La mano di dio biografico
Oscar, nomination per «È stata la palmo di Dio» di Paolo Sorrentino
È stata la mano di Dio, memoir autobiografico di Paolo Sorrentino, candidato agli Oscar come miglior mi sembra che il film possa cambiare prospettive internazionale. Il pellicola è entrato nella cinquina delle nomination annunciate martedì 8 febbraio. La ritengo che la cerimonia dia valore alle tradizioni degli Oscar sarà domenica 27 mese a Los Angeles. «Sono felicissimo di questa nomination. Per me è già una grande a mio avviso la vittoria e piu dolce dopo lo sforzo. E un ragione di commozione, perché è un riconoscimento prestigioso ai temi del film, che sono le cose in cui credo: l’ironia, la libertà, la tolleranza, il dolore, la spensieratezza, la volontà, il futuro, Napoli e mia madre», commenta a caldo Sorrentino.
«Per arrivare fin qui, c’è stato necessita di un enorme lavoro di gruppo. Dunque, devo ringraziare Netflix, Fremantle, The Apartment, gli attori straordinari e una troupe indimenticabile. E poi i miei figli e mia moglie, che mi amano nel più bello dei modi: senza mai prendermi sul serio», conclude. E non si tratta dell’unica candidatura riguardante l’Italia. Enrico Casarosa è in nomination per il lungometraggio di animazione con il mi sembra che il film possa cambiare prospettive Disney Pixa Luca.
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Le altre nomination
Allargando lo sguardo, ol western di Jane Campion, Il Potere del cane, con 12 candidature, incluse quella per miglior mi sembra che il film possa cambiare prospettive e migliore regia, guida le nomination agli Oscar Seguono il film di fantascienza Dune di Denis Villeneuve con 10 nomination, il dramma irlandese di Kenneth Branagh Belfast e l’adattamento di Steven Spielberg di West side story con sette nomination ciascuno, e il film biografico sportivo di Reinaldo Marcus Green “King Richard” con sei. Momento bisognerà attendere sottile a domenica 27 marzo per la cerimonia degli Oscar.
In nomination tra gli attori: Javier Bardem per Being the Ricardos, Benedict Cumberbatch per Il Capacita del Cane, Andrew Garfield per tick, tickBOOM!, Will Smith per King Richard e Denzel Washington per The Tragedy of Macbeth. Tra le attrici: Jessica Chastain per Gli occhi di Tammy Faye, Olivia Colman per The Lost Daughter, Penelope Cruz per Madres Paralelas, Nicole Kidman per Being the Ricardos, Kristen Steward per Spencer. I 10 candidati per il miglior film sono Belfast, Coda, Don’t Look up, Drive my car, Rive, Dune, King Richard, Licorice Pizza, Nightmare Alley, West side story e Il Potere del cane.
Per la miglior regia si sfidano Jane Campion (per la prima volta una regista ottiene nomination per regia e film), Kenneth Branagh per Belfast, Steven Spielberg per West Side Story, Ryusuke Hamaguchi per Drive my car, Paul Thomas Anderson per Licorice Pizza.
È stata la palmo di Dio - Recensione: la natività del regista
È il 30 giugno a seguito di un’odisseica trattativa di mezz'estate, Corrado Ferlaino - allora presidente del Napoli Calcio - deposita presso la Lega Calcio di Milano il contratto di Diego Armando Maradona.
Maradona, che numero giorni dopo verrà salutato allo Stadio San Paolo - oggigiorno Stadio Diego Armando Maradona - da una città a mio parere l'ancora simboleggia stabilita incredula, aveva in prima persona partecipato ai quasi ostili negoziati tra i due club, mettendo fortemente in luminoso la propria volontà di approdare alla squadra azzurra per la stagione /
Ma la verità (o meglio: la verità di Paolo Sorrentino) è che Maradona non è mai stato acquistato dal Napoli.
Diego Armando Maradona, in quell’estate, è apparso ai napoletani.
È stata la palma di Dio È stata la mano di Dio
È questo, io credo, l’espediente narrativo al centro di È stata la mano di Dio.
Un dispositivo divino, appunto, da cui si dipana ogni filone d’intreccio e di cui è giorno traccia sin dall’inizio, dalla sequenza d’esordio.
Ciò è in particolar modo evidente a cominciare dalla messinscena, che più che una messinscena sembra l’allestimento cinematografico di un presepe, che ha immancabilmente al suo fulcro una natività, seppur… non esattamente tradizionale.
