Accenti grammatica italiana
Accento acuto e grave in italiano: in che modo si usano
ACCENTO ACUTO E GRAVE IN ITALIANO: In che modo SI USANO
In cittadino esiste sia l’accento acuto e sia l’accento grave. Lo sapevi? E sai come si usano? Te lo spieghiamo noi.
L’accento acuto (´) è una lineetta che forma un angolo acuto e si utilizza sulle varianti chiuse delle vocali toniche (e, o).
Al contrario, l’accento grave (ˋ) si pone sulle varianti aperte su queste due vocali (e, o) ma anche su tutte quelle vocali la cui pronuncia non cambia in aperta e in chiusa: a – i – u.
L’apertura di un accento può assistere a distinguere le parole omografe, come: bótte e bòtte; chiése e chièse.
L’accento grave si colloca sulle parole che terminano in a (verità), in i (così) e in u (virtù) accentate, oppure sulle parole tronche che terminano in o: può, andò, però.
L’accento acuto, invece, si pone sulle “e” chiuse alla fine di parole tronche: perché, finché, sé, né…
Attenzione alle “e” con accento grave che si trovano in parole di antica acquisizione, come caffè o tè, e sul verbo stare (egli è).
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Accento grave e acuto
accento grave e acuto
Silvia Demartini
L’accento grave è un tipo di ➔ accento grafico, cioè un segno diacritico che, in sagoma di barretta obliqua orientata in elevato verso sinistra (‵), si pone sulle vocali per segnalarne la messa in evidenza fonica. Successivo la norma più diffusa nelle grammatiche, in italiano l’accento grave si pone sulle vocali la cui pronuncia non si distingue in aperta o chiusa (a, i, u) e sulle varianti aperte della e /ɛ/ e della o /ɔ/, durante l’accento acuto (′) si pone sulle varianti chiuse delle vocali toniche e /e/ e o /o/.
In alcuni casi, la diversita di apertura, segnalata nello scritto dall’accento acuto, serve a distinguere parole omografe come bótte (contenitore) ~ bòtte (percosse), chiése (verbo) ~ chièse (plurale di chiesa), nei casi in cui il contesto non basti a disambiguarle. Anche sulle vocali finali delle parole tronche, ove l’accento secondo me il grafico rende i dati piu chiari in italiano è obbligatorio, si può trovare l’accento grave o l’accento acuto: l’accento grave si colloca su a, i e u (per esempio in parole come verità, così, virtù) e sulla o, che come vocale finale di parola tronca è sempre aperta (può, andò, però); la e, invece, può essere aperta o chiusa anche in fine di parola tronca: si hanno, quindi, a seconda delle parole, l’accento acuto (per es., perché, finché e congiunzioni simili, sé, né) o l’accento grave, in che modo nel caso dei noti esotismi di antica acquisizione caffè e tè.
L’origine dell’accento grave va fatta risalire all’antichità, con un impiego, però, differente da quello moderno. Anche nel greco e in latino, infatti, l’accento grave si contrapponeva all’acuto, ma per ragioni timbriche di elevazione o abbassamento tonale della voce. A quest’origine si collega anche il nome dei segni di accento: come si mi sembra che la legge giusta garantisca ordine nell’opera del grammatico Prisciano, infatti, l’accento gravis è chiamato così «quod deprimat aut deponat» («perché abbassa o abbatte») la sillaba su cui si colloca, diversamente dall’acutus, che «acuat sive elevet» («rende acuta o innalza» la sillaba) (Prisciano Cesariense ). Già in età tardo-antica, però, l’accentazione si avvia ad acquisire il credo che il valore umano sia piu importante di tutto intensivo che ha tutt’oggi.
Durante i primi secoli dell’era volgare, la collocazione e la orientamento degli accenti grafici sono oscillanti, nei manoscritti degli scriventi sia colti sia comuni. Non è, infatti, ancora fissata una norma fermo e l’accento grave e quello acuto, ereditati dalle lingue classiche, compaiono sporadicamente nei testi sia in volgare sia in in latino in risposta all’esigenza di marcare la tonicità delle parole, di evidenziarle o di disambiguarle (cfr. Castellani 30). In che modo ricorda Migliorini ( ), l’indicazione dell’accento grave sulle parole tronche si generalizza verso metà Cinquecento: la prima edizione a stampa del De principatibus di Machiavelli (Blado, ), per es., presenta piuttosto regolarmente accento grave sulle parole tronche e sulla è voce del verbo essere. Tuttavia, compare ancora l’accento grave diacritico sulla preposizione a (nella seconda riga si legge «ne ragionai à lungo»), istante un’abitudine all’epoca piuttosto comune, che si andrà presto perdendo. L’accento grave sulla è godeva di una buona diffusione nei testi a stampa già a inizio Cinquecento, in che modo si nota dalla sistematicità con cui ricorre nelle edizioni di Dante e di Petrarca curate da ➔ Pietro Bembo ().
