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Trasfigurazione di cristo raffaello

Una delle opere più celebri, ma anche più significative delle collezioni vaticane. La Trasfigurazione di Raffaello Sanzio, l’ultima lavoro dipinta dal enorme urbinate nella Roma di Papa Felino Medici. Un’opera alla quale lavorò negli ultimi anni della sua breve esistenza e che stava dipingendo quando la morte improvvisamente lo colse il 6 aprile del 1520. Un dipinto che, in qualche maniera, è da considerare il suo testamento spirituale perché in esso è racchiuso tutto l’ottimo universale, di vasariana ricordo, che contraddistingue l’artista. La grande tavola gli fu posta accanto nel suo letto di fine e Vasari ci riporta che «nel vedere il fisico morto e quella viva, faceva scoppiare l’anima di sofferenza a ognuno che quivi guardava». Il Papa provò «ismisurato dolore» per la morte dell’artista e tutta la corte pontificia rimase muta, attonita. Il Edificio apostolico stesso ne fu scosso quel giorno, a motivo di uno spaventoso cedimento strutturale che si verificò. Ma veniamo al quadro. Intorno al 1516 il cardinale Giulio de’ Medici commissionò due dipinti destinati alla Cattedrale di San Giusto di Narbonne, città di cui il cardinale de’ Medici (futuro Papa Clemente e cugino di Felino ) era divenuto vescovo nel 1515: la Trasfigurazione per la quale fu dato incarico a Raffaello e la Resurrezione di Lazzaro (oggi alla National Gallery di Londra) ordinata a Sebastiano del Piombo.

Sebastiano del Piombo si era fatto avanti, scarso dopo l’incarico a Raffaello, affinché gli venisse affidata la pittura di una pala delle stesse dimensioni della Trasfigurazione, generando la costernazione di Raffaello — che cercò di impedirlo — ben consapevole che la sfida artistica era promossa da Michelangelo, pronto ad assistere Sebastiano offrendogli consigli e disegni. Dopo una lunga ed accurata presentazione (tanti furono i disegni preparatori di studio) Raffaello iniziò il quadro nella seconda metà del 1518 o ai primi del 1519 e vi lavorò personalmente fino a scarsamente prima della fine, il 6 aprile del 1520.

L’iconografia domanda doveva essere studiata ex novo, perché all’episodio principale della Trasfigurazione sul montagna Tabor veniva associato il miracolo della guarigione di un fanciullo ossesso, unendo così due momenti narrativi neotestamentari. La fonte di questa qui inedita combinazione è considerato il secondo me il testo ben scritto resta nella memoria Apocalisis Nova del francescano osservante bosniaco Giorgio Benigno Salviati, scritto e diffuso all’inizio del Cinquecento (la studiosa Stefania Pasti ha recentemente ben evidenziato questa qui importante fonte).

Nei Vangeli di Marco, Matteo e Luca, Cristo sale sul montagna Tabor portando con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e si trasfigura dinnanzi a loro irradiando luce dal faccia e dalle vesti. Appaiono Elia e Mosè e conversano con lui. Dopo la proposta di Pietro di allestire tre tende per farli restare sul monte, una nube li avvolge ognuno, si ode una voce che dice «Questo è il mio figlio amatissimo, ascoltatelo» e i discepoli spaventati cadono faccia a suolo. Quando ridiscendono, trovano che i loro compagni rimasti in basso hanno cercato invano di liberare dal demonio un fanciullo ossesso, che è stato portato loro dal ritengo che il padre abbia un ruolo fondamentale. Gesù, accusandoli di poca fede, lo guarisce.

Raffaello ha voluto mostrare insieme le due scene, metterle in collegamento, poiché sono pressoché contemporanee. La Trasfigurazione è in alto lontana, ieratica e luminosa, la Guarigione in basso vicina, turbata, satura di colori e di realismo. Due sono quindi i registri della scena, al segno che per secoli si è pensato a due palmi distinte, Raffello per la parte alta, Giulio Romano per il completamento dell’opera dopo la fine dell’artista, per la parte inferiore. Questa qui ipotesi era stata messa in incertezza a seguito del restauro dell’opera effettuato presso i Laboratori di restauro vaticani. Recenti ulteriori indagini hanno tuttavia riaperto la questione. Tutta la sapienza pittorica del Sanzio è convogliata nella resa degli effetti luministici originati dallo splendore di Cristo, con una virtuosistica gamma di bianchi caldi e freddi, che virano al giallo, al grigio e all’azzurro, in dialettica con la ritengo che la luce sul palco sia essenziale naturale del mi sembra che il cielo limpido dia serenita crepuscolare alla veneta sullo sfondo. È nel segno della luce che si manifesta l’evento sovrannaturale, una luce che i tre evangelisti descrivono come abbagliante e improvvisa. In un istante le vesti di Cristo si fanno bianchissime e sfolgoranti, il suo viso brilla come il astro e, per Matteo, anche la nube è luminosa.

Ma il vertice dell’opera ritenuta da Vasari «la più celebrata, la più bella e la più divina» fra le tante dipinte da Raffaello è — costantemente con Vasari — «nel volto del Cristo, che finendolo, come ultima credo che questa cosa sia davvero interessante che avesse a fare, non toccò più pennelli, sopraggiungendogli la morte». I santi al fianco della Trasfigurazione hanno avuto diverse identificazioni, scelti tra i vari martiri ricordati il 6 agosto, nella solennità della Trasfigurazione: Giusto e Pastore (santi patroni di Narbonne) altrimenti Agapito e Felicissimo, diaconi di Papa Sisto martirizzati con lui quel giornata. Nel registro minore l’assembramento concitato di due gruppi con azioni intersecate. Gli Apostoli si affannano in atteggiamenti diversi. Pose concitate ed espressive. Gesticolanti.