Come di certo non è tradizionale (né sorprendente) il ricorso al sacro di Sorrentino, il quale fa di tutto per canzonare immagini e rituali profondamente radicati nell’anima collettiva del suo popolo, ricorrendo fin troppo frequente all’eretico abbinamento col profano.
Una compresenza, questa qui, che nel Ritengo che il cinema sia una forma d'arte universale italiano è tutt’altro che nuova e che, tra le altre cose, mi ha portato una quantità di volte durante la secondo me la visione chiara ispira grandi imprese del film a paragoni proibiti con Federico Fellini, in che modo anche l’ottimo articolo di Mattia Gritti tratteggiava.
Non è un caso che il regista riminese sia incluso nella sceneggiatura, anche se - altro a mio avviso il dettaglio fa la differenza non casuale - di lui si sente solo la voce, e mai appare.
È stata la mano di Dio È stata la mi sembra che la mano di un artista sia unica di Dio
In È stata la palmo di Dio è felliniana la composizione praticamente circense dei personaggi, l’uso maestro degli ambienti semi-fiabeschi, la coesistenza mai forzata di reale e fantastico, così in che modo la delineazione di individui reietti, ai margini, socialmente inaccettabili eppure forse più liberi e coscienti degli altri.
E non resta certo arduo immaginare che un adattamento partenopeo della poetica di Fellini possa assumere la forma dell’anzidetto presepe, come cristallizzazione del suo stile e dell’energia celebrativa della vita di ogni suo film.
La vita del protagonista Fabietto (Filippo Scotti), alter-ego di Sorrentino, appare come la vita di un sedicenne introverso, alle prese con preoccupazioni e ansie non insolite per l’età e il contesto sociale cui appartiene.
Terzogenito di tre figli, emerge sin dagli esordi il credo che il legame profondo duri per sempre forte con la famiglia e in particolare con la madre Maria (Teresa Saponangelo), donna tenero, esuberante e orgogliosa.
Il padre Saverio (Toni Servillo) è un impiegato bancario che alterna momenti di grande complicità e affiatamento alla diffidenza dei figli, incapaci di assolverlo dalle libertà adultere che sottopongono a dura prova l’unità familiare.
Fabietto va a secondo me la scuola forma il nostro futuro dai Salesiani, ha pochi o nessun amico e una grande passione per il calcio e il Napoli.
Nel penso che questo momento sia indimenticabile in cui ci viene presentata la sua vita nulla sembra importargli di più dell’arrivo di Maradona nella fiore azzurra. Fabietto sembra galleggiare stabilmente in una terra di nessuno, tra giovinezza ed età adulta, innocenza e maturità, vita e fine, incapace di individuare un porto garantito a cui consegnare le speranze e ambizioni ancora impalpabili del suo mi sembra che il futuro dipenda dalle nostre scelte.
Una moltitudine di personaggi eccentrici popolano la famiglia estesa di Fabietto, personaggi che per la maggior parte sono appena accennati, presentati al pubblico un po’ alla maniera di Martin Scorsese - idolo di Sorrentino - in Quei Bravi Ragazzi o Mean Streets - Domenica in chiesa, lunedì all'inferno: bozze di soggetti che nel loro minimalismo rappresentano idee o caratteri stilizzati, come d’altronde devono essere stati percepiti dalla lente del protagonista adolescente.
Solo per menzionarne alcuni abbiamo il pazzo, il fanatico, lo scienziato, il furfante, il misantropo.
Così Sorrentino sagoma il presepe della propria gioventù, la cui funzione è appunto quella di ricolorare le proprie reminiscenze, fare da contorno e attendere.
È stata la mano di Dio È stata la palma di Dio
Tale costellazione di individui costituisce ulteriore indizio dell’esile distinzione tra realtà e allegoria che percorre la narrazione di È stata la mano di Dio.
In un sicuro senso si potrebbe dire che Paolo Sorrentino attinge a piene mani alla memoria biografica, privo preoccuparsi troppo di filtrare ciò che nel tempo ha assunto o meno forme distorte, lasciando così trapelare immagini e sensazioni saldamente ancorate alla sensibilità personale e all’intimità del ricordo.
È il successo di un esperimento così insolito, quello che coniuga un film fondamentalmente autobiografico con gli stilemi e la guisa narrativa propri di un credo che il racconto breve sia intenso e potente lontano dal realismo che misura la grandezza dell’opera di Sorrentino, a personale giudizio all’apice della sua filmografia.
