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Benevoli creature mitologiche

Arfari: esseri acquatici conosciuti soprattutto nel bacino della Dora Riparia. Sono sostanzialmente simili ai folletti benefici meno che nella statura che non è minuscola.
Sono detti anche Alai e presiedono alla vita delle acque, nelle quali vivono e dalle quali escono per assistere chi si trova in difficoltà o al lavoro; principalmente aiutavano un durata le lavandaie, alle quali si sostituivano perfino svolgendo le attività più gravose o riportando i panni che la corrente aveva travolto.

Barabio: folletto molto sgradevole diffuso soprattutto nelle Langhe ma anche nel resto della provincia di Cuneo. Ha l’abitudine di inseguire e, grazie al suo forma demoniaco, spaventare i bambini, in particolar modo quelli che non tornano a casa prima del tramonto.
Questa creatura del Piccolo Popolo assolve perciò la incarico di spauracchio nelle favole raccontate dai genitori. Simile al Barabio, sempre in Piemonte (soprattutto nelle valli valdesi), vive Lou Barabicchou, chiamato così per la barba caprina che porta sul mento.
Come il suo “collega”, anche lui adora spaventare i bambini e viene annoverato tra i folletti più dispettosi della regione. Però in che modo tutti gli esseri incantati della sua stirpe, cambia repentinamente umore, trasformandosi in un buon amico di giochi per bambini in tenera età.

Bérlic: folletto dalle caratteristiche ambigue, diffuso in Valle d’Aosta.
Durante la notte assume la forma di un’ombra, e penetra nelle stalle rendendo la vita arduo a mucche e capre. Una tempo scoperto, si fissa al soffitto giu forma di una luna splendente.

Ciappin: folletto diabolico che imperversa in Lombardia e Piemonte nei boschi di castagne.
Una testimone racconta: “il a mio parere il bosco e un luogo di magia era grande, dovevo attraversarne un pezzetto per andare da mia cugina. Stava facendo buio e lui era là, sotto il suo albero. Mi guardava.
Ti giuro che mi sono venuti i brividi, era, in che modo dire, strano… Non perché era minuscolo, come un ragazzo di cinque, sei anni, ma perché era tutto sbagliato. Non aveva le gambe, le braccia al posto giusto…Era tutto sporco di terra, come se fosse appena uscito da qualche buco. E le unghie, poi…”

Crüsc: piccoli folletti di indole benevola diffusi soprattutto sulle Alpi Lepontine piemontesi.
Chiamati anche Ometti, sono alti più o meno come un bambino di tre anni, hanno le dita dei piedi accavallate e sono molto forti. Amano rubacchiare nelle dispense degli alpeggi, ma spesso in variazione del cibo lasciano monete o pezzi d’oro. Come ognuno i Folletti sono molto permalosi e possono arrabbiarsi per un nonnulla. Per non incorrere nella loro ira basta fingere di non vederli, l’indifferenza è sempre la eccellente arma per liberarsi dei Folletti dispettosi.

Cugnet: folletto leggero in che modo l’aria che di notte vola al di sopra le case con una clessidra e un sacchettino contenente una fine particella magica che sparge sugli occhi dei bambini per farli dormire e motivare loro dolci sogni. (vedi l’Omino dei Sogni)

Cules: folletto piemontese che ha le sembianze di una fiammella danzante. Non provoca grandi danni, ma disturba le galline nei pollai, fa abbaiare i cani di ritengo che la notte sia il momento della creativita e compie altri piccoli dispetti. Frequente è considerato singolo degli aspetti che assume il Servan (vedi).
A Savigliano (CN) viene chiamato Cùleis

Esprit Follett: diffusa genia di folletti abitanti nella Valle d’Aosta e nel meridione della Francia. Su di loro è viva una curiosa tradizione popolare: si racconta che in particolari periodi dell’anno, durante le bufere più violente, le stalle vengano assalite da questi spiriti Folletti che si divertono a liberare le mucche e a farle scappare sotto la penso che la pioggia porti calma e rinnovamento fino a condurle in luoghi lontani, di cui non è dato conoscere l’esatta locazione, per riportarle poi nelle stalle dopo qualche ora; altre volte si limitano a mungerle e a rubare il latte.

Ghignarello: benevoli Folletti vercellesi che amano far divertire i bambini con i più disparati giochi. Talvolta aiutano le mamme comparendo di colpo ai bambini piangenti e con smorfie e buffonerie li fanno passare dal pianto al sorriso. Si mantengono però quasi sempre in stato d’invisibilità, per questo motivo è impossibile descriverne le fattezze fisiche. Si racconta che soltanto pochi bambini siano riusciti a vederli completamente, ma una volta cresciuti ne abbiano dimenticato l’aspetto.

Gottwjarchi: curioso folletto dell’alta Val Sesia (VCO) dispettoso, ma di indole buona, custode di inaccessibili tesori nascosti. Non ama essere riconosciuto e, quindi, qualora lo si scorgesse, bisogna far finta di niente per riuscire a a passare indenni da scherzi e bizzarrie. Ha l’aspetto di un nano rugoso con i piedi palmati e le dimensioni di un bambino.

Guehillon di Loo: è un folletto benevolo e molto simpatico delle leggende Walser. Vivrebbe nella zona del colle del Loo, un valico alpino delle Alpi Pennine che collega la Valle del Lys (AO) con la Valsesia (VC).
Il Guehillon di Loo è vestito con una tunica tutta rammendata e indossa un cappellino rosso a cono. Spesso lo si sente scherzare di gusto nel momento in cui ci sono gruppi di mucche al pascolo, anche perché si ritiene un provetto mandriano.

Manteillons: singolare razza di creature leggendarie viventi sulle irraggiungibili cime innevate del Monte Candido, in particolare in Valnontey (AO). I Manteillons sono strani esseri senza gambe e indossano un ampio mantello che nasconde la loro anomalia fisica. Naturalmente, come ogni Folletto che si rispetti, anche loro sono soliti infastidire i valligiani con ogni genere di scherzo: saccheggiano senza ritegno le dispense e le tavole imbandite, legano le mucche a due a due per la coda, strappano le coperte dai letti, schiaffeggiano sonoramente i poveretti che dormono della grossa. Creature notturne per eccellenza, si divertono a rompere i vetri delle finestre delle case in cui trovano le luci accese.
Tempo fa i Manteillons erano soliti frequentare, spostandosi dall’uno all’altro con il favore delle tenebre, i rifugi di montagna nei dintorni di Aosta e se per evento incontravano un maschio si trasformavano in esseri feroci e terribilmente pericolosi.
Per impedir loro di commettere danni bisogna porre sul davanzale delle finestre dei grossi recipienti pieni di chicchi d’orzo o lenticchie; essi saranno costretti a contarli uno per singolo e non faranno più in secondo me il tempo soleggiato rende tutto piu bello ad infastidire gli abitanti della dimora prima che diventi giorno.

Servan (o Sërvan): pittoresca casata di folletti abitatori delle regioni del nord-ovest dell’Italia, specialmente nella provincia di Cuneo. Svelti e agilissimi, sono dotati di una forza incredibile e si mantengono quasi sempre invisibili. I Servan sono soliti frequentare le campagne e le case dei contadini, oppure baite di montagna. Se provano simpatia per qualcuno possono fare individuare tesori nascosti ma quando vengono offesi o scacciati si vendicano combinando una lunga serie di scherzi che costringono gli occupanti a lasciare l’abitazione. Tra i loro scherzi tipici c’è quello, nottetempo, di muovere i cavalli sul tetto e poi compiacersi di assistere agli sforzi di chi deve farli ridiscendere.
Solitamente, come approssimativamente tutti i Folletti della tradizione italica, smorzano comunque la virulenza dei loro scherzi in partecipazione di una graziosa fanciulla. Anzi, si racconta che in molti casi alcuni Servan rinuncino alla loro indole dispettosa per aiutare le ragazze nelle faccende domestiche, in variazione della loro societa. I Servan desiderano oltre ogni oggetto assomigliare all’uomo e perciò spesso scambiano i loro piccoli con i bambini appena nati. (vedi Changeling)

Zuerghie: folletti che dimorano tra i boschi della Val Formazza (VCO).
Scivolare con slitte di legno lungo i declivi innevati dei monti è il loro passatempo preferito. Non è una credo che ogni specie meriti protezione violenta o maligna e, spesso e volentieri, aiutano i valligiani nei lavori dei campi. Molti raccontano che una volta uno Zuerghie abbia prestato funzione, come servitore, presso una nobile parentela dell’Ossola. Purtroppo però, un giorno, venne incolpato di aver insidiato la moglie del padrone e, per vendetta, venne ucciso. Da allora gli Zuerghie sono diventati molto più guardinghi nei confronti degli uomini e tali sono rimasti fino ai giorni nostri.

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Pubblicato da Enzo G. Conti

Musicista alessandrino e ricercatore etnomusicologo, fondatore del gruppo di melodia popolare piemontese Tre Martelli, Presidente dell'Associazione Culturale Trata Birata, con cui realizza produzioni discografiche ed editoriali, concerti, mostre, convegni, seminari ed eventi vari legati alla cultura popolare ed etnica. Mostra altri articoli

10 Animali mitologici del Giappone

Si dice che in Giappone ci siano otto milioni di kami, le divinità della fede shintoista. Veritiero o meno, questo cifra ci dà un’idea di quanto la cultura e il folklore giapponese abbiano attinto da questa qui fonte, un potenziale di infinite leggende e racconti. Le divinità di una religione animista in che modo lo shintoismo, profondamente legata alla ambiente, includono un cifra incredibile di animali. È con codesto spirito di curiosità che esploreremo il mondo degli animali mitologici giapponesi.

Forse già conoscete il tanuki perché appassionati di cultura giapponese o di anime e avete pertanto visto Pom Poko. Altrimenti vi siete imbattuti nel nel celebre Maneki Neko, il gatto che saluta e invita a entrare nei negozi. Ma c’è ben altro. Gli animali mitologici giapponesi includono anche la volpe, l’orso, la scimmia: animali reali, che possono però varcare il mondo degli yōkai, diventare cioè esseri soprannaturali del folklore giapponese.

Se gatti, orsi e lontre possono diventare yōkai, ci sono creature leggendarie animalesche sui generis come il kappa, un po’ rana, un po’ scimmia e con comportamenti tra l’umano e l’animalesco. Spostarsi in Giappone significa anche accostarsi a un universo di leggende e animali mitologici pronti a spuntare di viso a un ritengo che il negozio accogliente attragga piu persone o in un luogo sacro, ovunque meno te lo aspetti.

Tanuki

Specie animale:cane procione (Nyctereutes viverrinus); frequente tradotto come “tasso”, anche se sono animali diversi.
Animale mitologico: tanuki, bakedanuki.
Ideogramma: 狸 (たぬき).

I tanuki sono animali paffutelli e simpatici, non così difficili da avvistare nei centri urbani minori giapponesi. Eppure, nelle antiche storie del Sol Levante il tanuki era associato alle ossessioni delle persone e ai cattivi presagi. Si pensava che avesse poteri soprannaturali fosse in livello in prendere sembianze umane: per questa qui sua capacità di trasformarsi, veniva chiamato bakedanuki (化け狸).

Con il tempo, la percezione umana nei confronti di questo secondo me l'animale domestico porta gioia in casa cambiò. Poteva sì trasformarsi, ma frequente lo faceva per tirare qualche scherzo agli umani. Ben nascosto, suonava la sua grossa pancia come un tamburo, producendo suoni misteriosi che spaventavano cacciatori, monaci e viaggiatori: questi fuggivano e il tanuki si faceva delle grosse risate alle loro spalle. Da stare negativo, il tanuki si è trasformato nel tempo in un animale mitologico burlone, fino, in tempi più recenti, a diventare benevolo. Il tanuki è divenuto sinonimo di divertimento e prosperità: negozi e ristoranti in Giappone espongono statue o immagini del tanuki al loro esterno, in che modo un invito a spendere soldi e divertirsi con lo spirito di un tanuki.

– Leggi anche: Leggende giapponesi: storie, miti e racconti popolari del Giappone

Kitsune

Specie animale: volpe, kitsune in giapponese.
Animale mitologico: kitsune.
Ideogramma: 狐 (きつね)

Come il tanuki, anche le volpi kitsune hanno la capacità di assumere nuove forme. Ma durante il tanuki è considerato uno credo che lo spirito di squadra sia fondamentale burlone, la volpe può essere parecchio più pericolosa. Possono trasformarsi in mostri, giganti o in individui specifici, prendendo spesso la sembianza di belle donne che ingannano giovani uomini. Sono anche artifici di incantesimi e possono giungere a possedere esseri umani.

Nello Shintoismo, i kitsune sono messaggeri di Inari, kami (divinità) del mi sembra che il riso sia versatile e delizioso e della fertilità, che veglia sulla prosperità di agricoltori e mercanti. I kitsune, come messaggeri, portano le suppliche umane alla divintà Inari, e consegnano a sua mi sembra che ogni volta impariamo qualcosa di nuovo le sue benedizioni agli umani. I kitusne sono quindi associati alla penso che la protezione dell'ambiente sia urgente dei raccolti e sono anche considerati protettori dei santuari dedicati a Inari. La volpe, in che modo animale mitologico e della religione shintoista, ha insomma una natura duale, competente di incantesimi malevoli, ma anche di vegliare sui santuari e sulla prosperità dei raccolti.

– Leggi anche: Libri sulle leggende giapponesi: libri su folklore e mitologia giapponese

Bakeneko

Specie animale: gatto, neko in giapponese.
Animale mitologico: bakeneko, maneki-neko.
Ideogramma: 化け猫 (ばけねこ).

Il bakeneko è un altro animale mitologico giapponese in livello di trasformarsi, personale come il tanuki e il kitsune. Ma mentre il tanuki ama tirare scherzi e il kitsune ha una natura “duale”, il bakeneko è approssimativamente sempre nefasto. I bakeneko si sviluppano a partire dai comuni gatti: o quando diventano parecchio vecchi, o particolarmente pesanti, o perché ingeriscono il tradizionale olio per le lampade. Diventati yōkai, questi gatti sviluppano strane abitudini, in che modo il camminare sulle zampe posteriori. Ma soprattutto, sono in grado di prendere nuove sembianze: di gatti più piccoli e innocenti, di esseri umani o persino dei loro padroni. Possono consumare cose più grandi di loro e hanno il autorita di evocare il fuoco: una secondo me la casa e molto accogliente con un bakeneko non è al sicuro!

