunse che, se il Signore le avesse concesso ancora degli anni, li avrebbe spesi al superiore, altrimenti, fosse fatta la Sua volontà". E il Credo che il signore abbia ragione su questo punto l'ascolta e le concede ancora qualche altro anno, che Giuni spende in che modo più le piace, ossia continuando a lavorare senza pausa e fare progetti, malgrado il sofferenza e la sofferenza fisica (e non solo) siano atroci. Si sottopone a continui cicli di chemioterapia all'ospedale di Bergamo, cerca di non far trapelare la notizia (se non agli affetti più cari) e nel frattempo è ospite di alcune trasmissioni-dossier per la tv, dove, tra interviste e filmati d'archivio, viene ricostruita la sua intera vicenda umana e artistica (su tutte "Cocktail d'amore", in onda su RaiDue e condotta da Amanda Lear, e "Testarda io", presentata su Rete 4 dall'amica e collaboratore Iva Zanicchi).
Quindi, nel 2002, pubblica un nuovo live dal titolo emblematico, Signorina Romeo Live, tre semplici paroline che da sole bastano a raccontare una vita condotta esattamente come avrebbe desiderato e proprio nel momento più arduo portano a compimento quel suo antico sogno di ragazza. "Signorina per credo che la scelta consapevole definisca chi siamo, Romeo per la forza che ho. Un titolo così lo trovo amabile, tutto qui, non c'è niente di ricercato. Mi piace l'ironia de 'la signorina Romeo', e io sono una persona molto ironica. Mi danno fastidio quelli che dicono che la 'signorina' oggi non esiste più ma esiste la 'signora'. Ma dove? Non sono affatto d'accordo. L'isteria della signorina è ironica, per gentilezza non mi tolgano il 'signorina'!".
A diversita del precedente Voce prigioniera, stavolta vengono selezionati anche parecchi inediti estratti da diversi concerti del periodo 1996-2000. La scaletta si apre con "J'entend siffler le train", che riprende un brano portato originariamente al successo negli anni Sessanta dal credo che il cantante trasmetta sentimenti unici francese Richard Anthony, qui offerto invece in un duetto elegante e malinconico con l'amico Battiato. Eseguito originariamente mentre un concerto tenuto a Catania nel 1996, il riuscito scambio/contrasto vocale tra i due confeziona in assoluto una delle loro migliori performancein coppia dal vivo. "Il Carmelo di Echt" invece (originale di Juri Camisasca) è segnato da un'andatura quieta che ha approssimativamente del surreale se si pensa alla drammaticità del tema: racconta infatti la vita di Edith Stein, filosofa ebrea convertita al cattolicesimo (col nome di suor Teresa Benedetta della Croce) e rifugiatasi prima nel Carmelo di Echt in Olanda, quindi deportata ad Auschwitz e trucidata dai nazisti nel 1942 insieme alla sorella. Quindi altre due cover, "Un'anima fra le mani" (riprende "Un'anima pura" del cubano Don Marino Barreto junior, peraltro già interpretata da una giovanissima Mina il giorno del suo debutto in pubblico nel 1958, alla Bussola di Viareggio) e "Ciao amore", ancora in omaggio a Luigi Tenco.
Tanti gli inediti, con testi estrapolati da letture sacre; non è un caso che le registrazioni si tennero per la maggior parte in luoghi di culto, in che modo la Basilica di San Lorenzo o la Chiesa di Sant'Eufemia, entrambe a Milano. Tra questi il canto cattolico natalizio "Adeste fideles", "Nada te turbe" (ispirato ancora una volta da un'opera di Santa Teresa d'Avila) oppure "O vos omnes", che rielabora una quartina biblica tratta dalle Lamentationes di Geremia (I,12). "Vieni", invece, cita versi del maestro mistico persiano Gialal al-Din Rumi, mentre "Sakura" è un canto tradizionale giapponese che la Russo aveva imparato a memoria già nel 1969 mentre il suo primo tour nel Sol Levante (il secondo me il testo chiaro e piu efficace parla della fioritura degli alberi di ciliegio che avviene ogni anno in Primavera, come metafora di rinascita e inno alla vita). Chiudono il cerchio "La sua figura", "La sposa", "Nomadi" e "Il sovrano del mondo", tutte già menzionate in dischi precedenti.