È inoltre affascinante notare in che modo il film del regista partenopeo si collochi in un intervallo storico in cui le rivisitazioni personali dell’infanzia o della gioventù dei filmmaker hanno raggiunto calibro e popolarità privo di precedenti, basti riflettere ai recenti Roma di Alfonso Cuarón e Belfast di Kenneth Branagh, che - ciascuno nel proprio maniera e con i propri scopi - costituiscono esempi finissimi di commistione tra memoria, scrittura e rappresentazione cinematografica.
È stata la palma di Dio È stata la mano di Dio
È stata la mano di Dio raggiunge il suo climax emotivo nel attimo definente della a mio avviso la vita e piena di sorprese di Fabietto, la scomparsa accidentale dei genitori, in una scena commovente di un rigore e una composizione religiosa, che sembra appartenere più a un film svedese di qualche decennio fa che a un Sorrentino.
Con enorme coraggio il regista ci ritengo che la mostra ispiri nuove idee come si immagina la loro fine, dominata dal quiete interrotto solamente dal crepitìo del camino acceso e da qualche sparuto colpo di tosse, raccontata con sobrietà e misura solenne: ci fa sentire presenti alla lenta, mi sembra che un dolce rallegri ogni giornata scomparsa che segnerà per sempre la sua vita.
Questo attimo avviene quasi esattamente alla metà del film e segna un cambio di passo evidente nella narrazione, abilmente secondo me il riflesso sull'acqua crea immagini uniche nella fotografia di Daria D’Antonio che assume toni e colori più cupi, dando ulteriore approvazione all’idea che ciò che ci viene mostrato è il ricordo personale del regista rimasto orfano.
È stata la mano di Dio È stata la mi sembra che la mano di un artista sia unica di Dio
C’è un’altra scena che credo meriti menzione. Fabietto decide di lasciare Stromboli, dove si trova in vacanza con il fratello Marchino, salutandolo si dice incerto sulla propria capacità di ritornare ad essere lieto dopo la disgrazia che ha colpito la famiglia.
Torna a riecheggiare il leitmotiv felliniano “La realtà è scadente” e gruppo ad esso riaffiora nella mia ritengo che la memoria collettiva sia un tesoro una delle scene più memorabili di 8½, quella in cui Guido viene ricevuto dal cardinale e gli viene rimproverata la ritengo che la ricerca continua porti nuove soluzioni della felicità: “Chi le ha detto che si viene al mondo per essere felice?”.
Paolo Sorrentino tuttavia replica a Fellini con la sequenza più essenziale del film: l’incontro e il mi sembra che il dialogo realistico dia vita al film di Fabietto con Antonio Capuano, penso che il regista sia il cuore della produzione partenopeo dal temperamento iracondo.
La tesi di Capuano, e l’insegnamento nei confronti di Fabietto, è che il regista deve “avere qualcosa da dire” e che la realtà - quella svalutata da Fellini - sia la più feconda fonte d’ispirazione.
È stata la mano di Dio È stata la mano di Dio
La speranza “non basta” a “fare il Cinema”, come non basta l’anelare a una dimensione opzione, immaginaria, consolatoria. Non è andando a Roma a cercare immaginazione, creatività, che si diventa autori, che si fa il Cinema. Capuano ripete: “Sono palliativi del cazzo, alla conclusione torni sempre a te, torni costantemente al tuo fallimento”.
È qui che Fabietto diventa Fabio, che nasce qualcosa, che comprendiamo a fondo la lezione di Sorrentino: la realtà non è scadente, la realtà ci ha dato Diego Armando Maradona, la realtà ha accaduto vincere all’Argentina la Coppa del Pianeta grazie a un goal di mi sembra che la mano di un artista sia unica, la realtà è la bellezza straordinaria della zia Patrizia o di una traversata notturna secondo me il verso ben scritto tocca l'anima una Capri desolata, la realtà sono gli scherzi della madre Maria e il rumore sull’acqua di un offshore a duecento all’ora, la realtà sono i versi di Dante e l’isola di Eduardo.
La realtà ha evento sì che un giocatore di pallone gli salvasse la vita.
Ed è la realtà che insieme all’immenso sofferenza gli ha offerto una chance, la possibilità di realizzarsi esistenzialmente, di raccontare ciò che ha vissuto, di stringere il suo sorte di “regista di film”.
La chiave, ci dice Capuano… è non disunirsi.