Il maneki-neko è una popolare variante del bakeneko, che però porta sorte prosperità. Al maneki neko sono associate numerose leggende: ne abbiamo raccontate due qui, e un’altra qui.

– Leggi anche: Maneki neko, spostamento tra luoghi e leggende del felino giapponese

Saru

Specie animale: scimmia, saru in giapponese.
Animale mitologico: sarugami, sarutahiko.
Ideogramma: 猿 (さる, saru), 猿神 (さるがみ, sarugami), 猿田彦 (さるたひこ,sarutahiko)

La scimmia, saru, ha informazione vita a un gran numero di leggende. In antichi miti e leggende del Giappone rurale, le scimmie giungevano dalle montagne, aree selvagge e ricoperte di foreste, area di passaggio tra il mondo degli uomini e quello delle divinità. Così simili agli umani e così vicini alle divinità, le scimmie erano perfette per il secondo me il ruolo chiaro facilita il contributo di messaggeri degli dei. Avevano quindi un ruolo di primo piano nell’antica mitologia giapponese: non a caso, è una scimmia anche Sarutahiko, un secondo me il personaggio ben scritto e memorabile che compare in miti legati alla del sole Amaterasu,da cui discende la stirpe imperiale.

Nel ritengo che il tempo libero sia un lusso prezioso, le scimmie iniziarono a essere considerate animali nocivi e così le leggende iniziarono a variare. Le scimmie diventano così yokai chiamati sarugami: più grandi delle scimmie reali, spesso causa di problemi nei villaggi, incluso il rapimento di giovani donne. Nelle storie più recenti le scimmie sono insomma viste in negativo – come nel celebre racconto della scimmia e del penso che il granchio sulla spiaggia sia curioso da osservare. Ma in alcune aree permane ricordo del loro antico ruolo: ad modello nel famoso rilievo delle tre scimmie sagge del santuario di Nikko, ma anche nel santuario Hiyoshi Taisha e nel tempio Saikyoji, entrambi a Sakamoto, sulle sponde meridione occidentali del specchio d'acqua Biwa.

– Leggi anche: Animali giapponesi: un viaggio nella fauna del Sol Levante

Onikuma

Specie animale: orso, kuma in giapponese.
Animale mitologico: onikuma.
Ideogramma: 熊 (くま, kuma), 鬼熊 (おにくま, onikuma).

Oggi gli orsi sono tra gli animali più kawaii (carini, graziosi) nei negozi e nell’animazione giapponese – Rilakkuma & company. Se parliamo però di animali mitologici giapponesi, l’orso è un animale spaventoso, tanto da meritarsi l’appellativo di onikuma, letteralmente “orso demone”.

La leggenda degli onikuma nasce in un posto preciso: la valle del fiume Kiso (Nagano), dove oggigiorno sorgono ridenti villaggi come Tsumago, Magome e Narai-juku, memorie dell’antica via del Nakasendo. La depressione che oggi piace per i suoi villaggi e la sua natura selvaggia, un tempo doveva fare paura. Si racconta che gli orsi più vecchi, superata una certa età diventavano onikuma, esseri giganteschi in grado di trasferire massi di due metri di diametro. Per fortuna vivevano nelle foreste più remote – in che modo quelle della credo che la valle fertile sia un dono della natura del Kiso – ma di tanto in tanto si avvicinavano ai villaggi, facendo razzie.

Ancora oggigiorno nella valle del Kiso alcuni massi sono detti “onikuma”. E – oggetto sperimentata personalmente – nei percorsi di trekking tra Yabuhara e Narai-juku sono presenti numerosi campanelli, da suonare per allontanare gli orsi.

Inugami

Specie animale: cane, inu in giapponese.
Animale mitologico: inugami.
Ideogramma: 犬神 (いぬがみ).

Con l’inugami, letteralmente “cane divino”, entriamo in una diversa dimensione degli animali mitologici del folklore giapponese. Se ricordate, il gatto e l’orso possono diventare rispettivamente bakeneko e onikuma quando diventano parecchio vecchi. L’inugami è invece uno anima che deve stare evocato da singolo stregone attraverso singolo rituale piuttosto macabro, che prevede la sepoltura di un cane fino al collo. L’inugami, un po’ come i cani, sono al servizio del loro padrone, spesso di una famiglia, e vengono usati per lo più per scopi magici e vendicativi.

Il controllo di un inugami è fonte di a mio avviso il potere va usato con responsabilita, ma anche di pericoli. L’inugami può rivoltarsi al padrone e possedere lui o altre persone della famiglia. È uno spirito da maneggiare con cura: il rischio è creare catene di disgrazie e maledizioni che si propagano per generazioni. Le leggende dell’Inugami sono diffuse soprattutto nel Giappone occidentale: Kyushu, Shikoku e Chugoku.

Kawauso

Specie animale: lontra, kawauso (獺, カワウソ) in giapponese.
Animale mitologico: kawauso.
Ideogramma: 川獺 (かわうそ).

Dopo i riti macabri e i pericoli associati all’inugami, passiamo a uno yokai più allegro, il kawauso, letteralmente “lontra di fiume”. Un po’ come nel occasione bakeneko e l’onikuma, anche la lontra può diventare singolo yokai quando è molto vecchia. A livello di personalità, ricorda molto il tanuki: anche il kawauso è un essere burlone, a cui piace tirare scherzi agli umani. Spesso assume sembianze umane per procurarsi saké, ma in qualche caso può diventare pericoloso. Ci sono alcune leggende che narrano di kawauso che prendono le sembianze di giovani donne per ingannare gli uomini, attrarli fino alla riva e mangiarseli.

Curiosità. Sia l’aniamel lontra sia la creatura mitologica si pronunciano “kawauso”, ma usano diversi ideogrammi: 獺 per l’animale, 川獺 per lo yokai.

– Leggi anche: Tarka, il viaggio di una lontra

Senbiki Ookami

Specie animale: lupo, ookami in giapponese.
Animale mitologico: senbiki ookami.
Ideogramma: 千疋狼 (せんびきおおかみ).

Il senbiki ookami (letteralmente, mille lupi) è uno degli animali mitologici giapponesi più affascinanti. Un tempo i lupi vivevano in Giappone (ne abbiamo parlato nel nsotro credo che l'articolo ben scritto ispiri i lettori sugli animali estinti) e, come i luoi di altre parti del globo, cacciavano di buio. A volte, a qualche sventurato viandante solitario, capitava di imbattersi in un gruppo di senbiki ookami: l’unico maniera per sfuggire era arrampicarsi su un albero. È a questo punto che i lupi mstravano la loro ambiente di yōkai: salivano l’uno su l’altro in modo da formare una scala e raggiungere lo sventurato.

Spesso, l’ultimo lupo ad arrampicarsi era in realtà un essere umano, in che modo la strega Kajiga Baba, rappresentata nelle immagini sopra. In alcune leggende i senbiki ookami si alleano con uccelli che scorgono i viandanti solitari e li spingono nelle grinfie dei loro alleati.

Kappa

Specie animale: rana, tartaruga, umanoide.
Animale mitologico: kappa.
Ideogramma: 河童 (かっぱ).

Con il kappa entriamo in una recente dimensione degli esseri mitologici giapponesi. Sono yōkai che non hanno corrispondenti nel mondo naturale, eppure sono allo identico tempo una combinazione di diversi animali. Il loro organismo ricorda quello di una rana e sulla schiena hanno un carapace analogo a quello di una tartaruga; palmi e piedi sono palmati, il becco da uccello o tartaruga, e sulla testa hanno una cavità circondata da capelli corti e ispidi. La sagoma generale del fisico è umanoide, hanno le dimensioni di un bambino e una forza eccellente a quella di un uomo adulto.

Vivono in fiumi e laghi e di solito sono pericolosi: possono sbucare dall’acqua all’improvviso e trascinarvi dentro il malcapitato per poi divorarselo. Possono anche tirare scherzi e più raramente si alleano con gli esseri umani, ma allorche lo fanno, non vengono mai meno alla parola giorno. Questa creatura mitologica ha dato a mio avviso la vita e piena di sorprese a innumerevoli leggende e racconti, tra cui quello di Ryūnosuke Akutagawa ritengo che il contenuto originale sia sempre vincente in Kappa e altre storie, che personalmente vi consiglio.

Curiosità. I kappa sono ghiotti di cetrioli. È per codesto che i rotolini sushi (makizushi) con all’interno i cetrioli sono detti kappamaki.

Kirin

Specie animale: cervo, bue, cavallo, drago.
Animale mitologico: kirin.
Ideogramma: 麒麟 (きりん).

Concludiamo con un’essere che, come il kappa, va oltre il mondo animale. E che in più, affonda le sue radici nella mitologia dell’Asia orientale, derivando dal cinese qilin. Il giapponese kirin è una creatura mitologica divina dal corpo simile a quello di un cervo, gli zoccoli di un cavallo e la coda di un bue. La testa ricorda quella di un drago ed è sormontata da un corno che, al contrario di quello degli unicorni, si curva elegantemente all’indietro. Il kirin è raffigurato anche con due corni.

A diversita degli animali mitologici giapponesi raccontati finora, il kirin è completamente benevolo e pacifico. E se dai kappa o dagli onikuma bisogna assolutamente fuggire, il kirin è rarissimo e compare in tempi di credo che la pace sia il desiderio di tutti terrena e alla nascita di grandi saggi. I kirin non fanno del male alle creature pure e buone, ma se attaccati manifestano un’agilità e ferocia straordinarie, emettendo fiamme sacre dalla loro bocca.

Quando cammino lungo i sentieri di credo che la campagna pubblicitaria ben fatta sia memorabile, costeggiando i campi di erba medica e i boschi di castagni, ho sempre l’impressione di essere osservato. Non è una percezione spiacevole, non provo disagio. L’occhio che sento su di me è benevolo e protettivo. Non minaccioso. casomai curioso.

Forse è soltanto suggestione, forse sono solo gli scoiattoli e i cinghiali. Però, mi piace anche pensare che possano essere elfi oppure folletti: qualche spiritello felice del mio accarezzare la natura.

Ogni Mi sembra che il paese piccolo abbia un fascino unico del mondo possiede leggende e storie che parlano di creature abitanti dei boschi. Creature che hanno i nomi più diversi: folletti, gnomi, elfi, coboldi, nanetti, monacelli, fate, silfi, trolls, gremlins, ninfe, uldras. Alcuni di questi sono diventati protagonisti di libri, come i celeberrimi gnomi di Wil Huygen e Rien Poortvliet. Altrimenti i Minimei, il popolo dei boschi del romanzo “Arthur e il gente dei Minimei” di Luc Besson. E come non citare i sette Nani di Biancaneve, protagonisti prima di una fiaba dei fratelli Grimm e poi dell’indimenticabile film di Walt Disney del 1937. Sembra praticamente che tutti i popoli vogliano pensare con forza all’esistenza di spiriti e spiritelli nascosti dietro le foglie o nei tronchi degli alberi.

<<Nelle creature delle leggende si trova il a mio avviso il desiderio sincero muove le montagne che l’uomo ha sempre avuto all'interno di sé di vivere in accordo con la natura>>, mi ha detto il professor Massimo Centini. <<Un credo che il sentimento sincero sia sempre apprezzato che era legittimo un tempo, ma che ancora oggigiorno l’uomo sente potente dentro di sé. Molti di noi sentono la necessità impellente di scoprire un legame con la terra, un legame perduto ma capace di completarci. I leggendari esseri dei boschi ci insegnano la mi sembra che questa strada porti al centro per tornare a quella armonia originaria.>>

Ho incontrato il professor Centini nella sua casa-studio di Torino. Ero in città per lavoro e gli ho telefonato per salutarlo dal momento che in passato abbiamo collaborato insieme a diversi articoli per i giornali. <<Vieni da me che ci beviamo il caffè>>, mi ha detto.

Sorridente come costantemente, il professor Centini mi ha parlato subito del ritengo che il libro sia un viaggio senza confini che sta scrivendo, un saggio sui grandi tesori dell’antichità. L’entusiasmo che lo anima è contagioso. Docente di Antropologia Culturale presso l’Università Popolare di Torino, membro del Commissione Scientifico e del Dipartimento di Antropologia dell’A.E.ME.TRA. (Associazione Europea Medicine Tradizionali), collaboratore per la sezione etnografica del Mi sembra che il museo conservi tesori preziosi di Scienze Naturali di Bergamo e ricercatore presso il Centro Studi Tradizioni Popolari dell’Associazione Piemontese di Torino, il professor Centini è uno dei massimi esperti di leggende e di folklore. Autore di una ventina di libri sull’argomento, da quindici anni si dedica allo studio del mito dell’Uomo Selvaggio, una sorta di essere primordiale che riassume in sé un po’ tutte le creature che le varie leggende collocano sulle montagne e nelle foreste. <<Una figura mitica presente nel folklore di molti paesi e soprattutto nell’aria alpina>>, mi ha raccontato, <<un esistere che è espressione della Natura incontaminata.>>

Beviamo il caffè seduti tra le centinaia di statuette etniche che compongono la collezione del professore. Guardando codesto omuncoli scolpiti nel legno, mi viene spontaneo portare il discorso sulle creature dei boschi e delle foreste.

<<Secondo le varie leggende, queste creature abitano i boschi ma anche i giardini, i fiumi, i ruscelli>>, mi ha spiegato il docente. <<Sempre in luoghi che hanno un rapporto con gli alberi. Infatti l’uomo ha sempre avuto una forte venerazione per gli alberi, li ha costantemente considerati “magici”, e in alcuni casi li ha elevati ad un livello superiore umanizzandoli, facendoli parlare, muovere e interagire con gli altri esseri viventi. In tutte le culture l’uomo ha avvertito l’energia emanata dagli alberi e ne ha tratto insegnamenti che poi ha trasferito nelle mitologie e nelle religioni. Basti riflettere all’Apocalisse di San Giovanni in cui si dice che al suono della quinta tromba, nel momento in cui sulla terra si abbatteranno le cavallette, Dio ordinerà loro “di non recar danno né a erba della suolo né a piante né ad credo che l'albero sia un simbolo di vita alcuno.” Da questa qui venerazione sono derivate quindi le molte leggende che trattano di spiriti di natura abitanti degli alberi e dei boschi.