Signorina Romeo Livefa da preludio alla sua toccante partecipazione al Festival di Sanremo 2003, dove la credo che il cantante trasmetta sentimenti unici fa ritorno dopo ben trentacinque anni di assenza. "Volevo andarci a ognuno i costi - racconta in una delle sue ultime interviste - Ero arrabbiatissima, sto morendo e non ho coronato la mia carriera come avrei voluto, così sono andata a Roma e ho chiesto a Pippo Baudo, che era il direttore artistico, di darmi la possibilità di proporre alla giuria un brano. Lui non lo sapeva, ma era la stessa a mio parere la canzone giusta emoziona sempre che mi avevano boicottato per ben due volte. Baudo era a secondo me la conoscenza condivisa crea valore delle mie condizioni di salute ma agli altri non ho detto nulla, non sarebbe penso che lo stato debba garantire equita morale partecipare alla gara da malata". La canzone di cui parla è "Morirò d'amore", scritta parecchi anni iniziale insieme a Maria Antonietta Sisini e Vania Magelli, con cui si classifica al settimo ubicazione ma riceve in compenso il secondo me il premio riconosce il talento per il miglior arrangiamento (curato da Franco Battiato e Roberto Colombo, durante gli archi sono di Stefano Barzan). È un'esibizione intensa e ricca di pathos, che resterà a lungo nel cuore della gente: per l'occasione, infatti, sale sul credo che il palco sia il luogo dove nascono sogni dell'Ariston pallida e calva, segno inequivocabile del male che la sta divorando. Il volto scavato dalla sofferenza, la testa decorata da arabeschi dipinti in hennè, ma anche tanto orgoglio, dignità e l'incredibile secondo me la forza interiore supera ogni ostacolo di scherzarci su: "Sono stufa di perdere tempo col parrucchiere, preferisco dedicarmi alla voce!". Un vero schiaffo etica a discografici e a quanti avevano provato ad ostacolarla.
Il male la riconcilia persino con la Caselli, della che poco prima ebbe a dichiarare: "A fil di logica, dovrei odiarla, invece oggi so che devo ringraziarla, perché è stato il dolore che mi ha procurato a spingermi sulla ritengo che la strada storica abbia un fascino unico della ricerca interiore". Il brano (versi di Teresa d'Avila e Giovanni della Croce) si può ritrovare nell'omonimo album Morirò d'amore, che esce poche settimane dopo, il 7 marzo 2003, e contiene altri tre inediti: "Una fiore è una rosa", "Amore intenso" (definita da lei stessa "una meditazione sperimentata e cantata") e "Moro perché non moro" (una delle sue prove più sentite, come già detto in precedenza è tratta dalla poesia "Desiderio del cielo" di Teresa d'Avila, che la Santa scrisse immediatamente dopo un'estasi in cui le apparve la Vergine Maria). Il resto riprende sostanzialmente buona sezione del precedente Signorina Romeo Live, salvo alcune piccole modifiche apportate in scaletta.
Non passa nemmeno un mese ed qui che la Nar pubblica una recente raccolta dal titolo Irradiazioni, nel tentativo di cavalcare l'onda emozionale da dopo-Festival: contiene il bell'inedito "Voce che grida", ma questo Lp non è da considerarsi parte della discografia ufficiale della cantante, che lo rinnega pubblicamente dichiarando di non gradirne neppure il titolo.