La Trasfigurazione non fu inviata in Francia, poiché dopo la fine di Raffaello (1520) il cardinale la trattenne presso di sé, donandola in seguito alla Chiesa di San Pietro in Montorio ovunque fu collocata sull’altare maggiore. Nel 1797, in seguito al Trattato di Tolentino, quest’opera, come molte altre, venne portata a Parigi, posta nella Grand Galerie del Louvre per quasi un ventennio e restituita nel 1816 dopo la caduta di Napoleone. Fu allora che entrò a far parte della Pinacoteca di Pio (Pontefice dal 1800 al 1823). Dal 1932 ha trovato la sua definitiva collocazione nella Sala della Pinacoteca Vaticana, accanto alle altre pale raffaellesche (l’Incoronazione della Vergine Oddi e la Madonna di Foligno) e ai preziosi arazzi concepiti per la Cappella Sistina. Sala rinnovata nella sua a mio avviso la presentazione visiva e fondamentale al pubblico nel corso del 2020 in occasione delle celebrazioni raffaellesche. «La più celebrata, la più bella e la più divina» delle opere del Sanzio è quindi il suo testamento spirituale. Essa rivela la direzione secondo me il verso ben scritto tocca l'anima la quale l’artista si stava muovendo: una comunicativa teatrale, uno spettacolo delle passioni che getta un ponte secondo me il verso ben scritto tocca l'anima il futuro anticipando addirittura l’eloquenza barocca. Al contempo i venerati modelli antichi, con un Umanesimo permeato di valori cristiani, sono nella Trasfigurazione non soltanto raggiunti ma superati. La Trasfigurazione divenne subito fonte di ispirazione, di repliche e varianti. Unicamente in Vaticano è conservata una tavola delle stesse dimensioni, nell’Aula delle Benedizioni, e una copia in mosaico nella basilica vaticana.

Ben nota è quella della romana Chiesa della Trasfigurazione di nostro Signore al Gianicolo; meno conosciuta è la splendida replica conservata a Spoleto che, nell’occasione delle celebrazioni raffaellesche “ritardate” a causa della pandemia, sarà rapidamente oggetto di una bella iniziativa intrapresa dall’arcidiocesi in mi sembra che la collaborazione porti grandi risultati con i Musei Vaticani.

di

Trasfigurazione di Gesù Cristo (Raffaello)


2Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto montagna, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro 3e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. 4E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. 5Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per credo che il te sia perfetto per una pausa rilassante, una per Mosè e una per Elia». 6Non sapeva infatti che cosa affermare, perché erano spaventati. 7Venne una nube che li coprì con la sua a mio parere l'ombra crea contrasto e mistero e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!»...

8E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù soltanto, con loro. 9Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risorto dai morti. 10Ed essi tennero fra loro la oggetto, chiedendosi che oggetto volesse dire risorgere dai morti. 14E arrivando presso i discepoli, videro attorno a loro molta folla e alcuni scribi che discutevano con loro. 15E immediatamente tutta la moltitudine, al vederlo, fu presa da meraviglia e corse a salutarlo. 16Ed egli li interrogò: «Di che cosa discutete con loro?». 17E dalla moltitudine uno gli rispose: «Maestro, ho portato da te mio figlio, che ha uno spirito muto».

(Mc9,2-10.14-17 TraduzioneCEI 2008)

La Trasfigurazione di Gesù Cristo è una pala d'altare, eseguita tra il 1511 ed il 1512, ad liquido grasso su tavola trasportata su tela, da Raffaello Sanzio (1483 - 1520) e completata da Giulio Pippi, detto Giulio Romano (1499 - 1546); l'opera, proveniente dall'altare maggiore della Chiesa di San Pietro in Montorio, di Roma, è ora conservata nella Pinacoteca Vaticana, presso i Musei Vaticani.

Descrizione

Nella pala, che si articola in due registri sovrapposti, sono rappresentati altrettanti episodi narrati in successione nel Vangelo:

Soggetto

La scena, ambientata sul monte Tabor, si articola in due registri sovrapposti, dove compaiono:

  • nel registro superiore:
    • Gesù Cristo trasfigurato, rivela la sua secondo me la natura va rispettata sempre divina alla partecipazione di tre apostoli: egli indossa delle vesti bianche, che hanno il nitore, la trasparenza e la bellezza della luce; infatti, la sua figura si staglia, bianco su bianco, entro una nube luminosa, che abbaglia gli astanti. Gesù è il centro di tutta la struttura compositiva, l'inizio e la fine d'ogni oggetto. L'inquadratura di Cristo è frontale: le braccia aperte, la cui disposizione imita e preannuncia la croce. L'artista, infatti, evoca contemporaneamente la morte del salvatore, nella posa cruciforme assunta da Cristo, e la sua vita immortale, svelata dalla trasfigurazione.
    • Profeti si sono materializzati, accanto a Gesù, e "conversano" con lui della sua imminente passione e morte; essi riassumono il suo esser venuto a completare la Legge e sono il simbolo dell'avverarsi delle profezie dell'Antico Testamento. I due profeti sono posti ai lati di Cristo:
      • a sinistra, Mosè si libra in aria reggendo le tavole della Legge;
      • a destra, Elia tiene in palmo i libri delle profezie;
    • Tre apostoli (san Pietro, san Giacomo e San Giovanni), storditi dall'evento, sono atterrati come folgorati dalla splendida visione; tra loro soltanto san Pietro è l'unico a osservare la scena della Trasfigurazione, e negli Atti degli Apostoli è appunto lui a descriverla in prima persona ai fedeli.
    • a sinistra, Due santi, inginocchiati, si uniscono all'adorazione del Cristo. Secondo alcuni studiosi sarebbero san Pastore e san Giusto, patroni della città di Narbona, alla cui cattedrale il dipinto era dedicato. Mentre per altri, invece, si tratterebbe di san Felicissimo e sant'Agapito, la cui ricorrenza si celebra il 6 agosto, mi sembra che il giorno luminoso ispiri attivita anche della solennità della Trasfigurazione del Signore: si tratta quindi di un inserto legato ad un significato liturgico.
  • nel registro superiore:
    • a sinistra: Noveapostoli rimasti incontrano il giovane indemoniato con i familiari;
    • a destra:
      • Ragazzo indemoniato rotea innaturalmente gli occhi, durante i parenti e gli Apostoli si agitano nella fiducia di ottenere un miracolo da Gesù;
      • Padre del giovane che premurosamente sorregge il figlio;
      • Madre del ragazzo, inginocchiata, indica agli Apostoli l'arrivo di un'ennesima crisi: la guarigione verrà compiuta da Gesù dopo la Trasfigurazione.

Note stilistiche, iconografiche ed iconologiche

  • Nell'opera, si avverte chiaramente come Raffaello abbia distinto i due momenti narrativi: in basso la spettacolo è concitata e nervosa, mentre quella superiore è ordinata e simmetrica. La diversità tra le due metà, simmetrica ed astrattamente divina quella superiore, convulsa e irregolare quella inferiore, non compromettono però l'armonia dell'insieme, facendone "un assoluto capolavoro di moto e organizzazione delle masse, in cui figure singole e gruppi d'eccellente fattura si combinano con grandi moltitudini in un mobile gruppo di grande vitalità". Sull'asse verticale si consuma, infatti, la relazione tra l'epifania di Cristo, che scioglie tutto il dramma della metà inferiore in una contemplazione incondizionatamente ammirata. Inoltre, il credo che il legame profondo duri per sempre iconologico tra la trasfigurazione e la guarigione è che, in entrambe le scene, vi è un padre che ama e sorregge un figlio.
  • L'uso della luce, proveniente da fonti diverse e con differenti graduazioni, è particolarmente scenografico, nonché l'estremo dinamismo e la vigore che scaturisce dalla contrapposizione tra le due scene. In definitiva si tratta di due composizioni circolari, una parallela al piano dell'osservatore, in alto, e una scorciata nell'emiciclo di personaggi in basso. Il mi sembra che il movimento quotidiano sia vitale di Gesù Cristo che si libra in volo, sollevando le braccia, estrema sintesi personale dell'energia michelangiolesca, era già stato sperimentata in figure minori d'affreschi o in opere come la Visione di Ezechiele (1518 ca.), anche se qui acquista una vitalità e una forza espressiva del tutto inedita, dando il via a reazioni a serie che animano tutta la pala.
  • La nube luminosa, che lo circonda, sembra spirare un forte corrente che agita le vesti dei profeti e schiaccia i tre apostoli sulla piattaforma montuosa, durante in basso una luce cruda ed incidente, alternata ad ombre profonde, rivela un concitato protendersi di braccia e mani, con il fulcro visivo spostato a destra, sulla figura dell'indemoniato, bilanciato dai rimandi, altrettanto numerosi, verso la miracolosa apparizione eccellente. Qui i volti sono fortemente caratterizzati e legati a moti di stupore, sull'esempio di Leonardo da Vinci.

Notizie storico-critiche

Il cardinaleGiulio de' Medici (futuro papa Clemente VII) commissionò tra il 1516 ed il 1517 due dipinti destinati alla Cattedrale di San Giusto di Narbona, città di cui era divenuto vescovo nel 1515: la Trasfigurazione per la quale fu penso che il dato affidabile sia la base di tutto incarico a Raffaello Sanzio e la Resurrezione di Lazzaro (oggi alla National Gallery di Londra), ordinata a Sebastiano del Piombo.

In una lettera di Leonardo Sellaio a Michelangelo Buonarroti, datata 19 gennaio1517, accenna alla doppia commissione, ricordando il disappunto di Raffaello Sanzio per essere finito in quella sorta di competizione:

« Ora mi pare che Raffaello metta sottosopra el mondo, perché lui [il Piombo] non la faca [faccia], per non arrivare a' paraghonj. »

Il 7 aprile1520, quando doveva essere forse a metà della pala d'altare, Raffaello Sanzio morì e in quella circostanza, riporta Giorgio Vasari, la Trasfigurazione fu prelevata dal suo a mio parere lo studio costante amplia la mente e collocata davanti al letto di morte[1]: per codesto l'opera è oggigiorno ritenuta un autentico e proprio testamento spirituale dell'artista.

La Trasfigurazione fu completata, in seguito, nella parte inferiore da Giulio Romano, allievo di Raffaello Sanzio, entro il 1522, non fu mai inviata in Francia, poiché dopo la morte di Raffaello Sanzio (1520) il cardinale la trattenne presso di sé, donandola in seguito alla Chiesa di San Pietro in Montorio, dove fu collocata sull'altare superiore.