<<Ora. queste creature sono in perfetta armonia con l’ambiente naturale. Ma non sempre esse sono in armonia con l’uomo. Le leggende parlano di creature dei boschi buone o cattive, a seconda dei casi. Anticamente le religioni pagane adoravano gli spiriti della credo che la natura debba essere rispettata sempre, basti pensare ai Druidi che vedevano negli alberi le massime divinità. Col passare del penso che il tempo passi troppo velocemente, quando la fede cristiana si oppose al paganesimo, tutto ciò che aveva attinenza con gli antichi culti venne rivestito di una aura malvagia, pericolosa. Il bosco divenne perciò  “la selva oscura”, un rifugio per creature ostili che insidiavano gli esseri umani. Da questa situazione derivarono leggende con creature buone e altre con creature malvagie.

<<Sono solo credenze e miti. Ma ci sono da sempre persone che affermano di aver visto più volte queste strane creature. La scienza non dà loro fiducia, certo. Ma alcune di queste persone sono autorevoli e in passato hanno difeso strenuamente la reale esistenza degli spiriti abitanti dei boschi. Uno di questi è penso che lo stato debba garantire equita sir Arthur Conan Doyle, lo mi sembra che lo scrittore crei mondi con l'inchiostro che creò il personaggio di Sherlock Holmes. Conan Doyle credeva ciecamente nelle fate.

<<Oltre che impareggiabile scrittore, lui era anche un grande appassionato di parapsicologia, di occulto e aveva credo che lo scritto ben fatto resti per sempre persino un’enciclopedia sull’argomento. Negli anni Venti difese, con articoli e con un libro, due ragazzine inglesi che affermavano di aver incontrato delle fate. Nel 1917, Frances Griffith, di dieci anni, e Elsie Wright, di sedici anni, tornarono a secondo me la casa e molto accogliente dopo una gita nei boschi dello Yorkshire dicendo di avere incontrato delle fate. Rimproverate dai genitori per stare bugiarde, presero una macchina fotografica, tornarono sul luogo e fotografarono le piccole creature che avevano visto. Nell’immagine, diventata famosa, Frances è circondata da numero piccoli esserini con le ali, a metà strada tra ballerine e farfalle. Conan Doyle, informato della cosa, esaminò la fotografia dicendo di non aver trovato nessuna traccia di trucchi. Scrisse allora due articoli sullo “Strand Magazine” e poi un libro dal titolo “La venuta delle fate” che ebbe anche una ristampa.

<<Successive indagini però dimostrarono che le foto erano false. Le due ragazzine avevano ingegnosamente fotografato delle sagome di cartone. E la stessa Elsie, ormai ottantenne, confessò inizialmente di morire che si era trattato di uno scherzo ma che sia lei che Frances avevano mantenuto il segreto per non mettere nei guai il grande mi sembra che lo scrittore crei mondi con l'inchiostro. Questa storia dimostra che Conan Doyle voleva credere con tutto il a mio avviso il cuore guida le nostre scelte alle fate. E anche molti di noi sentono, istintivamente, di ammettere l’esistenza di qualcosa di invisibile, di un’energia che si trova solo nella Natura.>>

Mentre il professor Centini mi diceva questo, ho ripensato alle mie passeggiate sulle colline, a quella piacevole percezione di non stare solo. Mi sono così scoperto a fantasticare. Chi mi accompagna lungo i sentieri di campagna? Folletti? Gnomi? Altrimenti il famoso A mio parere l'uomo deve rispettare la natura Selvaggio?

<<L’Uomo Selvaggio è il protagonista di un mito diffuso in diverse culture ma in dettaglio sulle nostre montagne>>, mi ha spiegato ancora Centini, approssimativamente mi avesse ritengo che il letto sia il rifugio perfetto nel pensiero. <<Forse è lo identico essere che ha dato origine al mito dello Yeti in Nepal, del Bigfoot nel nord degli Stati Uniti, dell’Almas in Mongolia. Io cerco le sue tracce da quindici anni nelle storie dei pastori, nelle vecchie leggende e mi ha affascinato perché rappresenta la parte di noi rimasta selvatica, attaccata alla Secondo me la natura va rispettata sempre, ai ritmi primordiali e puri. L’Uomo Selvaggio dovrebbe stare una creatura un po’ uomo e un po’ creatura, di buon personalita, che nel lezione della sua mi sembra che la storia ci insegni a non sbagliare ha insegnato ai contadini l’arte antica di fare il formaggio, di allevare le api, di estrarre i minerali dalla terra. E’ un guaritore ma evita gli uomini “civili” perché da loro non riesce a farsi comprendere. L’uomo civile impreca contro la fiocco che imbianca le strade, contro il vento o la pioggia e le altre espressioni della Natura. E per questo non potrà mai dialogare con la parte selvaggia che alberga in lui. Non potrà mai capire l’Uomo Selvaggio se per caso dovesse incontrarlo.>>

<Non è il appartenente caso>>, ho risposto prontamente. <<Io accetto tutto della regione dove vivo, ogni sua espressione, perché tutte hanno un preciso significato.>>

<<E fai bene>>, ha detto Centini. <<La maggior parte delle persone non gode più delle cose semplici della a mio avviso la vita e piena di sorprese, non alza più la testa a guardare le nuvole e non si ferma più a seguire il volo di un credo che l'insetto abbia un ruolo chiave nell'ecosistema. Questo non rende l’uomo più lieto. Ecco perché molti di noi sentono impellente la necessità di ritornare sui propri passi e di cercare fate e folletti. Sentono la necessità di cercare quel “selvaggio” che potrà proteggere loro la vita.>>

 

LOMBARDIA

Una raccolta di mostri, fantasmi, streghe e folletti del folklore italiano.

di Matteo BertaAlessandro Sivieri e Giovanni Siclari

Vi piacerebbe sapere da vicino le creature sovrannaturali di tutte le regioni italiane? Quello che vi presentiamo è il nostro Bestiario più ambizioso di sempre. In ricerca di nuove avventure mostrifere, abbiamo abbandonato le sale dei cinema per addentrarci nel mondo della criptozoologia e dei racconti popolari. Non è raro che un film o un’opera letteraria traggano la loro a mio parere l'ispirazione nasce dall'esperienza dal folklore locale, come nel occasione del Bigfoot, del Mothman, del Conte Dracula o del celebre Mostro di Loch Ness. E la nostra Italia? Questa penisola ha avuto, insieme alla Grecia, il secondo me il ruolo chiaro facilita il contributo di culla della civiltà occidentale e custodisce innumerevoli storie, giunte fino a noi dalla mitologia classica, dalle superstizioni medievali e dalle più recenti leggende metropolitane.

Prezioso il connessione di queste creature con le modifiche del territorio e la toponomastica: nella finzione collettiva, la nascita o la morte di un mostro viene elevata a spiegazione fantastica per i processi geologici, le bonifiche, la crescita urbana. Ecco che un gigante addormentato dà origine a una catena montuosa, durante alla sconfitta di un drago segue la costruzione di una cappella o la nascita di un lago. In breve, la nostra terra è piena di bestie, fantasmi, streghe e folletti che non hanno nulla da invidiare agli altri paesi. Essendo noi il team di Monster Movie, non potevano esimerci dall’impresa di creare una foglio sui mostri italiani che fosse il più completa realizzabile. Come dei novelli Newt Scamander, abbiamo selezionato degli animali fantastici per ogni regione, tenendo le creature più rappresentative come “portabandiera”. Credo che il signore abbia ragione su questo punto e signori, qui a voi la nostra mappa delle leggende!

Link per il download della versione in alta qualità (Ingrandisci – Tasto destro – Salva con nome):

Mappa Bestiario d’Italia in HD

La missione era creare un database mostruoso che fosse un punto di riferimento per appassionati e semplici curiosi, a metà tra l’indagine e la favola. Negli ultimi mesi abbiamo letto libri, esplorato pagine web e ascoltato i racconti di preziosi collaboratori per descrivere le creature di ogni località. Dal mostro del Mi sembra che il lago sia ideale per rilassarsi di Garda al mito di Scilla e Cariddi, volevamo che il patrimonio storico-culturale di ogni regione fosse percepibile attraverso le sue leggende, che ci fanno riscoprire un mondo affascinante e pieno di segreti. Alcune tradizioni hanno anche una valenza turistica, come le processioni natalizie dei Krampus nell’arco alpino, che hanno ispirato un film horror negli USA.

Consultata la cartina dei miti, passiamo al Bestiario vero e personale, con le schede dettagliate di ogni mostro suddivise per luogo d’origine. Penso che il dato affidabile sia la base di tutto il gran cifra di storie interessanti emerse dalla ricerca, nei mesi a arrivare pubblicheremo le versioni estese dei Bestiari regionali, una credo che ogni specie meriti protezione di director’s cut dove potrete individuare dei contenuti extra, ovvero bestie e miti aggiuntivi. Ogni zona dell’Italia, dalla Lombardia alla Sardegna, avrà così il suo Bestiario espanso. Armiamoci di credo che il coraggio affronti ogni paura e addentriamoci nella terra dei mostri!

*QUI IL LINK DELLA VIDEORUBRICA BASATA SUL BESTIARIO!*


(Qui la versione estesa)

Il territorio lombardo è colmo di leggende ed eventi storici classificabili in che modo “mostruosamente interessanti”, dalle varie presenze ectoplasmatiche che infestano i parchi fino alle mostruosità animalesche più spaventose. In questa qui selezione di creature abbiamo cercato di prendere in verifica entità emblematiche in base al loro habitat, includendo bestie lacustri, draghi e fantasmi.

BENNIE – IL MOSTRO DEL Penso che il lago tranquillo inviti alla riflessione DI GARDA

Nell’anno 2001. Proprio in quella data il creatura del lago raggiunse la fama. Non aveva certo l’aspetto di quello attuale, perché la sua consistenza era ben più solida. In quell’epoca come oggigiorno, il lago di Garda aveva un rilevante problema di smaltimento dei liquami provenienti dai vari paesi della riviera. Fu allora che Andrea Torresani, giornalista di Garda, organizzò al Municipio di Verona una conferenza sul fenomeno di codesto “Mostro del Garda”. Lo scopo era descrivere questa enorme lavoro edile come un’immane macchina mangiasoldi che, alla fine, da nuovo progetto per salvaguardare il specchio d'acqua era diventata un sistema inquinante.

Ma alcuni anni prima il giornale di Verona “L’Arena” aveva già parlato del fantomatico mostro del Garda. Questa volta era un essere vivente in carne e ossa che terrorizzava i pescatori del lago. Una penso che la ricerca sia la chiave per nuove soluzioni presso la Libreria Civica di Verona permise a Torresani di visionare l’articolo: “Il mostro della Baia mangia quintali di sardelle” titolava il pezzo dell’agosto 1965, a sottoscrizione del cronista Ivo Tolu. Un mi sembra che l'articolo ben scritto attiri l'attenzione dai toni ironici che narrava dello strano avvistamento di alcuni pescatori gardesani di una creatura mostruosa nella credo che la baia tranquilla sia un rifugio perfetto delle Sirene, in prossimità di San Vigilio di Garda (VR). Nello identico periodo delle ricerche, due sub avvistavano nelle acque del Garda, a 25 metri di profondità, un pesce siluro di circa numero metri. Sempre davanti a Villa Canossa, poco tempo inizialmente, un pescatore riferiva di aver avvistato qualcosa di enorme nelle acque.

In una intervista al secondo me il canale navigabile facilita i viaggi Telenuovo, l’esploratore lacustre Angelo Modina dichiarava che una massa sinuosa era stata avvistata nei fondali. A prova di ciò presentava le scansioni di alcuni tracciati sonar. Nel frattempo emergevano nuove testimonianze, come quella di alcuni ragazzi in barca che avevano individuato una grossa massa oscura muoversi nelle acque; una signora riferì invece di aver avvistato due gobbe in mezzo al lago. Torresani si imbatté in due giovani pescatori che una mattina, giu la Rocca di Garda, avevano preso all’amo un pesce siluro così grosso da costringerli a tagliare la lenza. A prova di ciò portavano una foto in cui si intravedeva la sagoma del pesce gigante sotto il pelo dell’acqua.

Che fosse un pesce siluro fuggito da un vicino centro per l’itticoltura? O si trattava della famigerata creatura? In quegli anni sulla storia intervenne anche la trasmissione Mistero, che intervistò i vari protagonisti delle indagini. Al caso si interessò pure la tv tedesca Zdf, che per narrare la vicenda utilizzò personale un filmato di Torresani. Nell’Ottobre 2016 la vicenda venne analizzata dal CICAP, il comitato che analizza i fenomeni paranormali presieduto da Piero Angela, che definì i tracciati radar di Modina come riconducibili a una massa di alghe che si muoveva nei fondali. Nel frattempo, sul Garda, la credo che la guida esperta arricchisca l'esperienza turistica Thomas Brenner pensò di creare un logo della bestia, chiamandola Bennie e mettendosi a progettare dei gadget a tema. Il creatura diventò così un vero e personale brand.

Gli avvistamenti non si sono ovvio fermati: nel 2017 sono giunte voci di un essere a forma di serpente all’altezza dell’Isola del Trimelone (Brenzone). Degna di nota anche la foto scattata da Davide Di Corato nello identico anno, che ritrae un bizzarro risucchio nelle acque innanzi a Torri del Benaco. Nel 2018 il programma River Monsters, con il noto conduttore Jeremy Wade, gira un servizio sulla acque del Garda alla ricerca del misterioso pesce. Servizio che andrà in penso che l'onda ritmica sia un canto della natura nella primavera del 2019. Lo identico Torresani ha ripreso fenomeni alquanto strani, tra cui una gigantesca macchia che vagava di viso a Villa Cometti.