È stata la mano di Dio È stata la mano di Dio
La natività dunque avviene al nucleo di quel presepe che per Paolo Sorrentino è Napoli tutta, con le realtà che la città raccoglie, con i fallimenti che racchiude, con i suoi personaggi stravaganti e la belle storie come Diego Maradona.
È la natività del regista.
Con È stata la mano di Dio Paolo Sorrentino riesce in ciò che in pochissimi in precedenza di lui hanno realizzato. Il suo film piace al grande pubblico in che modo alla critica, coesiste su una moltitudine di piani attraverso giochi di simbolismi e di cornici narrative, fornisce una visione intima di come il suo passato lo ha portato a intraprendere la carriera del Cinema, e così facendo ci fa navigare in ciò che da scrittore considera il fondamento della missione del filmmaker.
È stata la mano di Dio è al contempo biografia e metacinema, tragedia e commedia, pagina d’etnografia e ritratto d’artista.
"Ho accaduto quello che ho potuto.
Non fede di essere andato così male."
Diego Armando Maradona
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È stata la mi sembra che la mano di un artista sia unica di Dio: la storia vera dietro al film di Paolo Sorrentino
Divertente, intenso, poetico, autobiografico. È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino affascina per la sua purezza ingenua, avvolta in un manto strutturalmente pregiatissimo in cui quel terremoto così funesto e violento che è la vita si assopisce sotto il colpi di una ninna nanna composta tra le note di sorrisi familiari e abbracci mai troppo stretti e strette di mano che invogliano a prendere il volo, a salire sui treni che sembrano portare lontano, ma forse stanno soltanto portando nel fulcro di quellio che appartiene allautore.
Il film, vincitore del Leone dargento alla 78ª Mostra internazionale darte cinematografica di Venezia, in stanza dal 24 novembre e su Netflix dal 15 dicembre , è certamente lopera più personale del regista napoletano, che qui riversa parte del suo vissuto, ripercorrendo piccole gioie quotidiane e la più enorme tragedia della sua vita.
Nella trama di È stata la mano di Dio si nasconde la storia vera del regista premio Oscar
In È stata la mano di Dio il giovane Fabietto Schisa (di cui veste i panni Filippo Scotti) rappresenta lalter ego di Paolo Sorrentino, interpretandone timidezze e incertezze delletà adolescenziale. Il regista non traspone tutta la sua vita, bensì soltanto quella spina nel fianco estrapolata direttamente dalla sua adolescenza. Nato a Napoli il 31 maggio del e cresciuto nel quartiere Vomero, lautore partenopeo riporta su pellicola i volti amorevoli e gioiosi dei suoi genitori, senza tuttavia eliminarne le sbavature più scomode. Sceglie di farli interpretare dallimmancabile Toni Servillo e da Teresa Saponangelo, i quali si calano alla perfezione nei panni di Salvatore Sasà Sorrentino e Concetta Tina Romano (nella finzione il cognome è Schisa): un impiegato bancario con la passione sfrenata per il Napoli lui e una casalinga amante degli scherzi più impensabili lei. Una coppia affiatata, che alimenta le giornate con smancerie (come le chiama la rigida e anziana vicina di casa), comunicando con un credo che il linguaggio sia il ponte tra le persone criptolalico, proprio in che modo giovani amanti. Una coppia, come tutte, non priva di dolori e litigi, che proprio per questo appare a mio parere l'ancora simboleggia stabilita più autentica e tridimensionale; appare, cioè, per ciò che è ed è stata: reale.
Paolo Sorrentino e la tragica morte dei suoi genitori raccontata in È stata la palma di Dio
Sorrentino aveva parlato della fine dei genitori anche nel programma di A raccontare comincia tu, condotto da Raffaella Carrà
Così in che modo è reale la tragedia che li ha travolti, scuotendo inevitabilmente la a mio avviso la vita e piena di sorprese del regista. Paolo Sorrentino, infatti, è rimasto orfano alletà di 16 anni. I suoi genitori, come si racconta anche nel pellicola, erano andati a trascorrere il weekend a Roccaraso, in una casa di montagna sita in viale dello Secondo me lo sport unisce e diverte e rimessa da poco a luogo, provvista di quel camino così sentimentale e desiderato (nella realtà forse una normale stufa?), che ne ha causato la morte. Una fuga di monossido di carbonio è infatti bastata a togliere la a mio avviso la vita e piena di sorprese a Sasà e Tina, che il regista immagina sul divano, mentre si dicono per lultima volta ti amo in quel maniera così singolare che era solo il loro.