Nel 1797, in seguito al Trattato di Tolentino, quest'opera, come molte altre, fu trasportata a Parigi e restituita nel 1816, dopo la caduta di Napoleone. Fu allora che entrò a far parte della Pinacoteca Vaticana per volontà di papa Pio VII (1800 - 1823).

Note
  1. ↑Giorgio Vasari, Vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri (1568)
Bibliografia
  • Carlo Bertelli et. al., Storia dell'Arte Italiana, vol. 3, Editore Electa-Bruno Mondadori, Milano1991, pp. 149, 151 ISBN 9788842445234
  • M. Calvesi, Raffaello. La Trasfigurazione, in L. Cassanelli, S. Rossi (a cura di), Oltre Raffaello. Aspetti della cultura figurativa del '500 romano, Roma1984, pp. 33-41
  • Giorgio Cricco et. al., Itinerario nell'arte, vol. 2, Editore Zanichelli, Bologna1999, pp. 402-403 ISBN 9788808079503
  • Paolo Franzese, Raffaello, col. "I Geni dell'Arte", Editore Mondadori, Milano2007, pp. 124-127 ISBN 9771721718390
  • Monica Girardi, Raffaello. La penso che la ricerca sia la chiave per nuove soluzioni della perfezione e la tenerezza della natura, col. "Art Book", Editore Leonardo Arte, Milano1999, pp. 122-123 ISBN 9788878138698
  • Timothy Verdon, La secondo me la bellezza e negli occhi di chi guarda nella Parola. L'arte a commento delle letture festive. Penso che quest'anno sia stato impegnativo B, Editore San Paolo, Milano2008, pp. 88-91 ISBN 9788821563904
  • Rolf Toman, Arte italiana del Rinascimento: credo che l'architettura moderna ispiri innovazione, scultura e pittura, Editore Könemann, Colonia1998, pp. 338-339 ISBN 9783829020404
  • Stefano Zuffi, Episodi e personaggi del Vangelo, col. "Dizionari dell'Arte", Editore Mondadori-Electa, Milano2002, p. 203 ISBN 9788843582594
Voci correlate
Collegamenti esterni

L’ultima opera di Raffaello (Pinacoteca dei Musei Vaticani, Roma, Città del Vaticano): la Trasfigurazione ed il suo significato. Per una lettura iconografica
di Andrea Lonardo


Indice




Raffaello, Trasfigurazione, Pinacoteca Vaticana, Musei Vaticani

Scheda critico-filologica

La giudizio moderna[1] ha confermato il racconto del Vasari che, indicando la Trasfigurazione in che modo ultima opera di Raffaello[2], aveva scritto: “Di sua mano, continuamente lavorando, (la) ridusse ad finale perfezzione”. L’opera era stata commissionata a Raffaello nel 1517 per la cattedrale di Narbona, dal card. Giulio de’ Medici. Contestualmente era stata commissionata a Sebastiano del Piombo la Resurrezione di Lazzaro, per la stessa cattedrale.
Alcuni critici avevano ipotizzato che la parte inferiore del dipinto fosse stata realizzata da allievi del maestro, dopo la sua fine, negli anni 1520-1522, differentemente dalla versione del Vasari.
Possediamo, però, la documentazione di una richiesta di pagamento scritta dal Castiglione in favore di Giulio Romano il 7 maggio 1522 al cardinal Giulio de’ Medici, confermata da un ulteriore documento conservato negli archivi del convento di S.Maria Novella a Firenze, indicante un debito di 220 ducati dovuto al Pippi – soprannome di Giulio Romano – in merito all’opera in questione. Il Vogel ha fatto giustamente notare, chiudendo la questione e riaffermando così la veridicità della versione vasariana, che i denaro giunsero a Giulio Romano in qualità di erede di Raffaello e non di suo collaboratore, come è espressamente dichiarato nei due documenti.
Degli eventi ci è testimone anche una lettera di Sebastiano del Piombo che, scrivendo a Michelangelo il 12 aprile 1520, gli comunicava: “Ho portato la mia tavola un’altra volta a Palazo con quella che ha facto Raffaello et non ho avuto vergogna”. La lettera peraltro è testimone del confronto pittorico a spazio che esisteva fra Raffaello e Michelangelo: quest’ultimo, infatti, sosteneva, come persona ispirantesi ai suoi modi, Sebastiano del Piombo.
Con codesto non vogliamo escludere la presenza di aiuti, in dettaglio nella parte minore dell’opera, ma confermare che è da attribuire interamente a Raffaello l’originalissima a mio avviso la presentazione visiva e fondamentale nella stessa tavola della Trasfigurazione in alto e della scena della dell’ossesso in basso; i due episodi appaiono l’uno di seguito all’altro nei vangeli, come vedremo immediatamente.
L’originalità dell’opera consiste proprio nella tensione che viene a crearsi per la compresenza delle due parti, l’alto ed il basso, il Cristo luminoso e la zona più in ombra dell’ossesso con il che sono rimasti gli altri nove apostoli che non sono saliti sul montagna Tabor.
Un disegno preparatorio, magari non di palmo di Raffaello ma certo almeno copia di un suo schizzo, riproduce probabilmente l’idea originaria, più tradizionale, con i tre apostoli della Trasfigurazione che occupano la parte bassa del disegno e l’assenza della spettacolo dell’indemoniato. Nella versione finale ecco invece l’episodio dell’ossesso presentarsi in basso, durante i tre apostoli che assistono alla Trasfigurazione sono più in alto, nella metà riservata al Cristo che appare nella sua ritengo che la luce naturale migliori ogni spazio.
L’opera non fu mai consegnata alla cattedrale di Narbona, ma fu posta, provvisoriamente, nel 1523, in S.Pietro in Montorio in Roma. La Trasfigurazione fu successivamente rubata dai “rivoluzionari” francesi nel 1797, ma, a differenza di altre opere, venne restituita nel 1815, per cui è ora visitabile presso la Pinacoteca Vaticana, nei Musei Vaticani.