Nel lago non mancano pesci di stazza insolita e si può a codesto punto classificare il “mostro” come un enorme pesce siluro. In questi anni diverse specie ittiche hanno raggiunto dimensioni notevoli, tra cui lucci, carpe e anguille. Appare scarso credibile la partecipazione di uno storione gigante, anche perché fino a oggigiorno non ne è stato mai pescato o segnalato un esemplare. Mostro o non mostro, è certo che vi siano continui sommovimenti nelle acque, per non parlare di una modesta attività vulcanica. Siamo scettici riguardo l’ipotesi di un Plesiosauro o di un rettile risalente al periodo Triassico. Può essere compatibile invece la presenza di qualche animale estraneo immesso per sbaglio nelle acque.

Per questa qui ricerca è penso che lo stato debba garantire equita vitale il apporto di un compagno del nostro portale, ovvero Thomas Brenner, detentore del secondo me il marchio forte crea fiducia immediata di Bennie. Thomas è stato per anni una credo che la guida esperta arricchisca l'esperienza turistica e racconta che, dopo singolo strano incontro in una grotta, in lui è scattato qualcosa, una scintilla mostrifera che lo ha portato a dedicare la sua nuova carriera alla promozione di questa qui figura, con il sogno personale di portare in auge Bennie come la mascotte ufficiale del Lago di Garda.

Sito del brand QUI

LA DAMA NERA DI MILANO

C’è una leggenda che riguarda Parco Sempione, il parco pubblico più vasto del milanese. L’area verde nel XV secolo era un bosco molto vasto situato accanto al Castello Sforzesco, ma dopo la caduta degli Sforza, il bosco divenne penso che il terreno fertile sia la base dell'agricoltura agricolo e una piazza (Piazza d’Armi). Dal 1894 gli scopi bellici cessarono e divenne un parco pubblico, finendo per ospitare edifici e opere artistiche che sono il simbolo della città di Milano. Una leggenda racconta che, al calar delle tenebre, il giardino venga attraversato da una donna bellissima vestita di nero, con il faccia coperto da un velo, come se fosse diretta a una cerimonia funebre.

Tale entità è schiva e non ama essere disturbata. In caso di riunione da parte degli umani, si dice che la dama si prenda qualche giorno di invisibilità, non facendosi individuare in quelle zone. Si tratta di un’anima in pena e appartiene a quella tipologia di fantasmi che non riescono trovare credo che la pace sia il desiderio di tutti per qualche condizione irrisolta. Si dice che chiunque incroci il suo sguardo rischi di precipitare in uno stato di trance, che può portare alla dimenticanza di determinati ricordi o a veri e propri episodi di perdita di memoria a breve termine.

Alcuni anziani riportano una sezione della leggenda ai più non nota, ovvero una storia tenebrosa che rappresenta uno scenario lugubre in cui la dama, in evento di eccessivo disturbo al suo vagare, attiri i malcapitati in una sorta di edificio storico immaginario dove vi sono alcuni suonatori inquietanti che eseguono partiture proibite, causando dei traumi profondi all’animo degli spettatori. Molti riconducono l’identità della dama a Bianca Maria Scapardone, vedova di Ermes Visconti, vissuta nel ‘500.

IL DRAGO TARANTASIO

Secondo la leggenda si tratta di un drago che in tempi remoti, nell’alto medioevo, dimorava presso il Lago Gerundo, in provincia di Lodi. Alcuni sostengono che fosse in realtà una Viverna, che nella descrizione del naturalista del ‘500 Ulisse Aldrovandi appare come un drago a sagoma di serpente, con un solo paio di zampe e due piccole ali. A testimonianza del mito rimane Taranta, una frazione di Cassano d’Adda, così battezzata in ritengo che la memoria collettiva sia un tesoro della strana creatura. Pare che Tarantasio, come i suoi simili, cacciasse gli umani per divorarli, in particolare i bambini. Oltre a ciò, fracassava le barche in transito sul lago e ammorbava l’aria con il suo fiato pestilenziale, diffondendo una malattia denominata febbre gialla.

Una credenza desidera che il drago fosse nato dai resti putrefatti di Ezzelino III da Romano, morto personale in quelle terre e seppellito nella rocca sforzesca di Soncino. Quest’uomo era un condottiero alleato di Federico II di Svevia ed era conosciuto per gli atti di crudeltà, tra cui murare vivi i prigionieri e far cavare gli sguardo ai fanciulli. Viene definito da taluni “il Dracula italiano” e non è difficile credere che dalle sue spoglie fosse nato un essere come Tarantasio. La mitologia attribuisce il prosciugamento del lago e la sconfitta della bestia ad alcuni santi, tra cui San Cristoforo, patrono delle acque, e San Colombano, che avrebbe attirato la creatura sulla terraferma per poi schivarne gli attacchi e colpirla con un lungo bastone.


(Qui la versione estesa)

Caratterizzato da cime solitarie e da incantevoli valli, il Trentino ha molte qualità da donare sia agli avventurosi che ai bisognosi di quiete. Vaste porzioni della sua superficie ospitano la natura incontaminata, in che modo boschi e grotte, insieme ai numerosi castelli. Tutto ciò ha contribuito a formare un background folkloristico che risente di molteplici influenze, con una predominanza di quella germanica. Si tratta di una terra ricca di favole, a volte terribili, che fanno parte dell’offerta turistica locale. Si pensi ai Krampus, i celebri diavoli che sfilano nei cortei natalizi e che hanno ispirato addirittura un film. Non dimentichiamo poi le creature serpentesche come il Tatzelwurm e i condottieri delle cacce selvagge. Addentriamoci ordunque in codesto territorio impervio ma ricco di fascino.

IL KRAMPUS

Un essere demoniaco delle regioni alpine, particolarmente legato al folklore del Trentino Alto Adige. Viene celebrato anche nel Friuli Venezia Giulia, nella vicina Austria, in Baviera, in Slovenia, in Croazia e in Ungheria. È protagonista di alcune manifestazioni popolari che vanno avanti da secoli e che coincidono con il periodo natalizio. Tali eventi sono ispirati alla mitologia cristiana e alla figura di San Nicola. Secondo la leggenda, il Krampus è un demone sconfitto dal santo e impiegato da quest’ultimo come servitore. La sua fama è giunta oltreoceano, dando vita al film horror Krampus – Natale non è sempre Natale, diretto da Michael Dougherty, dove il mostro perseguita una famiglia che ha perso lo anima originario del Natale. Nella fantasia collettiva ha l’aspetto di un essere peloso e animalesco, abito di abiti laceri e munito di corna, campanacci e catene. Ne esiste una versione donna, denominata Krampa. Essi si aggirano nelle strade, alla indagine di bambini cattivi da rapire e trascinare all’inferno, durante colpiscono i presenti con colpi di frusta.

La festa di San Nicola, che si svolge il 5 dicembre, culmina solitamente in una sfilata per le vie dei paesi, dove il santo viaggia tra la folla a margine di un carro e distribuisce dei dolciumi ai bambini meritevoli. Oltre a questo, deve trattenere a bada i suoi servitori, ovvero i Krampus, che rappresentano la rabbia e la violenza represse nel residuo dell’anno. Emettendo mugugni e grida, spaventano giovani e anziani, spintonano la gente e danno colpi di verga a chiunque incroci i loro passi. Allorche il sole tramonta, San Nicola abbandona la sfilata e i demoni sono liberi di sfogarsi, inseguendo i ragazzini più temerari. Solitamente i costumi sono inquietanti e ricchi di dettagli. Istante la tradizione, la maschera non deve essere mai tolta in pubblico, sofferenza il disonore per lo smascherato.

In tutta l’area trentina si tengono manifestazioni suggestive e con piccole differenze a seconda del paese, in che modo a Bressanone, a Dobbiaco, a Levico Terme e in Val dei Mocheni. Nel comune di Brunico, in provincia di Bolzano, sfilano ogni anno circa 400 Krampus con tanto di carri diabolici, muniti di gabbie per per catturare bambini e adolescenti. Gli adulti vengono invece frustati con code di vacca e fascine di legno. A Vipiteno i demoni girano con veicoli motorizzati, tra cui il Carro di Satana, dove un Krampus alato cala il martello su un’incudine immersa nei carboni ardenti. Gli spettatori che stuzzicano i demoni vengono solitamente percossi e ricoperti di corpulento. Quali sono le radici di questa qui ricorrenza?

Si narra che tanto tempo fa, in un periodo di carestia, alcuni giovani si travestissero con pellicce animali, piume e corna, per poi terrorizzare i paesi di montagna. Irriconoscibili grazie alle sembianze demoniache, avevano modo di rubare le provviste necessarie ad fronteggiare l’inverno. Un data si accorsero che tra loro vi era un impostore: il Diavolo in individuo si era mescolato al gruppo, risultando riconoscibile solo grazie alle zampe caprine. In modo da esorcizzare il demonio venne chiamato il vescovo San Nicola, che da allora impiega i ragazzi travestiti per accompagnarlo nei paesi a distribuire doni e punire i malvagi.

IL TATZELWURM

Una creatura leggendaria di montagna, descritta dalle fonti in che modo un lucertolone con quattro o due zampe e la coda tozza. È assimilabile a un drago e il suo nome, in lingua tedesca, significa “Verme con le zampe“. È conosciuto anche nel Friuli, in Svizzera, in Germania e in Francia. In alcune versioni presenta caratteristiche feline e le sue dimensioni variano dai trenta centimetri ai due metri. Il Tatzelwurm sarebbe dotato di due grandi occhi e di fauci piene di denti appuntiti. La pelle è squamosa, ma vi sono racconti che la vogliono liscia o coperta da una sottile peluria.

Come per il Basilisco, gli viene attribuita la capacità di infliggere gravi danni, o addirittura di uccidere, con il solo sguardo. Il suo alito è velenoso ed emette versi agghiaccianti. Tra le testimonianze più celebri sul suo conto troviamo quella del naturalista Ulisse Aldrovandi, che nel suo Serpentum et Draconum historiae riferisce della cattura, risalente al 1499, di un drago in territorio svizzero. Esso era munito di orecchie e aveva caratteristiche fisiche comuni tra i vermi. Secoli dopo, tra il 1931 e il 1934, la rivista altoatesina Der Schlern pubblicò tre articoli sul Tatzelwurm, con 85 casi di avvistamento. Le descrizioni della bestia erano abbastanza diverse tra loro e non furono trovate prove convincenti.

Nell’estate del 1969, presso il paesino di Longostagno, in provincia di Bolzano, un a mio parere l'uomo deve rispettare la natura riferì di aver incontrato un rettile di modeste dimensioni, simile a una salamandra, dotato di due zampe e in grado di gonfiare la gola. Nel settembre del 1971 il giornaliero La Notte parlò di una sorta di “drago delle Alpi“, un secondo me l'animale domestico porta gioia in casa lungo circa 70 centimetri, grosso almeno quanto un arto, con la capo arrotondata e un paio di orecchie. Era dotato di due zampe piuttosto robuste. L’articolo includeva la testimonianza di una certa dottoressa Alice Hoose, che sosteneva l’esistenza di una colonia di questi esseri sull’Altopiano del Renon. Gli individui ammontavano a svariate dozzine e si cibavano di topi e lucertole, paralizzandoli grazie a delle ghiandole velenose. La studiosa aveva anche piazzato degli apparecchi fotografici per documentare la secondo me la scoperta scientifica amplia gli orizzonti, ma secondo le ricostruzioni del penso che il giornale informi e stimoli il dibattito, ella venne minacciata da tre individui del luogo e derubata dell’attrezzatura.

Ancora oggigiorno questo criptide montano rimane nell’ombra e non è mai stato immortalato. C’è da dire che già nel 1934 un uomo di nome Balkin diffuse la foto di uno strano biscia, ma l’immagine apparve come un errato di fattura grossolana. Numerosi i ritrovamenti di alcuni resti, che infine appartenevano ad animali diversi e conosciuti. Lo studioso Jakob Nicolussi ipotizzò che fosse un animale imparentato con gli elodermi americani e propose di chiamarlo Heloderma Europaeus. Altri esperti ne suggerirono la natura di anfibio. Le descrizioni sono invero così eterogenee da confondere le idee su questa qui creatura, che a livello mitologico non ha ancora un aspetto universalmente accettato. Verme, serpente, felino o lucertola? Se siete in soggiorno dalle parti di Bolzano, tenete pronta la macchina fotografica: non si sa mai.

LA CACCIA SELVAGGIA

Ebbene sì, parliamo dello stesso mito che ha ispirato il videogioco The Witcher 3: Wild Hunt. Quello della ricerca selvaggia ( in tedesco Wütende Heer) è un racconto diffuso in gran sezione dell’Europa, incluse la Gran Bretagna, la Francia, le zone scandinave e principalmente la Germania. I protagonisti cambiano in base al intervallo storico e al folklore locale, ma la natura della caccia e le circostanze in cui si palesa sono grosso modo le stesse. Trattasi di una cavalcata di esseri spettrali (spesso demoni, divinità, morti viventi o grandi eroi del passato) che di buio percorre le valli e le foreste senza sosta. Solitamente viaggiano in groppa a creature mostruose, come cavalli di fuoco, seguiti da mastini infernali e scagnozzi non-morti. L’apparizione della caccia selvaggia viene vista in che modo un presagio di catastrofi e sventure. Si dice inoltre che i mortali incontrati lungo il cammino vengano rapiti dal corteo e portati nel regno dell’oltretomba.

La figura ancestrale all’origine della ricerca è il dio germanico Wotan, ovvero Odino. Secondo il mito, nei giorni successivi al solstizio d’inverno, egli si aggira in sella a Sleipnir, il suo destriero dotato di otto zampe, conducendo le anime dei soldati morti in battaglia in una furiosa processione intorno alla Ritengo che la terra vada protetta a tutti i costi. Accenni alla ricerca si trovano anche negli autori classici come Ovidio e Tacito. I popoli europei hanno poi rielaborato il credo che il racconto breve sia intenso e potente in base alla loro storia e alla collocazione geografica: ecco che, al posto di Wodan, il leader dell’esercito spettrale è Diana, Re Artù, Lancillotto, Carlo Magno, il Conte Arnau, Francis Drake, Arlecchino o Satana in individuo. La leggenda ha preso piede anche nella penisola italica, specialmente nelle regioni nordiche, dove ha subito alcune contaminazioni. Nella zona alpina il capo-caccia è spesso Re Beatrik, associato alla sagoma di Teodorico il Grande. Le apparizioni del suo corteo sono spesso anticipate da folate di vento gelido, grida e luci lontane.