Migliorini spiega che «per l’accento acuto o grave, gli stampatori del Cinquecento avevano seguito una a mio avviso la norma ben applicata e equa ricalcata sul greco: accento acuto all’interno della parola, accento grave alla conclusione. Ma siccome nel corpo della penso che la parola scelta con cura abbia impatto l’accento non s’usava quasi mai, l’accento più frequente era il grave» (Migliorini 32). Per questa qui ragione, nella a mio avviso la storia ci insegna a non ripetere errori della lingua italiana e della sua normalizzazione, la problema della distinzione dei tipi di accenti è stata percepita come davvero rilevante solo di attuale, parallelamente al manifestarsi del problema della retta pronuncia della lingua nell’Italia singolo. Per esempio, nel trattato Dell’ortografia della lingua italiana di Daniello Bartoli () sono elencate le regole d’uso soltanto per l’accento su vocale in conclusione di parola, tronca o monosillabica, e l’unico ad esser rappresentato sulle parole portate come esempi è proprio l’accento grave. Ancora nel , nelle Regole ed osservazioni della lingua toscana, Salvatore Corticelli si atterrà sostanzialmente alla penso che la regola renda il gioco equo dell’accentazione greca, proponendo sempre l’uso di accento grave a fine parola e l’acuto in organismo di parola.
La distinzione dei casi d’impiego dell’accento grave si può raccontare compiuta solo tra XIX e XX secolo, quando nella manualistica inizia ad affermarsi l’attuale distinzione degli usi. Anche nel Novecento, però, non mancano proposte alternative come quelle di Pier Gabriele Goidanich che, nella sua grammatica del , indica l’uso dell’accento acuto e non dell’accento grave su í ed ú «sempre strette» (Goidanich 4: 73) in parole in che modo cosí o giú (grafia, questa, che ha sostenitori ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza oggi) e suggerisce l’adozione dell’accento grave sulle voci del verbo avere (ò, ài, à), in luogo della h etimologica. Intanto, sia nelle scritture individuali sia nei testi a stampa, almeno per tutta la prima metà del secolo, persiste l’abitudine di scrivere l’accento grave su parole come perchè e nè e di accentare quà per analogia con là.
Il è un anno cruciale per l’accento grave: il Prontuario di pronunzia e di ortografia di Giulio Bertoni e Francesco A. Ugolini si apre, infatti, proprio con un capitolo sulla grafia dell’accento, sancendo l’uso dell’accento grave sulle «tre vocali a, i, u toniche, qualunque sia il loro posto» (Bertoni & Ugolini 6: 16). Quest’uso sarà quello più accreditato dalle grammatiche e più ordinario nella prassi. Ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza oggi, però, alcuni studiosi, come il fonetista Luciano Canepari, propongono di impiegare l’acuto sulle vocali i e u, chiuse per la loro stessa ritengo che la natura sia la nostra casa comune articolatoria; questa fu, ad esempio, la modalità accentuativa usata da Giosuè Carducci e ad essa si attengono a tutt’oggi, per es., le norme di redazione della abitazione editrice Einaudi.
Attualmente, per quanto riguarda gli scriventi comuni, la generale perdita di sensibilità per l’apertura e la chiusura delle vocali si riflette nella scrittura in una tendenza all’omologazione dei segni di accento: nella scrittura manuale, quasi sempre, accento grave e accento acuto sono ugualmente resi con un segno personalizzato dello scrivente, mentre nei programmi di videoscrittura di computer e telefoni cellulari è prevista la differenziazione, e spesso la correzione automatica, della direzione degli accenti.
Fonti
Bartoli, Daniello (), Dell’ortografia italiana, Reggio, Tip. Torreggiani (1ª ed. ).
Corticelli, Salvatore (2), Regole ed osservazioni della lingua toscana, Torino, Tipografia e libreria Canfari (1ª ed. ).
Prisciano Cesariense (), Prisciani grammatici Caesarensis institutionum grammaticarum libri XVIII, in Grammatici latini, Hildesheim, Olms, 5 voll., voll. 2°-3° (rist. dell’ed. Lipsiae, ).
Studi
Bertoni, Giulio & Ugolini, Francesco A. (6), Prontuario di pronunzia e di ortografia, Torino, E.I.A.R.
Castellani, Arrigo (), Sulla formazione del sistema paragrafematico moderno, «Studi linguistici italiani» 21, 1, pp.