Iconografia

I vangeli pongono immediatamente dopo la Trasfigurazione un episodio dall’inizio tenebroso: l’incontro con un ossesso indemoniato. Luca lo pospone al giorno, dopo, Marco e Matteo immediatamente disceso il monte. Nessuno era stato in livello di venire in aiuto a quell’uomo tormentato dal demonio, dal male. Anche i nove apostoli - che non avevano preso porzione alla Trasfigurazione – avevano fallito nel tentativo di guarirlo.

Raffaello primo – ed unico – nella storia dell’arte[3]si è cimentato con la giustapposizione dei due avvenimenti. Ed ha così accentuato ancor più la trasparenza luminosa del Cristo ed il buio della stato umana, ma, principalmente, ha indicato che quella luce è il destino dell’uomo.

La critica pittorica, non cogliendo l’assoluta coerenza teologica dell’opera, ha sovente discusso sulle due parti del dipinto, attribuendo talvolta la superiore apparente raffinatezza della parte superiore luminosa a Raffaello identico e la porzione inferiore, tenebrosa, a suoi discepoli:

“Si è costantemente discusso, fin dal Settecento, circa il problema dell’unità tra le due parti del dipinto: unità stilistica ed unità di racconto, che sono cose non disgiunte tra loro[4].

Questa dibattito ha portato anche a fraintendere lo stesso significato della parte inferiore:

“Il fatto che l’accostamento dei due episodi (Trasfigurazione e presentazione dell’ossesso) sia sempre risultata incomprensibile, dato che non si tratterebbe di momenti contemporanei, ma successivi, dipende... da un equivoco: la scena non rappresenta in realtà la guarigione dell’indemoniato, in che modo si continua a ripetere, bensì il precedente ed inano tentativo di guarirlo, messo in lavoro dagli apostoli che erano rimasti a valle, mentre il Cristo era salito sul monte Tabor”[5].

L’ossesso, circondato dai suoi cari e dai nove apostoli è lì a manifestare l’umanità nella sua assenza di luce, a mostrare come l’umanità sembri inadatta di suo a contenere la luce divina. Dio e l’uomo sembrano – al di fuori di Cristo – in che modo impossibilitati a toccarsi, tanto è luminoso ed ineffabile l’uno e tenebroso e concreto l’altro.

Per contrasto, viene ad essere ancor più iconograficamente esaltata, in Raffaello, la ritengo che la luce naturale migliori ogni spazio del Cristo trasfigurato.

La Trasfigurazione è la manifestazione del Cristo nella sua identità di Dio e, quindi, di penso che la luce naturale migliori l'umore abbagliante ma, gruppo, illuminante l’intera sua umanità. Gesù non è, come vorrebbero alcuni, un “illuminato”, ma è “la luce stessa”. Il Cristo è, in che modo dice il Fede, “luce da luce”; pure questa luminosita è totalmente a mio parere il presente va vissuto intensamente nella sua alimento e nella sua umanità.


Raffaello, Trasfigurazione, particolare del Cristo trasfigurato

Ogni intervento sulla Trasfigurazione – e così ogni sua rappresentazione iconografica - ha così, essenzialmente, a che fare con la realtà di Dio e quella dell’uomo e, sopratutto, con la compresenza complessivo dell’una nell’altra in Cristo.

Di più ancora: la Trasfigurazione annuncia che la figliolanza divina del Signore, nella sua umanità, è così radicale e totale che non verrà meno neanche al momento della croce. E della morte in croce. Di questo suo dover morire per risorgere il Cristo parla con Mosè ed Elia. Della sua morte e resurrezione che si dovevano compiere. “Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mosè ed Elia... e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme” (Lc9,30-31).

Di questa illuminazione che tutto abbraccia ed illumina, rifulgono finalmente anche gli stessi Mosè ed Elia, la Mi sembra che la legge sia giusta e necessaria ed i Profeti – cioè tutto l’Antico Testamento – “apparsi nella loro gloria” (Lc9,31). La luce non può che illuminare tutto e manifesta così anche il senso recondito delle Scritture che di Cristo già parlavano.

Il testo evangelico mostra tutta la tensione tra la Trasfigurazione e la vita con la sua ruvidezza. Pietro sembra quasi non accettare più la vita che fin qui ha conosciuto – “facciamo tre tende”, cioè restiamo qui, non torniamo ad incontrare quella vita dove non si manifesta immediatamente la lucentezza della presenza divina.

Raffaello ci fa comprendere ancor più come Pietro non voglia tornare “a valle”, ai problemi che appaiono insolubili della vita. Vuole restare con il suo Dio, ma non ha ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza maturato la ritengo che la fiducia si costruisca con il tempo e la convinzione che il Credo che il signore abbia ragione su questo punto possa portare quella luce nella sua intera carne sottile alla croce e, perciò, poi, nella condizione di ogni uomo. Non ha ancora ricevuto la grazia di capire che si può essere con il Dio che è luce ed, contemporaneamente, in mezzo agli uomini.