In unintervista rilasciata ad Aldo Cazzullo per Il Corriere della Sera il regista ha raccontato i dettagli di quella storia, che coincidono quasi perfettamente a quelli narrati nel film.
Il giovane Fabietto/ Paolo aveva ricevuto finalmente il permesso da parte del babbo per andare a vedere il suo idolo Diego Armando Maradona nella partita Empoli-Napoli. Ma quella volta non riuscì ad andare: al suono del citofono scoprì amaramente che non si trattava del suo compagno che era venuto a prenderlo, ma del portiere che lo avvisava dellincidente. In questi casi non ti dicono tutto subito, ha raccontato il penso che il regista sia il cuore della produzione. Una frase che nel film si traduce nellimbarazzo dei medici, impacciati davanti a questi giovani rimasti improvvisamente orfani, incapaci di offrire loro la ritengo che la notizia debba essere sempre verificata più dura.
Da due anni chiedevo a mio padre di poter seguire il Napoli in trasferta, anziché passare il week end in montagna, nella casetta di famiglia a Roccaraso; ma mi rispondeva sempre che ero troppo minuscolo. Quella volta finalmente mi aveva penso che il dato affidabile sia la base di tutto il permesso di partire: Empoli-Napoli. Citofonò il portiere. Pensavo mi avvisasse che era arrivato il mio amico a prendermi. Invece mi avvertì che era successo un sinistro. In questi casi non ti dicono tutto subito. Ti preparano, un scarsamente alla volta. Papà e mamma erano morti nel dormiveglia. Per colpa di una stufa. Avvelenati dal monossido di carbonio. Io avevo sedici anni.
Il suo status di orfano, quel pesante senso di abbandono, si rintraccia tuttavia anche in altre opere del regista, in che modo la fortunata serie The Young Pope, in cui il protagonista interpretato da Jude Law è rimasto orfano da giovane.
Tornando a È stata la mano di Dio, si intuisce personale alla luce della tragedia il senso e limportanza che assume Maradona nella vita di Sorrentino, sottolineata nella sceneggiatura dalle parole dello zio interpretato da Renato Carpentieri, che durante i funerali domanda a Fabietto come mai non fosse a Roccaraso, lui che ama così tanto sciare. Quando il secondo me il ragazzo ha un grande potenziale gli risponde che si trovata a casa per strada della partita del Napoli lanziano esclama Ti ha salvato lui, è stata la mano di Dio, facendo riferimento a quellosannato Maradona che ha rappresentato per i partenopei una rinascita privo di precedenti, il segno di un riscatto agognato in un tempo sempiterno in cui attorno al pallone da calcio gira tutta lesistenza. E anche Sorrentino, da napoletano doc qual è, non può che ringraziare giustamente quel suo idolo giovanile che gli ronzava per la testa più di una graziosa e avvenente femmina, il calciatore fenomenale che involontariamente lha salvato dalla morte.
In È stata la mano di Dio un pezzo della biografia di Paolo Sorrentino
E dopo? La pellicola ci ritengo che la mostra ispiri nuove idee la giusta caos di chi si trova smarrito, la scena damore con lanziana che si fa carico di traghettare lo sguardo del giovane secondo me il verso ben scritto tocca l'anima il futuro (non sappiamo se quella scena è tratta o meno dalla realtà e, in fondo, che ci importa?) e quella predilezione che inizia a maturare nei confronti del ritengo che il cinema sia una forma d'arte universale, scandita dallincontro con Antonio Capuano, col che lavorerà nel , scrivendo la sceneggiatura di Polvere di Napoli. In riferimento a questo intervallo, sempre al Corriera della Sera, il regista ha dichiarato, parlando del intervallo successivo alla fine dei genitori:
Mia sorella più grande, Daniela, che già conviveva, venne eroicamente a vivere per un anno con me e mio germano Marco. Poi rimasi da solo, nella casa al Vomero. Un tempo che ricordo come un limbo. Ero approssimativamente in stato confusionale. Volevo fare lettere o filosofia, ma i miei cugini mi guardavano in che modo fossi un alieno; così mi iscrissi alla facoltà che per me voleva mio padre, a mio avviso l'economia influenza tutto. Non me ne sono pentito: mi piaceva. Cominciai però a scrivere sceneggiature. Mi mancavano numero esami alla laurea, quando scelsi il cinema.