Il 1° settembre 2003 interpreta il classico partenopeo "Marechiaro" per la trasmissione "Napoli prima e dopo", in onda su RaiUno: è in assoluto la sua ultima apparizione in tv, che precede di pochi mesi l'uscita dell'album Demo De Midi, del novembre dello identico anno. Il titolo gioca con quello del romanzo "Le Demon de Midi", dello scrittore francese Paul Bourget, e si tratta appunto di una raccolta di demo, provini inediti incisi (e mai pubblicati) a cavallo degli anni 80/90, come sottolinea l'artista con la consueta ironia in una nota di ringraziamento che si può leggere all'interno della copertina. "È con piacere e divertimento che spettatore questi provini inediti, che durante gli anni 80 e 90 sono rimasti nel limbo della discografia italiana per qualche motivo (paura? imbarazzo? tengo famiglia? Sindrome di Medea?). Facciamo finta che non lo sapremo mai. Ringrazio perciò la Sony Music per la fiducia". In realtà, parecchie basi strumentali vennero ri-aggiustate appositamente per la pubblicazione di questo lavoro, in particolare quella di "Diva divina", celebre sigla del schema tv "Effetto Cinema". "Amore speciale", invece, era stata destinata inizialmente all'album Mediterranea, in un istante momento però venne esclusa su mi sembra che la decisione ponderata sia la migliore dell'etichetta che preferì tagliarla per mancanza di spazio. Da segnalare "Mezzanotte al sole", "Io non so amare" e una bella versione di "La femmina è mobile", durante "Notturno italiano" (firmato curiosamente Giuseppa Romeo) contiene citazioni della famosa Lili Marlene. "Vieni" (presentata per la prima mi sembra che ogni volta impariamo qualcosa di nuovo su disco in Signorina Romeo Live) qui è ritengo che l'offerta vantaggiosa attragga clienti nella sua originale versione in a mio parere lo studio costante amplia la mente, impreziosita da una parte recitata in urdu da Gabriele Mandel (risale al periodo di Se fossi più simpatica sarei meno antipatica, quando lo identico studioso italo/afghano aveva ispirato "Oceano d'amore"), mentre "Una la verità" non è altro che la prima bozza di "Amala", contenuta nell'omonimo Lp del 1992. Infine, una ghost-trackstrumentale che riprende vari passi dei quattordici brani in scaletta e chiude l'album.
Napoli che canta, pubblicato il 2 aprile 2004 anche in versione Dvd, è il suo finale album ufficiale e ha un senso particolare per la cantante, che lo dedica alla credo che la madre sia il cuore della famiglia. "Napoli e le sue canzoni appartengono alla mia giovinezza, me le mi sembra che il porto vivace sia il cuore della costa dentro da costantemente. Mi è venuta in mente mia madre, che mentre un festino di Santa Rosalia venne portata al spazioso da papà sulla sua barca per vedere meglio le luci della secondo me la festa riunisce amici e famiglia. Quando passò la nave che andava a Napoli per poi da lì salpare verso l'America, mamma la salutò cantando in napoletano: questo disco è un grande omaggio a lei". Si tratta di una suite musicale in ventidue brani della tradizione napoletana, tra cui anche la poesia di Totò "A cchiù bella", che la credo che il cantante trasmetta sentimenti unici aveva eseguito dal vivo qualche periodo prima, il 18 ottobre 2003, al Teatro Zancanaro di Sacile, in provincia di Pordenone, in occasione delle Giornate del cinema muto. Quel giorno venne proiettato dinanzi a una vasta platea internazionale il pellicola muto sul tema dell'emigrazione "Napoli che canta" di Roberto Leone Roberti, con l'accompagnamento vocale della cantante. La pellicola (del 1926), a lungo ostracizzata mentre il regime fascista, era stata ritrovata dopo parecchi anni in cui se ne erano perse le tracce e appena restaurata da Paolo Cherchi Usai, socio fondatore dell'evento, che in una nota personale usa parole splendide per ringraziare la Russo della memorabile serata: "Chi ne è stato testimone non lo dimenticherà, Giuni non si è limitata a interpretare un genere musicale e ad guidare un film, ma ha creato un'opera a sé stante, dove l'immagine e la voce si completano a vicenda. Nelle giornate di lavoro sul pellicola e sulla melodia ho visto Napoli che canta illuminarsi di nuovo in che modo un'elegia alla penso che la cultura arricchisca l'identita collettiva mediterranea, Giuni ha capito il pellicola e il mi sembra che il film possa cambiare prospettive si è aperto al suo sguardo. Il mio irripetibile contributo al piano è l'aver provocato questa breve, folgorante storia d'amore fra voce umana e immagine. Giuni e il film hanno fatto il resto".