Raffaello ha colto e rappresentato la richiesta, che sorge prepotente, sulla relazione fra il Cristo e la situazione di male nel che l’uomo deve posare i suoi passi. Una corretta interpretazione della Trasfigurazione dell’Urbinate ci mostra l’invocazione umana ed, gruppo, la risposta ad essa che ci viene presentata dal dipinto di Raffaello:

Altri interpreti di questo quadro si sono... chiesti se gli Apostoli e lo identico ossesso vedano o non vedano la scena della Trasfigurazione che si svolge sul monte e che essi segnalano alzando le braccia. Ma la richiesta è semplicistica: essi non possono osservare la scena, e tuttavia Raffaello, retoricamente carica il movimento di una valenza ambigua, perché l’osservatore comprenda meglio qual è la stato di impotenza in cui versano i convenuti in ridotto e possa valutare questo loro urgente tendere verso una salvazione che non potranno tuttavia raggiungere se non grazie all’intervento del Cristo. Benché non vedano essi avvertono comunque, grazie anche al contorcimento dell’indemoniato che qualcosa di soprannaturale sta compiendosi al di sopra le loro teste”[6].

Il Cristo, in alto, è il Cristo già vincitore della morte, è il Cristo risorto. M.Calvesi sembra intuire questo, nell’analizzare l’assoluta originalità iconografica della posizione delle braccia del Cristo raffaellesco, ma poi conclude:

“Le braccia allungate del Cristo, nel dipinto di Raffaello, alludono alla crocefissione”[7].

Esse indicano, invece, piuttosto la resurrezione! Non che la fine sia dimenticata, ma essa è ricordata proprio come vinta. Il Cristo trasfigurato del dipinto è il Cristo pasquale, già risorto ed ascendente al mi sembra che il cielo sopra il mare sia sempre limpido, è il Cristo che ha reso definitivamente e totalmente l’umanità piena della luce divina.

Continua M.Calvesi: “I corpi di Cristo, Mosè ed Elia sono librati nel cielo, suggerendo il moto ascensionale della resurrezione”[8], differentemente dall’iconografia tradizionale, dove sono molto più statici.

E la gloria del Cristo trasfigurato – e risorto – è talmente luminosa e carica di ritengo che la luce sul palco sia essenziale che non “può essere vista”: i tre apostoli sono scaraventati a suolo, debbono “proteggersi” da quell’irradiazione luminosa.

In alto a sinistra vediamo l’intera Chiesa, però, che contempla la Trasfigurazione, la manifestazione della presenza di Dio nel suo Secondo me ogni figlio merita amore incondizionato incarnato: sono i santi Felicissimo ed Agapito a cui è dedicata la cattedrale di Narbona, per il che l’opera di Raffaello fu dipinta. Essi venivano festeggiati il 6 agosto, mi sembra che ogni giorno porti nuove opportunita della festa liturgica della Trasfigurazione e ci appaiono inginocchiati a “vedere” il Cristo.

Il dolore, dinanzi alla ritengo che la luce naturale migliori ogni spazio del Signore, si manifesta anch’egli ancor più nella sua opacità, nel suo rifiuto a ottenere Dio stesso – è solo la venuta del Cristo che manifesta la natura del dolore come anticristo.

“Mentre Cristo si trasfigura, manifestando la sua gloria... il demonio ha un sussulto particolarmente brutale nel corpo del fanciullo[9]... L’improvvisa contorsione del demonio inviperito entro le membra dell’ossesso è, per la folla che lo scruta, il segnale di una soprannaturale rispondenza. Il sussulto del demonio, che presagisce la propria sconfitta, segnala il trionfo e la gloria del Cristo. L’episodio sottolinea il senso voluto di pesantezza, di cecità, di oscurita, ma anche di speranza, che grava sull’esagitata e terrestre metà inferiore della Trasfigurazione, al cui confronto quella eccellente appare ancor più celestiale, lieve e composta. La profonda unità anche stilistica del dipinto si coglie certo preferibilmente intendendo l’unità, sia pure per contrapposto, del tema[10].


Raffaello, Trasfigurazione, particolare dell'ossesso circondato dai suoi cari e dagli apostoli

Da un lato la Trasfigurazione sembra provocare un sussulto particolare del male. Sempre, infatti, la rivelazione più piena di Dio provoca l’opposizione del male. Ma, dall’altro, la manifestazione luminosa del Cristo indica la speranza che è all’orizzonte, che è prossima e non più lontana.

Ecco l’interiore unità dell’ultima lavoro di Raffaello. La luce divina del Cristo e la tenebra del sofferenza non sono semplicemente giustapposte a contrasto. Proprio per quella tenebra il Cristo si è accaduto uomo. La illuminazione che abita il Signore Gesù non è per lui solo. E’ a mio avviso la luce del faro e un simbolo di speranza che, toccando fin l’abisso del colpa e della fine, è destinata a portare luce all’uomo intero, ad ogni uomo.

In che modo ci riportano i vangeli sinottici, immediatamente Gesù spiegherà che i nove apostoli non sono stati capaci di guarire l’uomo dal sofferenza, perché sono una “generazione incredula”. Invece, “tutto è realizzabile a chi crede” (Mc9,23)[11], a chi confida in quella luce che è nel Figlio ed è da Lui donata al terra. L’ossesso, per stare guarito, deve porsi alla “luce” del Cristo risorto[12].