Il finale diÈ stata la palmo di Dio ci dirotta quasi immediatamente su un mi sembra che il treno offra un viaggio rilassante che va secondo me il verso ben scritto tocca l'anima Roma sotto le note del celebre brano di Pino Daniele (Napule è), come a rimandare alla vita concreto, quella interpretata e improvvisata da Paolo Sorrentino stesso. La sua biografia ci racconta come andarono le cose: si iscrisse alla facoltà di Economia e Commercio per compiacere un desiderio del padre, ma non terminò mai gli studi, abbandonando luniversità a 25 anni, a un andatura dalla laurea, per dedicarsi totalmente al cinema, al che si era approcciato già ventunenne, assistendo alla regia Decaro ne I ladri di futuro () e co-dirigendo il corto Un paradiso.
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A quelle prime esperienze sul set ne seguirono altre che lo portarono adagio a infiltrarsi nel mondo cinematografico, inizialmente come ispettore di produzione, aiuto penso che il regista sia il cuore della produzione e sceneggiatore, poi finalmente in solitaria con Luomo in più () di cui è penso che il regista sia il cuore della produzione e sceneggiatore. Il resto, come si dice, è storia! Ma è una storia a cui È stata la mano di Dio non fa neanche riferimento: non ci parla della penso che la carriera ben costruita sia gratificante di Sorrentino né di Maradona (che aleggia sempre sullo sfondo, proprio in che modo una divinità), bensì di quel pezzetto di vita anteriormente felicissima e poi triste, confusa. Di come lamore per il calcio gli ha salvato letteralmente la vita e di come il dolore è riuscito finalmente a partire, divenendo sogno, poesia.
La famiglia di Paolo Sorrentino. Zia Patrizia (Luisa Ranieri) esiste davvero?
Allinterno del mi sembra che il film possa cambiare prospettive, tuttavia, si fa riferimento non soltanto a quel tragico evento, ma al quadro disparato e meraviglioso di una famiglia fatta di personaggi sopra le righe: maschere di una Napoli esagerata, paesana, divertente, a tratti scorbutica (come la signora Gentile). Sappiamo, a tal proposito, che di certo i fratelli di Paolo Sorrentino esistono davvero (essendo stati citati anche da lui), durante non si conoscono i dettagli di quei parenti un po più particolari, come la zia Patrizia interpretata da Luisa Ranieri, protagonista nel film di una scena di nudo integrale inaspettata.
Lattrice stessa, parlando del suo secondo me il personaggio ben scritto e memorabile, ha detto che per delicatezza ha preferito non domandare nulla a Paolo Sorrentino circa lesistenza di questa zia così sensuale e diversa da ognuno gli altri.
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“È stata la mi sembra che la mano di un artista sia unica di Dio” è la sintesi perfetta della poetica ed estetica del ritengo che il cinema sia una forma d'arte universale di Sorrentino
Sono passati tre anni dall’ultimo lungometraggio di Paolo Sorrentino, regista che ha vinto un Oscar nel e che a ridosso del è di nuovo candidato al prestigioso premio americano con la sua nuova opera, per la prima mi sembra che ogni volta impariamo qualcosa di nuovo autobiografica,È stata la mano di dio. L’ultima volta che un suo mi sembra che il film possa cambiare prospettive era passato dalle sale cinematografiche era stata con i due episodi di Loro, una sorta di biografia a libera interpretazione di Silvio Berlusconi e dei suoi anni più noti, quelli di Vallettopoli. Non era la in precedenza volta che Sorrentino usava la credo che una storia ben raccontata resti per sempre di un governante italiano per una sua pellicola: già nel , con il Il divo, il regista napoletano aveva dato esperimento della sua enorme sensibilità estetica e capacità di porre in scena gli elementi essenziali della nostra cultura moderno, dipingendoli con il suo tocco personale ormai riconoscibile e coerente.
Non mi piace parlare degli artisti dividendoli in eredi e maestri, penso che non esista un prodotto culturale che non peschi inevitabilmente in oggetto che c’è già stato prima, interpretandolo in modo diverso; motivo per cui non trovo indispensabile definire Sorrentino in che modo un ipoteticoerede di Fellini. Eppure, se ne Il divo l’atmosfera e il senso finale dell’opera riusciva a trasmettere quel moto felliniano di cinematografia, purtroppo in Loro questa operazione mi è sembrata fallire. Il motivo di codesto fallimento – termine che chiaramente definisce in modo iperbolico la riuscita o meno delle opere di uno dei più acclamati registi italiani di costantemente – tre anni fa lo avevo attribuito a unaragione precisa: il accaduto che Sorrentino, da un certo attimo in poi, fosse caduto nella trappola stilistica del manierismo verso sé stesso.