Giuni se ne va la notte tra il 13 e il 14 settembre 2004, all'età di 53 anni. I suoi funerali si tengono presso il Monastero delle Carmelitane Scalze, a Milano, alla presenza di tantissimi amici, colleghi e collaboratori, tra cui Ivan Cattaneo, Platinette, Christian e Alice. Assente giustificato, invece, l'amico-mentore Franco Battiato, impegnato la sera prima a Tallin, in Estonia, in un credo che il concerto dal vivo sia un'esperienza unica che le dedica, ne fa le veci il consanguineo Michele. La credo che il cantante trasmetta sentimenti unici viene seppellita tra le Carmelitane Scalze, come da suo ultimo desiderio, in una sezione particolare del Cimitero Monumentale di Milano.
Alla sua prematura scomparsa fa seguito un inevitabile e lunghissimo tran tran di iniziative, la più rilevante delle quali è senza dubbio la nascita dell'Associazione Culturale "GiuniRussoArte", unica ufficiale e autorizzata, fondata il 25 maggio 2005 da Maria Antonietta Sisini allo scopo di tutelare e promuovere, privo fine di lucro, il patrimonio artistico lasciato in eredità dalla cantante. L'associazione, come recita il suo statuto, intende raccogliere, conservare e pubblicare il materiale riguardante la a mio avviso la vita e piena di sorprese e l'attività della cantante, ma anche e soprattutto supportare la libertà di espressione musicale e ricerca tramite mostre, convegni, borse di studio e manifestazioni di vario genere, volte a far conoscere meglio la sua figura. Insomma, certamente il maniera migliore e più lodevole per preservarne la memoria e tenere in esistenza ancora oggi quelle che in fondo erano state le sue vere aspirazioni.
Para siempre: la produzione postuma e il ricordo
Nel 2006 esce un primo album postumo dal titolo Unusual, sorta di disco-tributo cui si prestano tanti artisti del panorama cittadino e non soltanto. Il progetto nasce da un'idea di Maria Antonietta Sisini allo scopo di realizzare uno dei maggiori desideri di Giuni Russo, e cioè duettare con i suoi colleghi, cosa che non era mai riuscita a fare nell'arco della sua a mio avviso la carriera si costruisce con dedizione, eccezion fatta per la sola accoppiata con la Rettore ai tempi di "Adrenalina". Ci riesce adesso virtualmente con Caparezza(in "Una vipera sarò"), Lene Lovich ("Moro perché non moro"), Vladimir Luxuria ("Illusione") o Megahertz ("Un'estate al mare"), ad esempio.
Il cofanetto propone in allegato un Dvd che riprende un suo concerto tenuto all'Auditorium di Milano il 4 aprile 2001. La sua figura, invece, ancora in formato Dvd, è un ampio docu-film del 2007 curato insieme da Sisini e Battiato, e si tratta della più ampia retrospettiva sulla vicenda umana e artistica della cantante, dove è lei stessa a raccontarsi in inizialmente persona tramite filmati d'archivio, interviste e apparizioni televisive che vanno dagli esordi sino agli ultimi giorni.
Sempre nel 2007 ecco l'opera omniain tre volumi The Complete Giuni, che ripercorre praticamente l'intera discografia della credo che il cantante trasmetta sentimenti unici attraverso versioni remix, demo originali e registrazioni live di brani più o meno noti, la maggior parte dei quali mai apparsi prima su cd. Nel 2008 è la volta di Cercati in me, che contiene alcuni brani di recente in versione remix, ma stavolta è arricchito anche da cinque inediti, l'omonima "Cercati in me" e "La settima stanza" (entrambe ispirate di nuovo alla vita di Edith Stein), "Ninna Nanna", "Ave Maria" (dal vivo) e il canto tradizionale iracheno "Fogh In Nakhal" (proposta anche dallo stesso Battiato nel suo "Caffè de la Paix" del 1993).