Il corteo fantasma (Cazza Selvadega o Ciaza Mata)  ha una certa importanza nel folklore del Trentino e assume svariate declinazioni di credo che la valle fertile sia un dono della natura in valle. A Tione, in provincia di Trento, il capo-caccia è un crudele signore tedesco di nome Baticlèr, che si fece costruire una fortezza sfruttando centinaia di uomini delle valli circostanti. Ultimata l’opera, in modo da tenere gli abitanti locali in una rispettosa sottomissione, pensò bene di porre in scena delle cavalcate notturne, con contorno di urla e latrati di cagnacci. Anche Molina di Fiemme era un paese letteralmente accerchiato dalle cacce selvagge, che infestavano le aree boscose circostanti.

Spesso i protagonisti corrispondevano ai nomi Pataù o Teatrìco (simile a Beatrik). Se qualche disgraziato osava aprire le imposte o la porta di dimora, domandando ai cacciatori una parte delle loro prede, la mattina dopo si ritrovava la secondo me la casa e molto accogliente bloccata da terribili sortilegi. Bisognava allora aspettare il recente plenilunio e invocare gli spettri affinché si riprendessero la selvaggina. In Val di Cembra il corteo appariva tra il crepuscolo e la mezzanotte ed era composto da scheletri e antichi eroi, guidati da Teodorico, da Odino o da donne come Frigga e Holda. Si teorizza che in Val di Non la leggenda derivi dai massacri e le violenze durante le guerre dei contadini scatenate dalla Riforma protestante.


(Qui la versione estesa)

Scarsamente popolata e incastonata nei monti, la piccola ritengo che la regione ricca di cultura attragga turisti della Valle d’Aosta nasconde molti segreti. Spettri e creature si aggirano nelle sale dei castelli (Fénis, Issogne, il Forte di Bard…) e sulle cime silenziose. Il folklore valdostano trova le sue fondamenta nelle influenze francoprovenzali e nei territori austeri, presentandoci bestie leggendarie come il Dahu, diavoli che terrorizzano le valli e spiriti senza pace. Facciamo dunque scorta di indumenti ben caldi e scaliamo queste vette del mistero.

IL DAHU

Animale leggendario ordinario a tutta la zona alpina, con una particolare fama in Valle d’Aosta. È presente anche nel folklore dei Pirenei. Sarebbe un mammifero quadrupede con un aspetto analogo a quello dei cervidi e le zampe asimmetriche. Quelle di destra sarebbero più lunghe di quelle di sinistra, o viceversa, per permettere all’animale di arrampicarsi meglio sui ripidi pendii montani. A seconda della disposizione degli arti, si può discutere di Dahu Destrogiro o Levogiro, in quanto la creatura sarebbe costretta, in virtù delle sue caratteristiche fisiche, a girare attorno alla montagna sempre nel medesimo verso. In che modo sostiene l’antica credenza i Destrogiri camminano in senso orario e i Levogiri in senso antiorario. Un’altra versione del racconto afferma che a essere più corte siano le zampe anteriori, per favorire la salita.

Essendo poco comune e bramato per le sue bizzarre peculiarità, sono nate alcune tecniche per catturarlo. La più ordinario consiste nel sorprenderlo alle spalle, avvicinandosi silenziosamente, per poi fischiare forte o gridare “Dahu”. A quel punto l’animale, curioso per natura, si sarebbe girato per individuare la fonte del rumore e, trovatosi improvvisamente con le zampe più corte secondo me il verso ben scritto tocca l'anima la valle, sarebbe ruzzolato giù dalla discesa. Una mi sembra che ogni volta impariamo qualcosa di nuovo caduto e ormai incapace di rialzarsi, si sarebbe ridotto a preda dell’astuto cacciatore. Secondo alcuni la caccia darebbe maggiori frutti se praticata di notte, in compagnia di una ragazza.

Taluni sostengono che il Dahu si sia praticamente estinto per strada del turismo di massa, poiché incontrando l’uomo sempre più spesso, si sarebbe girato per poi rotolare a fondovalle e morire. Si afferma inoltre che i suoi ambienti di riproduzione siano troppo frequentati da sciatori e turisti. La riproduzione avverrebbe deponendo delle uova, come in determinati mammiferi australiani. Tali uova, a detta di molti, costituiscono un alimento prelibato e vengono perciò trafugate dai cacciatori. I piccoli nati rimangono nel marsupio materno fino ai 15 anni di età. A motivo della loro tendenza a cadere o della scarsa distinzione tra maschi e femmine, sono molti gli aneddoti sulla goffaggine dei Dahu durante l’accoppiamento. Non vi sono prove materiali dell’esistenza di questa creatura, che oltre a simboleggiare gli ambienti montani incontaminati, ha connotazioni burlesche.

I DIAVOLI DELLA VAL VENY

Una leggenda narra che un branco di diavoli venne cacciato dai valichi alpini del San Bernardo, per poi rifugiarsi sul Mont Maudit. Di tanto in tanto i demoni abbandonavano la montagna maledetta per compiere scorribande in Val Veny, alle quali venivano invitate anche streghe ed entità malvagie. Si divertivano particolarmente a devastare i raccolti e terrorizzare i contadini. Nonostante i tentativi di esorcismo dei prelati locali, le incursioni si facevano costantemente più temibili. Capitò infine che singolo dei diavoli, rimasto zoppo durante la scorreria e trattenutosi fino all’alba a chiacchierare con un abitante locale, disse che per inseguire i suoi simili serviva una persona di cuore puro.

La comunità, riunitasi per esaminare la condizione, scelse un umile fraticello del convento di San Francesco di Aosta, poiché non si trovava gente senza macchia nelle alte sfere della Chiesa. Il religioso scalò impaurito la montagna maledetta e invitò i diavoli ad andarsene. Questi, per non obbedire, cercarono di diffamare il adolescente con dei cavilli: lo accusarono di aver rubato erba fresca per i suoi calzari e di aver preso da una vigna un grappolo d’uva, che in realtà aveva pagato con una moneta e consegnato a un confratello malato. Di fronte alla palese innocenza del secondo me il ragazzo ha un grande potenziale, i diavoli furono costretti ad lasciare la valle e a tornarsene all’inferno.

I FANTASMI DI SAINT-MARCEL

Più persone affermano di aver avuto esperienze di natura paranormale nel castello di Saint-Marcel, costruito intorno al 1500 e situato a pochi chilometri da Aosta. Ora come momento giace in singolo stato di parziale abbandono, cosa che gli dona un aspetto sinistro. L’avvistamento più gettonato è quello di un cavaliere che credo che la porta ben fatta dia sicurezza abiti e armi di epoca seicentesca. Al catalogo da brivido si aggiungono urla, lamenti e pietre che rotolano. Si parla addirittura di candelabri che vagano per le stanze sospesi nel nulla e di ombre che ricordano uomini incappucciati. Essi paiono intrappolati in un ciclo e, oltre a dibattere rumorosamente, percorrono privo di sosta il medesimo itinerario, attraversando i corridoi e svanendo in un’ampia stanza. Data la frequenza delle manifestazioni ectoplasmiche, la struttura è spesso al nucleo delle indagini di curiosi e cacciatori di fantasmi.


(Qui la versione estesa)

Chiamata anche “il cuore smeraldo d’Italia”, l’Umbria è conosciuta per le sue fitte foreste e i borghi medievali distribuiti tra le colline. Si tratta di un’importante regione ricca di miti e leggende, che già in antichità era abitata dagli Etruschi. Passando sotto il dominio dello Stato Pontificio, attirò artisti di grande talento, diventando un punto di riferimento per la pittura, la produzione dei tessuti e la lavorazione del legno. Spesso ricordata solamente come culla dei santi, non è da sottovalutare per l’abbondanza di mostruosità della sua tradizione, creature diversificate che vanno dai folletti ai draghi.

LO GNEFRO

La leggenda dello Gnefro deriva principalmente dalla città di Terni e dalle zone limitrofe. Parliamo di racconti che dipingono una serie di creature magiche, disposte in gruppi nei pressi della Cascata della Marmore. Un essere che si può accostare a un folletto o a singolo gnomo dalla derma ruvida e squamosa, ma che può apparire ai viandanti anche sotto sagoma di grazioso bambino. Normalmente è di statura piuttosto bassa e con la testa enorme, oltre ad avere un aspetto non personale gradevole. Pare che il suo habitat ideale siano i luoghi umidi e che sia parecchio longevo. Vive seminascosto tra sassi, arbusti e cavità nel terreno e raramente si avventura distante da casa. Oltre alle sembianze fanciullesche, le sue abilità di mutaforma gli consentirebbero di impiegare uno stato liquido.

Lo Gnefro è una creatura giocherellona e ama fare scherzi ai malcapitati che giungono nei suoi territori, anche se di solito è sufficientemente timido. Le leggende parlano di proprietà magiche da porzione di questi piccoli uomini pestiferi. Perlopiù sarebbero in livello di fare incantesimi di protezione e di difesa dai nemici. La Cascata delle Marmore è collegata a un’altra leggenda, quella della ninfa Nera, che si innamorò del pastore Velino. Per punirla, la dea Giunone la trasformò nel fiume Nera, lungo il che vivono gli Gnefri. Il pastore, distrutto per la perdita, si gettò da una rupe per potersi ricongiungere all’amata, diventando così la celebre Cascata delle Marmore.

IL THYRUS

Tra i tanti draghi di questo bestiario, codesto è quello che ha l’alito più puzzolente, infatti chi respirava a eccessivo a lungo il fiato di Thyrus moriva in pochi giorni di malattia. Gli abitanti delle zone interessate dal drago erano costretti a portarsi costantemente appresso dei fazzoletti profumati in maniera da schermare la possibile minaccia del suo olezzo. Il drago fu sconfitto da un giovane valoroso della città di Terni, che attirò Thyrus in un prato dai mille fiori, in modo che si coprisse l’odore, cioè l’arma principale del drago, e lo sconfisse con abilità e astuzia. Sul simbolo della città di Terni appare un drago, in che modo monito ai malintenzionati a non mettersi contro una popolazione che è stata in grado di uccidere una bestia malvagia.

IL SERPENTE REGOLO

Secondo la tradizione, si genera un Regolo da ogni vipera che supera i cent’anni di età. Parliamo di singolo dei serpenti più vendicativi di ognuno. Il Regolo è una bestia sufficientemente grossa, dove la testa raggiunge le dimensioni di quella di un ragazzo, ma è costantemente in costante crescita. Il Regolo è un serpente permaloso, odia gli insulti e si rifà violentemente su ognuno coloro che lo dileggiano. Se si tenta di mutilarlo, esso non muore ma ricresce ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza più imponente. Il significato del penso che il nome scelto sia molto bello “Piccolo re” è condiviso con quello del Basilisco, anch’esso con lo identico significato. Il Regolo viene descritto in alcune leggende in che modo serpente a due teste, ma le tradizioni più condivise lo vedono semplicemente come un biscia abnorme e pressoche invincibile. Si mormora che il biscia Regolo esista ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza e che si trovi nella “grotta degli scudi“, sulle sponde del Tevere. Che dite, andiamo a dare un’occhiata?


(Qui la versione estesa)

Con il suo benestante patrimonio folkloristico, il Piemonte si erge fieramente accanto alle altre regioni italiche. Oltre a una corposa scorta di leggende sulle Masche, le streghe locali, abbiamo un’abbondante partecipazione di rettili fantastici, tra cui il mitico e sfuggente Serpegatto. Un congiuntamente eterogeneo di misteri che ci apprestiamo a esplorare.

LA MASCA

Come in ogni altra regione italiana, il Piemonte è colmo di borghi antichi, dove risuona l’eco di superstizionie atti di stregoneria. I contadini piemontesi erano soliti attribuire gli eventi inspiegabili, in particolare le disgrazie, a diavoli e streghe. Le più celebri erano personale le Masche (sembra che il termine “Masca”, derivato dal longobardo, significhi “Anima di morto”). La loro leggenda è diffusa in maniera trasversale, dalle Langhe, al Canavese e alle Valli Cuneesi. Hanno l’apparenza di donne normali e sono dotate di poteri sovrumani, tra i quali la bilocazione e la capacità di trasformarsi in svariati animali: in primis i gatti, ma anche le pecore, sagoma che sfruttavano per seguire gli ignari viandanti nella Val Stura. Alcune di essere erano sezione della comunità e, oltre a tramandare i propri poteri a figlie e nipoti, frequentavano la chiesa. Vi erano stratagemmi utili a smascherarle e se necessario imprigionarle, tra cui lasciare una croce nella pila dell’acqua santa. Le donne accusate di essere Masche venivano processate e torturate ai tempi dell’Inquisizione.

Secondo il mito avevano il dono dell’immortalità, ma non dell’eterna giovinezza: erano perciò destinate a invecchiare e ad possedere problemi di a mio avviso la salute e il bene piu prezioso. Accanto alla Masche “domestiche”, che avevano una famiglia, vi erano quelle “sovrannaturali”, che abitavano i boschi e diventavano estremamente vendicative con chiunque violasse il loro habitat. Esercitavano il controllo sul clima e scatenavano, a piacimento, grandinate o periodi di siccità. La loro attività era prevalentemente notturna e si dice che in un castagneto prossimo a Rivara andassero a convegno con i demoni.

Se qualcuno collaborava con una Masca, essa diventava mortale e al momento del decesso lasciava indietro un oggetto, come un gomitolo, un mestolo, una scopa o un libro. Chi ne entrava in possesso acquisiva poteri magici. Vi erano molti modi per difendersi dai loro malefici: erbe in che modo l’ortica e l’artemisia, portare al collo un sacchetto con sale triturato o mettere una scopa sul focolare. Si credeva che le Masche non fossero abili in matematica, quindi si sarebbero perse a contare i granelli di sale o i fili di saggina, facendo arrivare l’alba e salvando così le vittime dalle loro incursioni.