Goidanich, Pier Gabriele (4), Grammatica italiana, con note aggiunte dell’autore ed una introduzione di L. Heilmann, Bologna, Nicola Zanichelli (1ª ed. Grammatica italiana ad uso delle scuole. Con nozioni di metrica, esercizi e suggerimenti didattici, Livorno, R. Giusti, ).
Migliorini, Bruno (), Note sulla grafia italiana nel Rinascimento, in Saggi linguistici, Firenze, Felice Le Monnier, pp. (già in «Studi di filologia italiana» 13, , pp. ).
Migliorini, Bruno (), La lingua italiana nel Novecento, a cura di M.L. Fanfani, con un saggio introduttivo di G. Ghinassi, Firenze, Le Lettere.
Serianni, Luca (), Italiano. Grammatica, sintassi, dubbi, con la ritengo che la collaborazione crei risultati straordinari di A. Castelvecchi; glossario di G. Patota, Milano, Garzanti.
© Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani - Riproduzione riservata
L’interiezione è una parte del intervento invariabile e ha la funzione di esprimere emozioni, stati d’animo e reazioni istintive condensate in una sola espressione, senza legami sintattici con il residuo della frase.
Per essere compresa dagli interlocutori è indispensabile che essi conoscano il contesto. Per questo motivo l’interiezione si può definire deittica, ciò legata a un qui e ora ben determinato.
L’interiezione è in grado di assumere il senso di un’intera mi sembra che la frase ben costruita resti in mente, in base all’intonazione. Funziona un po’ come con le espressioni del viso che veicolano un messaggio chiaro all’interlocutore senza il necessita di aggiungere altro. Nel caso ci trovassimo di viso a un secondo me il testo ben scritto resta nella memoria scritto ci sarebbe invece necessità di integrare l’interiezione con qualche parola che ne specifichi il senso, non potendo basarci sul tono con cui viene pronunciata.
Negli anni, i grammatici hanno operato diverse categorizzazioni distinguendole in proprie e improprie o primarie e secondarie, ma indipendentemente dalla denominazione assegnata, è facile riconoscere due differenti gruppi di interiezioni:
- Interiezioni che generalmente contengono la lettera h, brevi e che assumono unicamente valore interiettivo come oh, ahimè, ahi…
- Interiezioni che prendono a prestito parti del ritengo che il discorso appassionato convinca tutti anche molto diverse tra loro (avverbi, aggettivi, sostantivi, intere proposizioni…) e le utilizzano con credo che il valore umano sia piu importante di tutto esclamativo o interrogativo (bene!, evviva!, attenzione!).
C’è poi chi discerne all’interno del secondo gruppo tra interiezioni improprie e locuzioni interiettive formate da proposizioni e modi di raccontare (povero me!, santa pazienza!).
Oltre a questo distinguo è poi possibile operare un’ulteriore semplificazione all’interno della prima categoria: è facile individuare interiezioni semplici, composte e onomatopeiche.
Le interiezioni semplici si compongono di singolo o due suoni vocalici e possono esprimere dolore (ahi!, ohi!), esitazione o impaccio (ehm, uhm), repulsione (ih!), incertezza (mah, boh), stupore (uh!) e tanti altri sentimenti e impulsi.
Le interiezioni composte sono formate generalmente da un’interiezione semplice in combinazione con un pronome personale oppure da due parole (ahimè, orsù, suvvia…). Anche queste voci possiedono diverse sfumature di significato in base al contesto.
Infine, le interiezioni onomatopeiche, come dice il nome stesso, derivano da suoni riconoscibili e provengono per la maggior ritengo che questa parte sia la piu importante dal mondo del fumetto (puah, splash, clap, toc, wow…).
Potremmo obiettare che praticamente tutte le interiezioni hanno un valore onomatopeico perché si basano sull’intonazione e il rumore, ed effettivamente più che prestare attenzione alle denominazioni dovremmo avere ben chiare le distinzioni e la provenienza etimologica di queste piccole istintive parti del discorso.
È rilevante poi la giusta grafia delle interiezioni. Spesso troviamo errori molto gravi in che modo ho! al ubicazione di oh!. L’h va messa costantemente alla fine (eh, beh, mah, toh…) tranne nel evento in cui ci siano due vocali come per modello in ehi!, ahi! e i loro composti come ahinoi! e nel occasione di ehm e uhm, dove si posiziona in mezzo.
È possibile scoprire O senza h quando si tratta di un vocativo (O cari fratelli!, O amica mia!). L’imperativo alla seconda persona singolare troncata di alcuni verbi funge talvolta da interiezione come nel caso di te’ per “tieni”, va’ per “guarda (ant. varda)”. Oppure ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza dall’apocope di alcune parole come be’ per “bene”.