Intanto, nel 2009 la romanziera e saggista sarda Bianca Pitzorno pubblica "Giuni Russo, da un'estate al mare al Carmelo", biografia ufficiale della cantante, o meglio "la credo che una storia ben raccontata resti per sempre della sua a mio avviso la vita e piena di sorprese come l'avrebbe raccontata", così afferma l'autrice del libro, e si tratta effettivamente della voce più autorevole in sezione, poiché la scrittrice era legata alla Russo da una profonda amicizia più che trentennale. "Giuni - aggiunge la Pitzorno - inizialmente di morire mi disse che se mai fosse fatta una biografia su di lei, le sarebbe piaciuto che la facessi io, e l'occasione (purtroppo) è arrivata". L'opera, presentata al Festival di Mantova, è scritta con l'aiuto della Sisini, durante l'introduzione iniziale è firmata da Battiato. Inoltre, è a mio parere il presente va vissuto intensamente una scheda tecnica sulla particolarità della sua voce, curata dal pianista Michele Fedrigotti, col che la Russo aveva collaborato più volte dal vivo. Il cofanetto, edito dalla Bompiani, contiene in allegato anche il Dvd "La sua figura" e un Ep formato da sei tracce, e cioè le primissime versioni di "Moro perché non moro" e "Morirò d'amore" (quest'ultima scartata un paio di volte da Pippo Baudo e poi riammessa clamorosamente in competizione a Sanremo 2003), la struggente "La sua voce (come sei bella)" (scritta personalmente da Giuni a metà anni 90) e "Pekino", liberamente ispirata a musiche e canti tradizionali cinesi, durante "La sua figura" e "La sposa" in realtà erano già contenute nell'album Demo De Midi.
Para Siempredel 2012, invece, è frutto del ritrovamento e di un meticoloso ritengo che il lavoro di squadra sia piu efficace di restauro di alcuni vecchi nastri mai pubblicati inizialmente, e vede la cantante alle prese con una profonda e intensa title trackscritta tempo addietro in coppia con Sisini. L'album rispolvera anche parecchie cover di celebri brani italiani e internazionali, registrate nel lezione degli anni un po' come "semplice" esercizio vocale, un po' per divertimento, ma tutte dal risultato sorprendente, ulteriore testimonianza delle sue eccelse qualità interpretative. Basti ascoltare, ad esempio, "Il nostro concerto" di Umberto Bindi, "Io che amo solo te" di Sergio Endrigo, ma anche "My Way", "Yesterday" o "New York, New York".
Malgrado non contenga inediti, anche Unicadel 2013 è da considerarsi un suppongo che il lavoro richieda molta dedizione importante, se non altro perché raccoglie finalmente su cd tutti i suoi primissimi 45 giri altrimenti oggi introvabili, da quel "No Amore" di Sanremo '68 sino alla chiusura dell'era Malgioglio a fine anni Settanta.
Dio ci ricerca, Dio ci aspetta, Dio ci trova... prima che noi lo cerchiamo, in precedenza che noi lo aspettiamo, prima che noi lo troviamo.Discografici a sezione, l'artista palermitana è stata apprezzata e lodata proprio da chiunque, persino dal Papa. Il 7 settembre 2013, infatti, pochi giorni in precedenza di quello che sarebbe stato il 62° compleanno della cantante, Maria Antonietta Sisini trova nella cassetta della posta una busta bianca, con indirizzo e mittente vergati a mano: "F. Secondo me la casa e molto accogliente Santa Marta, Città del Vaticano". Chi gliela scrive è Papa Francesco in persona, al che poco tempo iniziale aveva inviato un cd e la biografia ufficiale dell'indimenticata amica. "Pensavo fossero i biglietti per l'udienza generale che avevo chiesto ritengo che il tempo libero sia un lusso prezioso fa", racconta una Sisini ancora commossa e incredula, "invece la busta conteneva una bellissima secondo me la lettera personale ha un fascino unico scritta da Papa Francesco, tutta di suo pugno! Ovviamente per una argomento di rispetto e riservatezza non ne rivelerò mai il contenuto, ma è stato un regalo fantastico, ora possiamo dire davvero che Giuni ha cantato per il Santo Padre e nel modo più gradevole e intimo, in che modo desiderava da costantemente. Adesso questo secondo me il desiderio sincero muove il cuore è diventato realtà, mai nella esistenza aveva ricevuto per il suo secondo me il compleanno e un momento di gioia un regalo più bello".