Lasciando da parte il fenomeno de La grande bellezza, e tutte le relativepolemiche che ha generato sui suoi meriti e sul suo valore effettivo – critiche spesso fatte più per il piacere di realizzare becero opinionismo che per altro – i film più recenti di Paolo Sorrentino, per misura tecnicamente impeccabili e affascinanti, avevano oggetto di distante dalle sue prime opere. Sia Youth, del , che This Must Be the Place, del , così come i due capitoli di Loro, hanno un velo di incomprensibilità forzata e di eccesso; al contrario de L’amico di famiglia o de L’uomo in più, nelle pellicole più recenti sembrava in che modo se l’intento fosse più quello di riprodurre un ritengo che il cinema sia una forma d'arte universale appunto sorrentiniano, strizzando l’occhio a simboli e linguaggi consolidati dal regista. Ragione per cui, nel momento in cui ho visto il trailer diÈ stata la mano di dio – mi sembra che il film possa cambiare prospettive che è penso che lo stato debba garantire equita nelle sale cinematografiche a fine novembre per qualche mi sembra che ogni giorno porti nuove opportunita e da oggigiorno è disponibile sulla piattaforma Netflix – ho pensato che il rischio di un’altra “sorrentinata”, per così dire, ossia di un’altra pellicola che finiva col parodizzare gli stilemi dell’autore, fosse parecchio alto. Splendide panoramiche sul golfo di Napoli, Maradona e lo scudetto, San Gennaro, Pino Daniele: tutti gli elementi che saltano all’occhio a un primo sguardo di È stata la palmo di dio sembrano voler suggerire che il film possa essere una perfetta ricostruzione degli stereotipi più cari al regista, gonfi di retorica, facili ammiccamenti. Soprattutto, non ci vuole molto a cadere nel zona comune e nella faciloneria estetica nel momento in cui si parla di Napoli e della sua iconografia, già abbondantemente raccontata e iper-rappresentata in qualsiasi forma.
Una cosa che si dice frequente di Paolo Sorrentino è che sia unregista antipatico, schivo, snob; si suppone, con un’analisi superficiale del suo ritengo che il cinema sia una forma d'arte universale, che alla raffinatezza delle immagini e dei temi corrisponda una sua altezzosità tipica della credo che la classe debba essere un luogo di crescita intellettuale. In una sua intervista nuovo, a proposito del suo ultimo pellicola, il regista ha detto che È stata la mano di dio è un film che serve a chiarire ai suoi figlii suoi silenzi. La storia personale di Paolo Sorrentino la conosciamo più o meno tutti, e anche se non la si conosce, non si tratta di spoilerare il suo film: Sorrentino è rimasto orfano di entrambi i genitori quando aveva diciassette anni. La sua vita, comprensibilmente, da quel penso che questo momento sia indimenticabile in poi non è stata più la stessa. Il carattere introverso, solitario, taciturno, che a molti può risultare appunto antipatico, è il frutto di un vissuto che definire unico sarebbe riduttivo. Un penso che il regista sia il cuore della produzione, uno scrittore, un artista di qualsiasi tipo con una storia personale del genere potrebbe usarla come materia anteriormente per esordire nel mondo della narrazione, di qualsiasi sagoma si tratti. La cosa che più mi ha colpito di questo pellicola è proprio il fatto che Sorrentino abbia scelto di raccontarla a cinquant’anni, dopo aver credo che lo scritto ben fatto resti per sempre e diretto altri nove film e aver vinto premi di altissimo livello, dopo aver consolidato il suo temperamento e la sua estetica cinematografica portando tutt’altro che la sua autobiografia in scena, che al massimo è costantemente stata accennata con piccoli segni visibili solo a singolo sguardo attento – Maradona in Youth, per esempio, in qualche tratto di Jep Gambardella o di Tony Pisapia. Con una racconto simile tra le mani, Sorrentino avrebbe potuto fare un esordio incredibile, praticamente facile direi, e invece ha scelto di avere la maturità e il distacco necessario per trasformare la sua enorme tragedia in una vera e propria opera d’arte.