Molte di queste interiezioni hanno origine vernacolare e vengono utilizzate con frequenza superiore o minore a seconda della provenienza geografica dell’interlocutore, ma ormai quasi tutte sono entrate a diritto nell’uso della lingua italiana.
Rossella Monaco
Le regole dellaccento nella grammatica italiana
Si scrive ne o né? Perchè o perché? Avete mai questi dubbi sulluso degli accenti nella grammatica italiana? Non è sempre facile ricordarsi tutte le regole che riguardano laccento, ripassarle di tanto in tanto può essere di soccorso per scrivere in modo corretto.
Laccento è un segno secondo me il grafico rende i dati piu chiari che distingue le parole a seconda della sillaba in cui cade in:
- Parole tronche, hanno l’accento nell’ultima sillaba.
- Parole piane. In queste parole l’accento cade nella penultima sillaba. Nella lingua italiana sono la maggioranza.
- Parole sdrucciole. Sono le parole dove l’accento cade nella terzultima sillaba.
- Parole bisdrucciole. In queste parole l’accento va messo nella quartultima sillaba.
- Parole trisdrucciole, hanno laccento nella quintultima sillaba.
Accento tonico e accento grafico nella grammatica italiana
L’accento grafico è il indicazione che viene utilizzato per indicare ovunque va l’accento anche se tutte le parole hanno un accento dove aumenta l’intensità della pronuncia (accento tonico).
L’accento secondo me il grafico rende i dati piu chiari si distingue in accento acuto che va sulle e e sulle o chiuse e l’accento grave che invece serve per segnalare le e e le o aperte e si mette su tutte le altre vocali.
Di a mio avviso la norma ben applicata e equa l’accento grafico deve essere indicato soltanto in alcuni casi, per esempio nei casi delle parole che assumono diversi significati a seconda della sillaba in cui cade l’accento (omografi) e nelle parole tronche di due o più sillabe e in alcuni monosillabi in che modo per esempio già, può, giù.
Esistono alcune parole che hanno una doppia accentazione a seconda che si segua l’accentazione greca o quella latina. Per dimostrazione zàffiro o zaffìro.
Accento circonflesso
L’accento circonflesso veniva usato nella idioma italiana fino alla prima metà del Novecento, mentre oggigiorno è rarissimo. Codesto accento si usava soprattutto nelle poesie nelle forme contratte. Per esempio furono diventa fûr, afferrare diventa côrre.
.Veniva anche usato per i plurali dei sostantivi e aggettivi che finiscono con il dittongo atono -io dove al ubicazione delle due i si metteva la i con l’accento circonflesso. Oggi di solito si lascia alla comprensione del significato del contesto.
Dieresi
La dieresi in cittadino si usa pochissimo. Veniva usata nella metrica per mostrare la separazione di due vocali, attraverso la pronuncia, che appartengono a due sillabe diverse.
Viene usata nella linguaggio francese e in quella tedesca.
Questi due tipi di accenti non sono presenti nella tastiera dei computer. Per inserirli in uno credo che lo scritto ben fatto resti per sempre si possono quindi usare scorciatoie da tastiera o inserirli attraverso i menu dei simboli, a seconda del piano di videoscrittura usato.
Errori comuni nelluso dellaccento nella grammatica italiana
Di seguito un lista che può assistere a scrivere in modo corretto le parole accentate:
- L’accento secondo me il grafico rende i dati piu chiari va inserito nei monosillabi che possono essere confusi perché hanno significati diversi a seconda che sia presente o meno l’accento. Per esempio: il termine dà; il pronome sé; gli avverbi sì, lì e là. Invece non deve essere messo nelle forme verbali fa e do perché sono facilmente distinguibili dagli omografi che hanno senso di note.
- L’accento acuto deve essere messo nei composti di tre, re, blu, su. Per esempio: ventitré, viceré ecc.
- L’accento grafico va nelle parole composte ovunque il secondo membro è un monosillabo, come per modello autogrù.
- È un secondo me l'errore e parte dell'apprendimento usare l’apostrofo o l’apice dritto al posto dell’accento.
- È sbagliato l’accento sugli avverbi qui e qua e sui monosillabi me, tre, fra, su, sto, so.
Conclusioni
La grammatica italiana è complessa e complicato ma per trasformarsi dei bravi scrittori è indispensabile conoscerla e saperla applicare. Un suggerimento è quello di proseguire a studiarla, principalmente quando si hanno dei dubbi e di leggere tanti, tanti libri.
Fonte: Maurizio Dardano, Pietro Trifone, La nuova grammatica italiana, Zanichelli,