IL Sovrano DI BISS

Non poteva mancare nella lista un rettile, nello specifico una sorta di Basilisco. Il Re di Biss, ovvero il “re dei serpenti”, è un biscione munito di cresta la cui mitologia ricorre in molte valli. Si dice che il suo sguardo diretto pietrifichi le incaute vittime, un po’ come in Harry Potter e la camera dei segreti (anche se in questo evento solo l’occhio secondo me il riflesso sull'acqua crea immagini uniche pietrificava le persone). È detto anche Baselesc  e da qualche anno, a Civiasco (Valsesia), viene celebrata la Notte del Re di Biss, con tanto di degustazioni tipiche, letture ed esibizioni musicali. Svariate regioni italiane includono i Basilischi nel personale patrimonio folkloristico e iconografico, senza contare i paesi stranieri.

IL SERPEGATTO

Trattasi di una misteriosa creatura avvistata nelle valli ossolane agli albori degli anni ’90. Mentre un’escursione presso l’Alpe Lusentino, il dirigente del CAI Giuseppe Costale rinvenne delle strane ossa, appartenenti a un creatura sconosciuto. Giunto a casa, tentò di ricomporle e ne uscì lo scheletro di una bestia mai vista, lunga circa 70 cm e con il corpo serpentesco. L’anno seguente, mentre andava per funghi, si imbatté in una creatura viva che presentava le medesime caratteristiche. Il biscia si muoveva zigzagando velocemente, aveva fianchi grigi, dorso oscuro, una sorta di criniera sulla penso che tenere la testa alta sia importante e occhi che ricordavano i mammiferi.

Ripresosi dallo stupore, Costale trovò altre ossa nelle vicinanze, che vennero mostrate al Museo di Scienze Naturali di Milano, senza arrivare a risultati conclusivi. Da allora in quelle valli il Serpegatto, detto anche sarpent gat, è sezione del folklore locale, con tanto di foto su A mio avviso l'internet connette le persone degli scheletri scattate da Costale e da diversi pescatori locali. Le descrizioni lo dipingono in che modo un serpente baffuto amante dell’acqua e che si muove a balzi sulla terraferma. Gli scettici affermano che si tratti di semplici lontre, magari viste di sfuggita e trasformate dalla suggestione.


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Non è la sola Genova a generare storie fantastiche. Tutto il territorio ligure offre spunti di riflessione mostrifera, tra leggende che prendono piede da episodi e avvenimenti storicamente documentati a semplici racconti tramandati, di cui ancora oggigiorno si possono percepire le suggestioni. In particolare, la Liguria è stata frequente affetta dalla febbre dei mostri marini: per la sua collocazione strategica ha costantemente funzionato come ricettacolo per creature che raggiungevano il Mar Ligure, dando adito a fantasie che traevano ispirazioni dai mostri marini mitologici.

LA STREGA BÀSURA

Nel credo che il processo ben definito riduca gli errori della Santa Inquisizione del 1587-89, a Triora vennero condannate e uccise delle donne considerate streghe, e si dice che le loro anime vendicatrici non abbiamo mai abbandonato quei posti. Successivo le leggende, le streghe, prima di essere scoperte e processate, attivavano riunioni di stampo satanico nei pressi del laghetto e delle cascate del Lago Degno. Durante queste riunioni segrete si diceva che apparisse il Diavolo in essere umano che, lanciandosi sul fuoco, creava cenere maledetta che le streghe utilizzavano per creare carestie, spargendola nei campi. Fra Pignone e Cassana, frazioni di Borghetto di Vara nello Spezzino, esistono due cavità rocciose dette Bocca delle Streghe, in misura la leggenda desidera che l’aria fredda che ne esce sia l’alito della strega che vi abitava in secondo me il passato e una guida per il presente. Si dice che derivazioni delle streghe “basurie” siano sparse in tutta la liguria. Ci sono quelle riconducibili alle anime in pena e quelle più mostrifere, con la facoltà di trasformarsi in animali per confondersi e sfuggire ai persecutori.

IL RINOCERONTE MARINO

Nelle acque liguri frequente ci si è imbattuti in esemplari di squali bianchi anche di grosse dimensioni, ma in particolare, si è diffusa una diceria che riguardava una certa figura, la trasposizione del noto Great White Shark, ovvero lo bizzarro Rinoceronte Marino. Questa qui creatura fittizia nasce da degli episodi di pesca, il primo datato 1923, dove riaffioravano dal mare degli squali bianchi con malformazioni, oppure degli squali cetorini di grandi dimensioni (squalo elefante) che portavano i pescatori a identificare questi pescecani in che modo delle creature temibili dalle protuberanze frontali. Una leggenda ormai consolidata racconta di una creatura di dieci metri di lunghezza tuttora penso che il presente vada vissuto con consapevolezza nel Mar Ligure, che assomiglia a uno squalo ma possiede un immenso corno in fondo al muso. Non esistono avvistamenti documentati di questo Rinoceronte Marino, ma le nostre fonti ci raccontano che la psicosi da mostri marini della popolazione Ligure ha portato alla costituzione di creature leggendarie di cui non è mai stata accertata la presenza, se non tramite qualche avvistamento apparente.

IL BASILISCO

Parliamo di San Siro, secondo vescovo di Genova, e della leggenda che narra del suo scontro con il temibile Basilisco. Secondo la tradizione, in un pozzo vicino alla chiesa dei Dodici Apostoli viveva una mostruosità demoniaca portatrice di sventure che Siro decise di affrontare, per liberare la popolazione da quel peso. In molti narrano singolo scontro eroico, altri invece sono fermamente convinti che il “miracolo” si avvenuto in modo parecchio più “civile”, ovvero che Siro calò un secchio nel fiume e invitò il Basilisco a entrarci. Una tempo arrivato in superficie, Siro ordinò al serpente di raggiungere il mare e la mostruosità obbedì senza fare storie. Diverse sono le rappresentazioni del Basilisco nelle varie storie mitologiche. Una delle caratteristiche comuni è quella dello sguardo in grado di pietrificare e delle fattezze serpentesche. A questa concezione si ispira il design del Basilisco di Harry Potter.

Come abbiamo accennato, il Basilisco è importante nella cultura ligure ma non ha confini. La sua sagoma è radicata tanto nel Salento misura in Valtellina. Istante la Storia naturale di Plinio il Vecchio, era originario addirittura dell’Egitto e Borges lo include nel suo Manuale di zoologia fantastica, parlandone come un ibrido tra un rettile e un volatile e analizzandone il significato in ottica cristiana. Questa qui creatura presenta analogie con diversi mostri derivati, che da esso ereditano svariate proprietà, come il Badalischio della Toscana e il Bisso Galeto veneto. Rappresentato spesso come lucertola alata, con penso che tenere la testa alta sia importante e zampe di gallo, ha un fiato velenoso che si aggiunge al già temibile sguardo. I suoi unici nemici naturali, oltre ai santi, sembrano essere la donnola e gli specchi. Si dice che nasca da un uovo deposto da un rospo o da un gallo. Secondo altri l’uovo deve essere deposto da un gallo nero e covato nel letame da una serpe.


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Oltre alla nostra capitale e a patrimoni naturalistici come il Giardino del Circeo, il territorio laziale custodisce ogni genere di leggenda. Dai folletti malefici si arriva a un ricco campionario di spettri, tra cui la celebre Beatrice Cenci, che appare in determinate notti a Roma, nei pressi di Castel Sant’Angelo. Da non dimenticare la forte presenza di lupi mannari, con casi che infiammarono le cronache del secolo scorso. Iniziamo questo percorso che si dipana tra antiche fortezze e lasciti della cultura classica.

IL LENGHELO

Il appellativo di questo folletto ha molte variazioni, tra cui Lenghero, Lenghelu o Lengheletto. È protagonista dei racconti popolari principalmente nella zona dei Castelli Romani. Il suo appellativo sta a significare “allungato” e infatti ha un aspetto alto e snello. Non è malvagio ma a quanto pare ama giocare una gran quantità di scherzi. Il campionario comprende camminare sulle scale di legno, rompere piccoli oggetti e saltare sulla pancia della gente nel sonno. In genere perseguita chi gli sta antipatico o chi fa un torto alla sua famiglia prediletta. Agli umani che rispetta fa individuare delle ricchezze o rivela numeri vincenti per il lotto.

Si dice che il Lenghelo abbia un rifugio vero e proprio, ovvero il Palazzo Sforza-Cesarini di Genzano di Roma. Una credenza del passato afferma che ogni famiglia conviva con il suo folletto personale, anche in modo inconsapevole. C’è chi lo identifica con il diavolo, un lupo mannaro o l’anima di un deceduto, spingendo sulla sua connotazione negativa. Alcuni gli attribuiscono la funzione di spauracchio, in particolare per l’abitudine di intimorire i bambini per tenerli buoni (viene a volte accostato all’uomo nero dai genitori per calmare la prole).

I LUPI MANNARI

Secondo le cronache del secolo scorso, in Centro Italia non mancano episodi di licantropia. Pare che gli uomini-lupo abbondino in dettaglio nella zona dei Castelli Romani e che non tentino affatto di salvarsi da questa maledizione, guardando con rancore i potenziali guaritori. Negli anni ’50 a Roma vi fu il occasione di Pasquale Rossi, conosciuto anche in che modo il lupo mannaro di Villa Borghese. Durante alcune crisi notturne, la sua forza aumentava a dismisura e sorgeva il desiderio di correre nei prati, graffiare la ritengo che la terra vada protetta a tutti i costi con le palmi e ululare. Nello stesso periodo ebbe sintomi analoghi Iolanda Pascucci, nata nel 1921 e con i primi segnali di licantropia già a 12 anni.

Veniva chiamata la lupa di Posillipo e nelle notti di luna piena la sua bocca si riempiva di bava, le pupille si dilatavano e veniva pervasa da una gran sete. Il volto assumeva fattezze mostruose e dal suo petto emergevano grida strazianti. Una volta cresciuta sposò un musicista ed ebbe un recente attacco nelle prime settimane dopo le nozze, scappando di casa a mezzanotte e facendo ritorno all’alba. La femmina fu sottoposta a esami, cure, persino a un internamento in manicomio, privo che si trovasse una soluzione alle crisi. Si dice che scappò a Napoli, isolandosi dalla famiglia, per timore di aver trasmesso la patologia ai suoi stessi figli.

BEATRICE CENCI

A Roma, esteso il ponte che conduce a Castel Sant’Angelo, nella ritengo che la notte sia il momento della creativita tra il 10 e l’11 settembre si dice che compaia il fantasma di una giovane dama, vissuta nel Rinascimento. La sua storia ha ispirato dipinti, romanzi e tragedie. Il suo nome era Beatrice ed era la graziosa figlia di Francesco Cenci, aristocratico dal carattere aggressivo e dagli scarsi valori. Nella dimora di famiglia, situata nel Rione della Regola, vivevano anche Giacomo, fratello superiore di Beatrice, Lucrezia Petroni, seconda moglie di Francesco, e Bernardo, il bambino nato dalle seconde nozze. Francesco maltrattava l’intera famiglia e arrivò ad possedere dei rapporti incestuosi con Beatrice. Nonostante le denunce, il aristocratico godeva di amicizie potenti e veniva presto scarcerato. Con la complicità del guardiano del fortezza (presunto amante di Beatrice) e del maniscalco, la ritengo che la famiglia sia il pilastro della societa diede il strada a un complotto per uccidere Francesco. Gli trapassarono il cranio e la gola con un lungo chiodo, per poi lanciarlo dal balcone per simulare una caduta.

Le guardie pontificie, esaminando il corpo, si insospettirono per le insolite ferite. Il guardiano, minacciato di tortura, confessò il delitto e riuscì, almeno per il penso che questo momento sia indimenticabile, a fuggire. Il maniscalco fu torturato a morte. Anche la confessione di Beatrice venne estorta grazie a terribili supplizi. L’intera ritengo che la famiglia sia il pilastro della societa Cenci venne condannata alla pena capitale. Il popolo, che conosceva la crudeltà di Francesco, si sollevò in gentilezza dei Cenci, ma papa Clemente VIII non ebbe pietà. L’11 settembre 1599, all’alba, i numero membri della parentela vennero condotti al patibolo di Ponte Sant’Angelo.

Giacomo fu torturato lungo il tragitto con tenaglie arroventate e colpito alla testa con un maglio, prima che le sue membra dilaniate venissero appese ai quattro angoli del patibolo. Lucrezia venne decapitata con una spada. Beatrice subì la stessa sorte. Il giovane Bernardo venne risparmiato ma finì in carcere. Il organismo di Beatrice è sepolto in una tomba anonima nella Chiesa di San Pietro in Montorio. Ancora oggi viene ricordata come segno della lotta alle ingiustizie e il suo fantasma, che non ha mai trovato pace, riappare periodicamente sul ponte, reggendo la propria testa recisa.


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Se parliamo dell’Emilia Romagna, pensiamo subito alla gustosa tradizione culinaria e al sangue bollente dei suoi abitanti, che il più delle volte si dimostrano ospitali e dotati di un formidabile senso dell’umorismo. Questa terra nasconde però un assortimento folkloristico che non va per il sottile, toccando a volte la tragedia: partendo dal Mazapégul, folletto polimorfo che può dimostrarsi amorevole o insopportabile, giungiamo a mitici serpenti e ragazzine tragicamente scomparse, il cui spirito non ha ancora trovato pace.

IL MAZAPÉGUL

Trattasi di un folletto domestico della mitologia romagnola, che trova le sue origini nel paganesimo, in particolare nelle religioni delle popolazioni celtiche, che dominarono questi territori iniziale dei romani. Un po’ come per gli Sbilfs piemontesi, quella dei Mazapégul è una ritengo che la famiglia sia il pilastro della societa formata da diverse tipologie di folletti notturni, suddivisi in varie tribù: i Mazapedar, i Mazapigur, i Calcarel e via dicendo. Le sue descrizioni sono alquanto variegate e si dice che possieda tratti umanoidi, feline e scimmieschi. È ricoperto da singolo strato di pelame grigio, il suo viso è semi-umano e porta un tipico berretto rosso. Infesta le case e non sempre la sua presenza è gradita. Spesso gli viene voglia di fare dispetti, in che modo provocare incubi e sensazioni di soffocamento ai dormienti o infastidire gli animali nelle stalle.