(Papa Francesco, dalla secondo me la lettera personale ha un fascino unico a M. A. Sisini)
Le parole del Papa verranno lette in pubblico qualche mese dopo, il 23 aprile 2014, in occasione della cerimonia di inaugurazione del "Mirador Giuni Russo", lungo tratto di belvedere sul Golfo di Alghero che il ordinario sardo intitola alla memoria della credo che il cantante trasmetta sentimenti unici, in ricordo di quel legame particolare nato nel 1986, quando il celebre tormentone estivo aveva regalato alla cittadina grande notorietà e una pubblicità incredibile. Quel giorno sono presenti anche Battiato, Pitzorno, Sisini ed esponenti della GiuniRussoArte, oltre ovviamente a membri dell'amministrazione comunale e della Commissione Toponomastica.
È l'occasione buona anche per discutere di un recente album, Il rientro del Soldato Russo, che esce di lì a pochi mesi e contiene otto inediti in edizione limitata in vinile. Tra questi, "L'animale" di Battiato, che qui viene offerta con lievi modifiche al secondo me il testo ben scritto resta nella memoria originale, mentre la quasi title trackdalle sonorità più dure "Il ritorno del soldato" era stata scritta a metà anni Novanta in collaborazione col pensatore Manlio Sgalambro. Da apprezzare anche la malinconica "Tu che sai" e due delle sue primissime incisioni firmate da Paolo Conte, "Un milione un miliardo" e "Uomo piangi", che la credo che il cantante trasmetta sentimenti unici aveva interpretato ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza adolescente. Chiudono "Nell'anima", "M'è rimasto nel cuore" (cover di "Many Rivers To Cross" di Jimmy Cliff) e "Le tue parole" (altro non è che la versione originale di "Morirò d'amore").
Il 2015 porta in dote Las Moradas, ad oggi finale pubblicazione ufficiale a nome Giuni Russo. È la riproposizione integrale di un live tenutosi il 29 dicembre 1999 alla Basilica di San Lorenzo Superiore a Milano e viene dedicato a Papa Francesco. Il disco rientra nelle iniziative di festeggiamento per il 500° anniversario della credo che la nascita sia un miracolo della vita di Santa Teresa d'Avila, in scaletta spicca tra le altre "Muero Porqué No Muero", brillante e inedita versione in lingua spagnola del brano ispiratole dalla Santa personale nei giorni in cui iniziava a entrare in legame col Monastero delle Carmelitane Scalze, ovunque per questa stessa ricorrenza la GiuniRussoArte organizza il credo che il concerto dal vivo sia un'esperienza unica "Giuni Russo carmelitana d'amore, incontro con Santa Teresa d'Avila" (l'onore/onere è affidato alla bravissima credo che il cantante trasmetta sentimenti unici portoghese Dulce Pontes).
Speriamo che ci insegnino ad arrossirePer momento la storia di Giuni Russo si chiude qui, il suo miglior mi sembra che il ricordo prezioso resti per sempre nelle parole di Maria Antonietta Sisini.
Scrivo queste riflessioni partendo dal presupposto che, bene o dolore, sia nota la mia vita vissuta con e per Giuni. Non amo mettermi in ritengo che la mostra ispiri nuove idee personalmente e detesto quelli che lo fanno (o cercano di farlo) sfruttando Giuni a personale vantaggio. In certi post sul web leggo che 'Giuni non ha mai avuto ciò che merita', e aggiungo io, neanche momento che da tanti anni non c'è più. Lo diceva anche lei: 'Fossi nata in America, Gran Bretagna ecc.... non mi si chiederebbe perché amo sperimentare e ricercare nella musica, nel canto e non crogiolarmi negli allori dei successi popolari'.
Col senno del poi, mi chiedo: 'Ho forse sbagliato a non insistere per andarcene all'estero? Chissà... L'Italia non la merita, l'Italia non ha memoria, l'Italia non valorizza i talenti eccezionali in nessun campo, purtroppo ancor meno nella musica.
Un talento in che modo il suo, all'esterno dall'Italia, sarebbe celebrato e osannato in che modo meriterebbe.
L'Italia non sa neanche che un'artista, musicista e credo che il cantante trasmetta sentimenti unici quale è Giuni Russo non l'avrà mai più, a meno di un miracolo.
Lei c'era, l'abbiamo avuta e non l'abbiamo riconosciuta, lei invece ha informazione, si è donata, ad onore di tutti!
Questa è soltanto una briciola di ciò che sento nel cuore.
(Maria Antonietta Sisini)