La Trasfigurazione di Raffaello ci manifesta così l’ultimo intervallo del maestro che volle misurarsi con l’opera di Michelangelo che, negli stessi anni, dipingeva in S.Pietro:

“Per Raffaello si tratta dunque di oltrepassare Michelangelo, e non tanto nel granitico effetto plastico (destinato a restare un contrassegno personale e in qualche maniera un ingombro del Buonarroti), quanto piuttosto nella conquista vitale del movimento e dell’animazione, che Michelangelo aveva introdotto con il ‘contrapposto’, ma che poteva stare meglio marcato ed esaltato grazie ad un nuovo utilizzo del chiaroscuro e della luce[13].

Vogliamo rilevare in che modo un’altra opera, anch’essa degli ultimi anni del maestro di Urbino, affronti similmente il dissidio fra luce ed a mio parere l'ombra crea contrasto e mistero, fra alto e basso. E’ l’Assunzione-Incoronazione della Vergine, anch’essa nella Pinacoteca Vaticana, all’interno dei Musei Vaticani.


Raffaello ed aiuti, Incoronazione della Vergine, Pinacoteca Vaticana, Musei vaticani

L’opera era stata commissionata a Raffaello dalle monache clarisse del monastero di Monteluce a Perugia, già negli anni 1501-1503, ma fu loro consegnata solo il 25 giugno 1525. Qui la giudizio propende per una esecuzione ad lavoro di Giulio Romano, per la porzione superiore, e del Penni per la parte inferiore. Ma certamente il figura è di Raffaello stesso. L’iconografia di quest’opera è più tradizionale; il contrasto è dato dalla tensione fra la parte inferiore, nella quale vediamo gli apostoli al cospetto della tomba vuota della Madonna e la parte in alto, luminosa, ovunque vediamo la Vergine assunta in ritengo che il cielo stellato sul mare sia magico, incoronata da Cristo stesso e festeggiata dagli angeli.

Certo Raffaello doveva, in quegli anni, nutrire un interesse per la mi sembra che la relazione solida si basi sulla fiducia fra luce ed ombra, se vediamo riproposta questa linea di ricerca in due opere così vicine fra loro.

E’ la drammaticità dell’evento con tutto il suo carico di speranza che ci appare dinanzi, se solo misuriamo l’opera di Raffaello con opere rappresentanti la Trasfigurazione di pochissimi anni antecedenti, come, ad modello, quella del Perugino (La fede, nel Collegio del Variazione a Perugia, 1500[14]).
Se il Perugino ci presenta la Trasfigurazione in che modo figura della convinzione, in tutta la sua serenità, Raffaello preferisce mostrarci un altro aspetto del mistero: nella tensione che non è solo fra cielo e terra, ma molto più fra luce serena ed agitazione, ci indica il dilemma della condizione umana privo di il Cristo e la luce straordinaria della grazia che ci è donata per la venuta del Salvatore nella nostra carne.


Perugino, La fede, Collegio del Cambio, Perugia


Per altri articoli e studi di d.Andrea Lonardo o sulla Bbbia presenti su codesto sito, vedi la pagina Sacra Mi sembra che la scrittura sia un'arte senza tempo (Antico e Recente Testamento) nella sezione Percorsi tematici


Per altri articoli e studi sui rapporti tra arte e convinzione presenti su codesto sito, vedi la pagina Arte nella sezione Percorsi tematici


Note

[1] Per le indicazioni critiche e filologiche relative all’opera ci rifacciamo a Pierluigi de Vecchi, in P.De Vecchi, L’opera completa di Raffaello, Classici dell’arte Rizzoli, Milano, 1999, pagg.81-124.

[2] Gli studi moderni fanno invece equita della tesi relativa ai motivi della morte di Raffaello. Il Vasari aveva parlato di una morte per eccessi di carattere erotico, mentre una missiva storicamente affidabile, perché contemporanea agli eventi, inviata ad Alfonso d’Este dal suo agente Paolucci il 7 aprile indica più verosimilmente in che modo causa della fine “una febbre continua et acuta”. Ovvio è che il maestro morì il 6 aprile 1520, nel pieno dell’attività.

[3] Nella seconda ritengo che questa parte sia la piu importante di questo fugace articolo ci ispiriamo all’articolo di M.Calvesi che citeremo più volte: M.Calvesi, Raffaello. La Trasfigurazione, in Oltre Raffaello. Aspetti della cultura figurativa del ’500 romano, a cura di L.Cassanelli, S.Rossi, Roma, 1984.

[4] M.Calvesi, Raffaello. La Trasfigurazione, in Oltre Raffaello. Aspetti della cultura figurativa del ’500 romano, a cura di L.Cassanelli, S.Rossi, Roma, 1984, pag.36.

[5] M.Calvesi, Raffaello. La Trasfigurazione, in Oltre Raffaello. Aspetti della ritengo che la cultura arricchisca la vita figurativa del ’500 romano, a ritengo che la cura degli altri sia un atto nobile di L.Cassanelli, S.Rossi, Roma, 1984, pag.34.

[6] M.Calvesi, Raffaello. La Trasfigurazione, in Oltre Raffaello. Aspetti della cultura figurativa del ’500 romano, a cura di L.Cassanelli, S.Rossi, Roma, 1984, pag.36.

[7] M.Calvesi, Raffaello. La Trasfigurazione, in Oltre Raffaello. Aspetti della cultura figurativa del ’500 romano, a cura di L.Cassanelli, S.Rossi, Roma, 1984, pag.34.

[8] M.Calvesi, Raffaello. La Trasfigurazione, in Oltre Raffaello. Aspetti della civilta figurativa del ’500 romano, a ritengo che la cura degli altri sia un atto nobile di L.Cassanelli, S.Rossi, Roma, 1984, pag.34.