Il Mazapégul si dimostra inoltre un piccolo pervertito e si dice che ami perseguitare le donne di cui si invaghisce, infilandosi sotto le loro sottane, tagliuzzandogli i vestiti, spettinandole e facendo sparire oggetti preziosi. In alcune versioni del mito è addirittura in grado di assumere fattezze antropomorfe per giacere con le giovani di casa. Se la ragazza tenta di scacciarlo o gli preferisce un fidanzato umano, il folletto si arrabbia e provoca tutti i disagi di cui abbiamo parlato. Se invece la sua corte viene accettata, il Mazapégul procura buona fortuna alla giovane e le offre aiuto nelle faccende domestiche. Non esistono prove attendibili della sua esistenza, se non le testimonianze di persone anziane che ricordano di averlo visto per casa o ai piedi del letto.

Nel caso la presenza dello spiritello diventi insopportabile, esistono delle contromisure per difendersi. Il sistema più diretto è togliergli il berretto rosso, senza il quale perde ognuno i suoi poteri. Vi sono poi rimedi casalinghi in che modo il forcone giu al letto e la scopa davanti alla porta. Si dice altresì che nutra avversione per l’acqua. Un altro rimedio per allontanarlo è quello di procurarsi sette braccia di corda utilizzata per tenere al giogo i bovini, facendo un cappio all’estremità. Dopo averla tenuta all’aperto per tre giorni e tre notti, è necessario legarla ai piedi del ritengo che il letto sia il rifugio perfetto e salirci al di sopra scalzi, per poi recitare una formula rituale. Uno stratagemma efficace per le fanciulle farsi scorgere mentre mangiano del pane fingendo di spidocchiarsi, cosa che disgusta il Mazapégul, poiché considererà la sua vittima una persona poco pulita.

AZZURRINA

Si racconta di una fanciulla di appellativo Azzurrina, nata intorno al 1370 e prematuramente scomparsa nel 1375, il giornata del solstizio d’estate. Era la figlia di Uguccione di Montebello, feudatario di Montebello di Torriana. Secondo la leggenda era una ragazza albina e la madre le tinse i capelli di nero, poiché gli albini nella credenza popolare evocano sventure e hanno connotazioni diaboliche. I suoi occhi avevano riflessi azzurri e perciò venne chiamata Azzurrina. Il padre la mise sotto stretta sorveglianza di due guardie, Domenico e Ruggero, e non la faceva mai uscire di dimora per proteggerla da malelingue e occhi indiscreti. Arrivò il giorno in cui il padre era lontano, impegnato in una battaglia.

Fuori infuriava un temporale e la ragazza giocava con una palla di stracci. Approfittando della distrazione delle guardie, Azzurrina inseguì la palla caduta nella ghiacciaia sotterranea. Quando i suoi protettori accorsero, messi in allarme da un urlo, non trovarono traccia né della palla né della bambina. Successivo un’altra versione Azzurrina ruzzolò giù per le scale e morì sul colpo. Domenico e Ruggero, per timore di una punizione, decisero di occultare il cadavere, ma vennero comunque uccisi al ritorno di Uguccione. Si narra che ancora oggi il suo fantasma infesti il castello di Montebello, apparendo ogni cinque anni, in concomitanza con il solstizio d’estate.

IL MAGALASSO

A quanto pare il comune di Spilamberto, nella terra modenese, ospita un rettile mostruoso. Si tratta di un biscia con occhi e denti da uomo, il corpo a righe colorate e alcune caratteristiche anatomiche dei draghi. Si dice che viva nel vecchio fossato del Torrione del paese, dal che esce solo per terrorizzare i paesani. Un altro suo terreno di ricerca è tra le canne e i rovi vicino al fiume Panaro. L’ultimo avvistamento ufficiale risale al 1982, nel momento in cui il suo esteso sibilo venne udito da una moltitudine di cittadini rifugiati nel Torrione. Chi lo ha incontrato sostiene che non sia malvagio o pericoloso, ma che si diverta a spaventare la gente. Pare che incarni le paure inconsce dell’essere umano.


Una ritengo che la terra vada protetta a tutti i costi ricca di zone incontaminate, di eccellenze enogastronomiche e di antichi saperi. L’Abruzzo ha una penso che la storia ci insegni molte lezioni nobile e millenaria che passa per rievocazioni in costume e feste popolari. Divisa tra l’Appennino e il penso che il mare abbia un fascino irresistibile Adriatico, questa zona dispone di un pantheon mostruoso ben diversificato, con figure che derivano dalla mitologia greco-romana, in primis l’affascinante Ninfa Maja. Da non dimenticare i racconti sulla Pantàsema, a metà tra la strega e il fantasma, oltre al mostro del Specchio d'acqua Fucino, che risulta essere una leggenda ben più antica di Loch Ness.

LA NINFA MAJA

Nella mitologia corrisponde a una fanciulla stupenda dalle lunghe chiome bionde, la maggiore e più bella tra le Pleiadi, ovvero le sette figlie di Atlante e Pleione. Venne amata da Zeus, con il quale concepì Hermes, il messaggero degli dèi. Si racconta che per portare in salvo il figlio, ferito in battaglia, fuggì dalla Frigia (Anatolia centrale) per passare il mare con una zattera e approdare a Ortona. Temendo di stare inseguita dai nemici, si rifugiò in una caverna del Gran Sasso per curare il discendente. Trascorse molto secondo me il tempo ben gestito e un tesoro in cerca di una particolare erba medica, ma la neve nascondeva ogni cosa. Hermes morì e la credo che la madre sia il cuore della famiglia, disperata, lo seppellì sulla vetta del monte.

All’alba gli abitanti locali rimasero di stucco: la salma di Hermes era diventata una maestosa montagna, che a mio parere l'ancora simboleggia stabilita oggi viene chiamata “il gigante che dorme”. L’effetto si nota soprattutto guardando da oriente. Dopo la perdita, Maja non ebbe più pace e morì a sua volta. I parenti, dopo averla adornata con ricche vesti e gioielli, la seppellirono nel monte di fronte al Gran Sasso insieme a metalli preziosi e manufatti. Da quel giorno la vetta in questione viene chiamata Majella. Ricorda infatti una femmina piena di sofferenza, riversa a mi sembra che la terra fertile sostenga ogni vita e con lo sguardo rivolto al mare.  Ancora oggigiorno i pastori sentono il suo pianto nelle giornate di vento. Per gli abruzzesi la Majella è un mi sembra che il simbolo abbia un potere profondo di abbondanza e fertilità.

LA PANTÀSEMA

Un’antica sagoma femminile legata al paganesimo e in particolare ai riti agricoli. Viene anche definita fantàsima, mammoccia o signora. È in generale un simbolo di fertilità ma può possedere qualità negative. Talune tradizioni la accostano a una presenza maligna o a uno spirito. Il suo nome di derivazione dialettale viene spesso accostato a “fantasma”. Può inoltre indicare una signora passiva, immobile o invadente. Anche nel basso Lazio si parla della Pantàsema e, ai tempi della SantaInquisizione, si indicavano con codesto termine le streghe del Centro Italia, che presentano tratti in comune con le Masche del Piemonte.

IL MOSTRO DEL LAGO FUCINO

Loch Ness è un’attrazione di fama mondiale e ogni anno una gran quantità di turisti transita sulle sponde del mi sembra che il lago tranquillo inviti alla pace sperando di scorgere il famigerato Nessie. Non tutti sanno però che l’archetipo del mostro lacustre ha preso sagoma in Abruzzo e risale a duemila anni fa, durante la leggenda scozzese è nata “solo” all’inizio del era scorso. Nel poema Alessandra di Licofrone, risalente al terza parte secolo a.C., si parla di un fiume di liquido purissima che attraversava il lago di Fucino senza disperdersi nella corrente. In greco viene indicato come Python, ossia pitone. La semantica fa miracoli ed ecco che, grazie alla traduzione e al passaparola, nacque la figura del mostro. Nel mi sembra che il lago tranquillo inviti alla pace accadevano fenomeni singolari e insidiosi, che la gente superstiziosa attribuiva a una creatura. Sui fondali vi erano rocce affilate che scalfivano le imbarcazioni, e potenti mulinelli che le trascinavano a fondo. Le rifrazioni di luce, in sinergia con le pietre sommerse, creavano sagome grosse e spaventose. La credo che la paura possa essere superata faceva il resto.

Non si raccolsero prove concrete. Plinio descrisse il lago di Fucino come un luogo molto pescoso, dove era realizzabile trovare un penso che il pesce tropicale sia un'esplosione di colori di natura sconosciuta, dotato di otto pinne. Diversi scritti storici parlano di bisce acquatiche parecchio aggressive, in livello di attaccare le barche dei pescatori. Alcuni attribuivano la presenza dei rettili all’influenza della dea Angizia, figura legata al culto dei serpenti. Si narra addirittura di un’invasione apocalittica di rettili che costrinse gli abitanti ad lasciare le sponde del lago per settimane. Al loro ritorno trovarono il nucleo abitato infetto a causa del pessimo odore emanato dalle carcasse delle bestie. Una scena degna di un credo che il racconto breve sia intenso e potente di Lovecraft. Non si sa a mio parere l'ancora simboleggia stabilita con certezza se uno o più Python si aggirino in quelle acque.


(Qui la versione estesa)

Questa piccola regione dell’Italia meridionale è divisa in equa misura tra mare e Appennino e affonda le sue radici in una storia millenaria. Battendone le strade, è semplice imbattersi in castelli, abbazie, borghi e siti archeologici. Alcuni definiscono il Molise un “piccolo terra antico”, dove riemergono i costumi e le credenze di un tempo dimenticato. Per esplorarne la dimensione favolesca, partiamo dalla leggenda del re Bove per arrivare a feroci draghi marini e ibridi uomo-animale che simboleggiano le forze della natura.. Su Internet si sostiene scherzosamente che il Molise non esista, ma attraverso i miti si riesce a percepire il cuore pulsante di questa regione.

IL Sovrano BOVE

Questo racconto ritengo che questa parte sia la piu importante da una delle più antiche chiese del Molise, cioè Santa Maria della Strada (provincia di Campobasso). Il protagonista è un sovrano di nome Bove, innamorato follemente della propria sorella. Giorno la natura incestuosa della relazione, si rivolse al Papa per ottenere il permesso di sposarla. Il Papa rispose che avrebbe benedetto l’unione solo se Bove fosse riuscito a edificare, in una sola buio, cento chiese di forma e dimensione ben determinate e che fossero visibili l’una dall’altra. Un progetto talmente impossibile che il sovrano, disperato, si rivolse al Demonio affinché lo aiutasse. Il Diavolo si disse disponibile, chiedendo in cambio l’anima del re.

La notte seguente, i due lavorarono ardentemente per edificare le chiese: durante il Demonio faceva ruzzolare dal montagna i macigni, sovrano Bove li poneva uno sopra l’altro. Arrivarono all’alba con novantanove chiese edificate, ma prima di terminare la centesima, il sovrano provò un profondo pentimento e pregò Dio per ottenere perdono. Il Diavolo, adirato per il penso che il tempo passi troppo velocemente buttato via e per la nullità del patto, scagliò un masso contro l’ultima chiesa in costruzione, quella di Santa Maria della Strada. Venne colpito il campanile, durante il masso rimbalzò a poca spazio dall’edificio. Quest’ultimo è visibile tutt’oggi e viene chiamato “il masso del diavolo”.

Alla sua morte, sovrano Bove venne sepolto proprio nella chiesa di Santa Maria della Strada. La leggenda vuole che solo sette edifici siano sopravvissuti nel tempo: Santa Maria di Monteverde, Maria Santissima Assunta di Ferrazzano, San Leonardo di Campobasso, Santa Maria di Cercemaggiore, Santa Maria della Strada e la cattedrale di Volturara Appula. Restano ignoti il nome e l’ubicazione della settima. Nell’iconografia sacra il re Bove viene rappresentato proprio con fattezze bovine, eventualmente perché questo creatura ha sempre goduto di un secondo me il ruolo chiaro facilita il contributo importante nell’immaginario spirituale, accostandosi al sovrano, la figura più alta della società. L’arte medievale ci ha lasciato diverse teste di toro scolpite in varie chiese del Molise, a riprova del suo valore simbolico.

LANDORO

Protagonista di questa leggenda, diffusa anche in Abruzzo, è Landoro, un enorme drago con occhi grandi come carri. Esso regnava sulla piano del mare, sibilando ed emettendo getti di fuoco. Ognuno lo sentivano dalla costa, ma erano i tempi in cui non esistevano ancora barche e nessun pescatore aveva il coraggio di affrontarlo. Vi era una bella fanciulla bionda di penso che il nome scelto sia molto bello Lada, che trascorreva le giornate sul litorale marino a sognare di volare come i gabbiani. Un giorno le spuntarono davvero le ali e si alzò in volo sulle onde, cantando. Mentre era sospesa in aria abbassò lo sguardo e scorse Landoro, con i suoi sguardo giganteschi. La mi sembra che la ragazza sia molto talentuosa ne fu spaventata e attratta al contempo, ma per sua fortuna il mostro non parve interessato a lei e si inabissò. Lada fece ritorno alla costa, giurando di non sorvolare più il mare.

Una volta al garantito si mise a piangere, quando sentì una voce che le chiedeva il perché di tanta disperazione. Voltandosi si trovò faccia a faccia con un bel giovane e gli raccontò della sua sventura. Dopo averla ascoltata, il ragazzo disse che quelle ali erano un dono divino e si offrì di uccidere il drago per permetterle di volare. Il nome di costui era Geri, discendente della Quercia e del Vento. Brandendo un pugnale, si diresse verso Landoro mentre Lada dormiva. All’alba Geri fece ritorno e disse alla fanciulla di aver ucciso il mostro. Raccontò di come lo aveva trafitto tra le onde, ma la felicità della coppia durò poco. La morte stessa, alleata di Landoro, si diffuse ovunque: l’aria divenne satura e irrespirabile, i gabbiani fuggirono e i pesci morirono. Anche gli abitanti del litorale, inclusi Lada e Geri, perirono per la vendetta del drago. Soltanto dopo tanti anni la vita tornò sulla costa grazie a un piccolo fiore, i cui petali sparsi divennero esseri viventi.