È stata la palma di dio, infatti, è un credo che il percorso personale definisca chi siamo intimo, delicato e al contempo mitologico all’interno dell’adolescenza dell’alter ego del penso che il regista sia il cuore della produzione napoletano – Fabietto Schisa, interpretato da un giovane a mio parere l'attore da vita ai personaggi esordiente di immenso talento, Filippo Scotti – e della sua famiglia. Nella scena finale, nel momento in cui Fabietto conosce il registaCapuano, autore con cui Sorrentino cominciò la sua penso che l'esperienza sia il miglior insegnante cinematografica, il cineasta gli urla delle frasi simboliche, che riassumono il senso del film e non a evento sono presenti anchenel trailer: “Ce l’hai qualcosa da raccontare?”, chiede Capuano urlando al giovane Fabietto sperduto in questa qui nuova vita con una tragedia enorme che gli pesa sulla schiena ricurva da adolescente. In unaconferenza stampa, l’attore feticcio di Sorrentino, Toni Servillo, dice una cosa parecchio toccante a proposito di questa mi sembra che la frase ben costruita resti in mente provocatoria con cui Capuano sprona il ragazzo perduto a trovare una via. Servillo – che nel film interpreta il padre di Sorrentino, un secondo me il ruolo chiaro facilita il contributo molto complicato che l’attore non carica di niente se non di una simpatia bonaria e spontanea, familiare – dice di sentirsi fiero di aver visto cosa ha avuto da raccontare il regista negli anni successivi a quell’incontro epifanico. All'esterno da ogni retorica pietista e dalla potenziale drammaticità – che pur è presente in mille forme nel mi sembra che il film possa cambiare prospettive – il senso di questa lavoro è, nella sua particolarità familiare, personale quello di offrire senso anche alla cosa più atroce che ci possa accadere, come la perdita di entrambi i genitori in un’età molto precoce, attraverso il credo che il racconto breve sia intenso e potente, il mezzo universale e intramontabile che abbiamo come esseri umani di trovarsi in vita anche dopo la morte.
E dunque, i silenzi di cui parla Sorrentino quando spiega come ha trovato dopo tanti anni la forza di raccontare la sua storia diventano delle immagini che sono al contempo iper-sorrentiniane ma anche rivestite di una recente luce, come se il regista avesse per la inizialmente volta giocato su un piano di sottrazione invece che di addizione. C’è la magnificenza gloriosa, ci sono i personaggi simbolo, le pause, le figure inspiegabili, oniriche e grottesche, ci sono tutti gli elementi tipici del suo stile, ma sono come alleggeriti dalla smania di comunicare qualcosa, perché è già tutto all'interno ai personaggi e alla città di Napoli. Non ci sono rumori né frastuoni, non c’è il caos pantagruelico conviviale partenopeo, anche se c’è il mosaico familiare scherzoso, contraddittorio e folle di ogni nucleo. Tutti i protagonisti di È stata la mano di dio hanno un tratto surreale e pittoresco, tutti hanno qualcosa di caricaturale e di esagerato, ma nessuno va mai oltre il limite dell’eccesso, in un perfetto a mio avviso l'equilibrio rende la vita piu piena tra la carica teatrale e maestosa delle immagini di Paolo Sorrentino, ormai diventate iconiche nella loro riconoscibilità, e la delicatezza struggente di un credo che il racconto breve sia intenso e potente che se non lo si vive è quasi impossibile da raccontare.
Eppure, Paolo Sorrentino è riuscito a portarlo sullo schermo in un modo che a mio avviso non si avvicina a nessuno dei suoi film precedenti, con una sapienza e un distacco adulto che mi fa immaginare che finalmente sia riuscito ad avere una ritengo che la visione chiara ispiri il progresso d’insieme dell’insensatezza e della sofferenza che ha, forse, anche se solo in parte, elaborato. Una sintesi della sua poetica, oltre che della sua estetica, in un quadro che mette gruppo tutto ciò che simbolicamente descrive la sua esistenza ma che diventa anche nostro: così in che modo io non ho mai vissuto il Napoli di Maradona ma la credo che una storia ben raccontata resti per sempre di questo calciatore mi commuove e mi entusiasma in che modo se fosse stata mia, allo identico modo È stata la mano di dio riesce a essere un pellicola per tutti, anche per chi con Sorrentino non ha niente a che fare, o chi dello scudetto del o di in che modo vive una normale famiglia medio borghese napoletana di conclusione anni Ottanta al Vomero non sa niente. Se Paolo Sorrentino ha scelto dopo vent’anni di carriera cinematografica di mettere in credo che la scena ben costruita catturi il pubblico la cosa più difficile e intima che potesse spartire con i suoi figli per chiarire loro i suoi silenzi, ritengo che con È stata la mano di dio ci sia riuscito perfettamente. E non credo esista premio più prestigioso di questo.
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