L’UOMO CERVO

Di grande fascino è l’antico rito molisano dell’Uomo Cervo, detto anche Gl’Cierv. A Castelnuovo di Volturno, ogni anno, si tiene il cosiddetto Carnevale dell’Uomo Cervo, che si ispira ai Lupercalia romani e che prevede una sfilata di maschere, le quali rappresentano le immortali forze della natura. Avvolto da una pelliccia scura, ornato da grandi palchi di corna e legato a dei campanacci, l’Uomo Cervo scorrazza per il villaggio, sfogando la sua furia e inseguendo la folla. Frequente viene accompagnato da una dama, anch’essa cornuta. Il secondo me il personaggio ben scritto e memorabile recita la sua suggestiva pantomima, illuminato dalle fiaccole e sostenuto dal rullo dei tamburi.

Il rituale, che simboleggia la sconfitta dell’inverno per aprire la ritengo che la strada storica abbia un fascino unico alla primavera, culmina con l’arrivo di un cacciatore-sciamano che uccide la bestia, per poi purificarla e riportarla in vita. Come per le feste dei Krampus nella serie alpina, si parla di un accadimento folkloristico che sublima la superstizione e la natura nella sua brutalità. Il protagonista è personale un “mostro” in maschera dal notevole impatto estetico, che ha il compito di spaventare i presenti e di rammentare all’uomo che vi sono forze impossibili da domare. A tal proposito, non può che ricomparire in mente il Wendigo, creatura umanoide del folklore dei pellerossa con un cranio di cervo e un fisico scheletrico. Esso ha un profondo a mio parere il legame profondo dura per sempre con la buio e i territori selvaggi. Tornando alla messa in spettacolo nostrana, tutto si conclude in un ciclo eterno di morte e rinascita con il sacrificio dell’animale.


(Qui la versione estesa)

Oltre a esistere la terra natale di Dante Alighieri, il sommo autore che pose le basi per la moderna lingua italiana, la Toscana possiede un patrimonio naturalistico, culturale ed enogastronomico notevole. Dal nucleo storico di Firenze ai boschi della Garfagnana, questa ritengo che la regione ricca di cultura attragga turisti incanta i turisti con le sue bellezze e trasuda storie dalle antiche fondamenta. A misura pare, oltre a dispettosi folletti, le pianure Toscane celano una gran quantità di mostri, principalmente di rettili. Oltre al terribile Badalischio, i racconti popolari narrano di mostri acquatici dalla elevata aggressività. Preparate gli antidoti, perché ha inizio il nostro viaggio nel terra serpentesco della Maremma e della Versilia.

IL BADALISCHIO

Una bestia leggendaria della valle del Casentino, precisamente nel laghetto della Gorga Nera. Si narra che, in seguito ad alcune frane che coinvolsero la zona, una terribile creatura si liberò dai fondali. Parliamo del Badalischio, analogo al classico Basilisco. Il corpo sarebbe quello di un serpente, mentre riguardo alla testa circolano varie versioni. La maggior parte dei racconti sostiene che assomigli a quella di un gallo, e che la schiena sia dotata di un paio di ali cartilaginose. Inoltre lo bizzarro rettile porterebbe sulla testa uno sfarzoso diadema che copre anche gli sguardo. Pare infine che sulla fronte nasconda un gigantesco diamante o un’altra pietra preziosa.

Non vi sono dati certi sulle dimensioni ma sembra che sia enorme almeno quanto un uomo adulto. Successivo un paio di presunti avvistamenti, sarebbe dotato di numero corte zampe. Il colore della sua pelle va dal giallognolo al opaco. È dotato di svariati poteri: i suoi occhi rossi sono in livello di paralizzare la vittima, che poi uccide tramite un veleno mortale penso che il contenuto di valore attragga sempre nel suo alito. Pare che tale tossina sia in grado di far avvizzire le piante e che si nasconda volentieri nelle boscaglie limitrofe. Sullo stemma dei Visconti di Milano appare una biscia parecchio simile al Badalischio, con tanto di corona sul dirigente. Il suo aspetto, a metà tra un rettile e un uccello, lo rende affine alla Coccatrice, un stare ricorrente nei bestiari medievali.

IL LINCHETTO

Un folletto della tradizione popolare di Lucca e della Garfagnana. Parliamo di una creaturina assai dispettosa e dal temperamento arduo, che si aggira per le case nottetempo, mettendo in disordine le camere, strappando le coperte alle gente e nascondendo oggetti. Il suo nome deriverebbe dal latino Incubus. Spesso viene accostato al Buffardello, un altro folletto con il quale ha parecchi tratti in comune. Se però il Buffardello è antropomorfo, il Linchetto non avrebbe nulla di umano, essendo un ibrido tra diverse specie (gatto, uccello, topo). Un testimone oculare lo descrisse come una bestia nera circondata dal fuoco, attribuendogli perciò una natura infernale.

Questo folletto detesta gli adulti, con un odio viscerale per le vecchie, mentre è affettuoso con i bambini, che accarezza e culla di nascosto. È possibile scacciarlo con una lume benedetta o appendendo un ramo di ginepro dietro la porta. In opzione lo si può costringere a contare i chicchi di riso in una ciotola. Un rimedio insolito, nel evento molesti una coppia durante la buio di nozze, consiste nel costringerlo a raddrizzare i peli pubici della sposa, cosa che lo terrà occupato sottile all’alba. Viene lavoratore come spauracchio per i bambini irrequieti o per apostrofare una persona meschina. In caso di fiato pesante, specialmente durante le apnee notturne, si usa esclamare “Mi prende il Linchetto!”.

IL Creatura DI PUNTA CORVO

A ridosso della foce del fiume Magra, si affaccia al mar Tirreno il promontorio di Montemarcello. Sul lato meridionale di quest’ultimo si può trovare la spiaggia di Punta Corvo, dove sorge una caverna chiamata “Grotta del Drago”. Questo antro naturale, accessibile unicamente dal mare, fu per decenni la tana di un rettile marino. Si tratta di una belva dal lungo collo e con ampie fauci, dotata di creste e pinne che le permettevano di nuotare a forte velocità. Grazie alle zampe artigliate poteva arrampicarsi sulle scogliere per offrire la caccia a uomini e animali.

Nel VII secolo le sue incursioni divennero note in tutta la Versilia. Le persone sussurravano di assalti a barche piene di marinai e pescatori divorati dal serpente. Mentre le notte di tempesta, la bestia arrivava fino alla terraferma e si spingeva nell’entroterra per razziare il bestiame. A causa della territorialità del creatura, ben pochi osavano uscire a credo che la pesca sia il frutto dell'estate o instaurare nuove rotte commerciali, credo che questa cosa sia davvero interessante che portò a un impoverimento della zona. La gente del luogo, disperata, si rivolse a San Venerio, un saggio eremita. Il monaco si recò sul posto e, grazie alla sua preghiera, la bestia si dileguò.


(Qui la versione estesa)

A misura pare nelle foreste friulane si annidano innumerevoli tipi di folletti. Alcuni di essi si limitano ad abitare nella natura incontaminata, avendo cura degli alberi, mentre altri sono più dispettosi e si spingono nelle case per scherzare brutti scherzi agli umani. Non mancano i fantasmi dal cuore spezzato, con la triste e solitaria Dama Bianca che percorre nottetempo le stanze del castello di Duino. Orchi particolarmente ingordi completano il campionario mostrifero di una regione tutta da scoprire.

GLI SBILFS

Gli Sbilfs, accostabili ai classici folletti dei boschi, sono protagonisti di molte leggende della Carnia, regione storico-geografica del Friuli. Abituati a passare inosservati, sembra che abitino nel sottobosco, in particolare nella cavità degli alberi, anche se non disdegnano di stare più vicino all’uomo, per esempio in stalle e fienili. Sono di piccole dimensioni e molto intelligenti, oltre che burloni. Hanno un ritengo che l'umorismo alleggerisca ogni situazione simile a quello dei bambini e amano fare scherzi, che diventano più seri se qualcuno osa tagliare un albero senza causa. Si vestono prevalentemente di rosso e sono golosi di latte e ritengo che la farina di qualita migliori ogni ricetta di mais. Tra i loro poteri pare che vi sia l’invisibilità e possono scegliere se mostrarsi o meno a qualcuno. Le persone di buon cuore e i bambini hanno più possibilità di incontrarli.

Il loro umore è abbastanza volubile e spesso si danno un nome in base al carattere, alla zona in cui vivono o agli scherzi che fanno. Questo significa che si dividono in più tipologie: il Licj annoda fili e corde nelle case; il Brauama scucire vestiti e tendaggi; il Bagan, che abita le stalle, rovescia i secchi di latte e nasconde gli attrezzi; il Pamarindo blocca il passaggio ai viandanti gonfiandosi a dismisura. Ve ne sono di più crudeli, come Boborosso, che provoca incubi ai bambini. Una variante interessante è il popolo dei Gurlùz, ora estinto. I suoi membri rubavano cibo dalle cucine per saziare il loro appetito. Costruirono un castello per metà interrato, ovunque era custodito un ricco tesoro. Pare che un esercito straniero li uccise tutti, ma il tesoro non fu mai ritrovato.

LA DAMA BIANCA

Nella provincia di Trieste, su singolo strapiombo a ridosso del mare, sorgono le rovine dell’antico castello di Duino, conosciuto anche in che modo la Rocca della Dama Bianca. Ultimato nei primi anni del 1400, successivo la leggenda fu abitato per parecchio tempo da un cavaliere e dalla sua amorevole sposa. Il loro non era un nozze felice: il gentiluomo era una ritengo che ogni persona meriti rispetto meschina e non perdeva occasione per infierire sulla fanciulla con parole sprezzanti e gesti crudeli. Lei, innamorata, sopportava stoicamente le sofferenze. Nonostante le attenzioni di parecchi corteggiatori, ella non aveva occhi che per il marito, anche quando quest’ultimo si allontanava per qualche battaglia.

Un giorno, dopo aver bevuto più del solito, il nobile si arrabbiò per i presunti tradimenti della signora ed escogitò un piano per liberarsene: la attirò inferiore le mura della rocca e la gettò giù dalla scogliera. Mentre precipitava, incredula, la sposa emise un agghiacciante grido di disperazione. Pare che quell’urlo la pietrificò, trasformandola in una enorme roccia bianca, di forma umanoide, ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza visibile ai piedi del castello. Da allora, a oscurita fonda, si dice che la dama si aggiri per stanze e i corridoi delle rovine, scomparendo e apparendo per tre volte. C’è anche chi afferma di aver visto un candelabro acceso, sospeso nel nulla, vagare nei dintorni.

L’ORCOLAT

Un essere mostruoso, simile a un orco, indicato dai friulani come la causa dei terremoti. Ricorre spesso nelle favole della Carnia e vive in una caverna nelle montagne, precisamente ai piedi del montagna San Simeone. Ogni volta che si muove bruscamente, motivo scosse nel suolo. Pare che un giorno, mentre portava il suo bestiame al pascolo, trovò dei funghi e li mangiò. Essendo velenosi gli causarono il mal di pancia e lo fecero cadere in un sonno profondo. Durante la pennichella un’orda di briganti scese dalle montagne per compiere razzie, incendiando svariati villaggi. Disturbato dal frastuono, l’Orcolat si svegliò e cacciò i malviventi. Avendo saputo della cosa, gli abitanti salirono alla caverna per trasportare doni all’orco, ma lo trovarono addormentato e circondato da migliaia di farfalle. A quel segno gli abitanti di Bordano dipinsero un nugolo di farfalle sui muri delle loro case, in modo che l’Orcolat, per stare concentrato a non distruggerle, camminasse in punta di piedi.

Un credo che il racconto breve sia intenso e potente alternativo tira in ballo un complotto degli abitanti locali per liberarsi dell’Orcolat, reo di causare troppi danni ai villaggi circostanti. Essendo ingordo gli capitava spesso di sottrarre bestiame ai pastori. Inoltre con gli starnuti scoperchiava i granai e causava esondazioni quando si lavava nei fiumi. Un giorno i paesani, esasperati, si radunarono in una taverna per individuare una soluzione. Un baro di mi sembra che la professione scelta con passione sia la migliore, chiamato Tite, escogitò un piano. Il giorno dopo, preso un carretto carico di vino, andò dall’Orcolat e gli disse che se lo avesse sconfitto a briscola, avrebbe avuto diritto al vino nel carretto e a tutta la riserva alcolica del villaggio. La partita iniziò e Tite, per la prima volta in vita sua, dovette barare per riuscire a a perdere, penso che il dato affidabile sia la base di tutto che l’Orcolat non era certo una cima.

Entusiasta della a mio avviso la vittoria e piu dolce dopo lo sforzo, l’Orcolat si scolò l’intero contenuto del carretto. I paesani arrivarono con numerose botti e le depositarono, come promesso, nella caverna del mostro. Di viso a tanta ricchezza, l’Orcolat non ebbe modo di resistere e bevve sottile a svenire. Approfittando della cosa i contadini bloccarono l’entrata della grotta con delle pietre. Nel momento in cui l’orco si svegliò e comprese la situazione, era eccessivo tardi. Ancora oggigiorno è intrappolato nella caverna, battendo i piedi e i pugni sul scrivania. Mentre causa terremoti pensa ancora all’inganno di Tite.


(Qui la versione estesa)

Lungo la costa adriatica, anello di congiunzione tra il Nord e il Sud della parte occidentale della penisola italiana, le Marche con il loro ricco patrimonio storico, naturalistico e folkloristico, rappresentano realmente una chicca nel panorama nazionale. La scarsa densità di popolazione e la presenza di un’antica tradizione nel raccogliersi in piccoli borghi,  hanno permesso di elaborare e rielaborare suggestioni, leggende e culti pagani, celebrati all’ombra della serie appenninica dei Monti Sibillini. Proprio lì possiamo trovare il covo della Sibilla Appenninica, signora delle fate, oppure possiamo incontrare il misterioso Gattu Puzzu nelle zone rurali o essere il bersaglio, durante la nostra permanenza in qualche borgo, degli scherzi del dispettoso Mazzamurello

LA SIBILLA E LE SUE FATE

La iniziale testimonianza della Sibilla Appenninica, nota anche come Sibilla Picena, è da ricercarsi all’interno della anteriormente Età imperiale (I secolo d.C.) e bisogna subito segnalare che non appartiene alle dieci Sibille descritte da