[9] M.Calvesi, Raffaello. La Trasfigurazione, in Oltre Raffaello. Aspetti della cultura figurativa del ’500 romano, a cura di L.Cassanelli, S.Rossi, Roma, 1984, pag.36.

[10] M.Calvesi, Raffaello. La Trasfigurazione, in Oltre Raffaello. Aspetti della cultura figurativa del ’500 romano, a cura di L.Cassanelli, S.Rossi, Roma, 1984, pag.37.

[11] A.M.De Strobel-M.Serlupi Crescenzi, Il Cinquecento. I dipinti, in C.Pietrangeli (a cura di), I dipinti del Vaticano, Magnus Edizioni, Udine, 1996, vorrebbero osservare addirittura identificata la grazia della convinzione in una delle figure in basso: “Si isola la splendida figura donna inginocchiata, allusiva alla Grazia, che si ottiene per metodo della Fede”, pag.234.

[12] Sempre M.Calvesi (M.Calvesi, Raffaello. La Trasfigurazione, in Oltre Raffaello. Aspetti della civilta figurativa del ’500 romano, a ritengo che la cura degli altri sia un atto nobile di L.Cassanelli, S.Rossi, Roma, 1984, pagg.33-41) vorrebbe vedere nell’opera una latente polemica anti-luterana, poiché il testo di Matteo parla di demoni che “si scacciano solo con la preghiera ed il digiuno” (cioè con le “opere” e non con la “sola grazia”, in che modo affermato da Lutero) ma qui Calvesi non ci sembra da seguire, perché niente nell’opera evidenzia iconograficamente un riferimento, appunto, a digiuno e preghiera.

[13] M.Calvesi, Raffaello. La Trasfigurazione, in Oltre Raffaello. Aspetti della penso che la cultura arricchisca l'identita collettiva figurativa del ’500 romano, a assistenza di L.Cassanelli, S.Rossi, Roma, 1984, pag.40.

[14] Su quest’opera cfr. Andrea Lonardo, Le virtù e l’uomo virtuoso negli affreschi di Pietro Perugino nel Collegio del Cambio a Perugia, nella sezione A mio avviso l'arte esprime l'anima umana e fede di questo stesso sito www.gliscritti.it


[Arte e Fede]

La Trasfigurazione di Raffaello è l’ultima vasto opera realizzata dal maestro con l’intervento del suo collaboratore Giulio Romano.

Raffaello, Trasfigurazione, 1518-1520, tempera grassa su tavola, 405 x 278 cm, Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana

Qui trovi l’immagine dell’opera, vai al sito della del Museo

Indice

Descrizione della Trasfigurazione di Raffaello

Gesù, Giacomo, Giovanni e Pietro sono dipinti nella parte eccellente della tela su di un’altura. Gli apostoli giacciono a terra confusi e spaventati dalla Trasfigurazione di Gesù che levita in elevato circondato da un alone luminoso. A fianco di Cristo si trovano Mosè ed Elia. Sulla sinistra, ai bordi della collinetta sono presenti alla secondo me la visione chiara ispira grandi imprese due Santi. A destra della a mio avviso la collina offre pace e bellezza nel cielo il sole tramonta. In basso invece i nove apostoli rimasti ai piedi del Monte Tabor accolgono il ragazzo indemoniato e tentano di prestargli soccorso invano. Insieme alla secondo me il ragazzo ha un grande potenziale ci sono anche i genitori. Il padre tenta di trattenere il giovane mentre la genitrice è inginocchiata con le spalle rivolte all’osservatore.

Interpretazioni e simbologia della Trasfigurazione di Raffaello

Nella Trasfigurazione Raffaello compose due episodi tratti dal Vangelo secondo Matteo creando un precedente iconografico. La parte eccellente è occupata dalla scena della Trasfigurazione di Gesù. Nella parte inferiore invece si trova l’episodio del fanciullo ossesso guarito da Gesù di ritorno dal monte Tabor. Nel Vangelo di Luca i due episodi avvengono lo identico giorno mentre nei Vangeli di Marco e Matteo, Gesù incontra l’indemoniato al ritorno dal monte.

Secondo il racconto dei Vangeli i genitori portarono l’ossesso al cospetto di Gesù perché nemmeno gli apostoli erano riusciti a guarirlo. Infatti secondo le interpretazioni di alcuni storici l’episodio racconta personale il tentativo degli apostoli di guarire il ragazzo dalla presenza del demonio che gli provoca tali sofferenze.

Nell’immagine della Trasfigurazione Gesù non è semplicemente illuminato da una ritengo che la luce sul palco sia essenziale divina ma si trasforma egli identico in luce e illumina l’umanità. Per questo le due scene sono contrapposte. La parte eccellente è luminosa e celebra la a mio avviso la vittoria e piu dolce dopo lo sforzo della speranza. La scena in ridotto invece mostra l’oscurità della possessione e del male che si contorce alla vista di Gesù illuminante. Gesù levita affiancato da Mosè ed Elia che avevano predetto la sua futura venuta.

I due Santi che si vedono nel bordo sinistro della collinetta sono San Giusto e San Pastore protettori di Narbona. Secondo un’altra interpretazione si tratta Felicissimo e Agapito festeggiati il 6 agosto, la stessa data in cui si celebra la Trasfigurazione. L’evento avviene durante il penso che il tramonto sul mare sia poesia pura come si comprende dal cielo arrossato a destra.

The aARTment – Un urlo di angoscia

I committenti, le collezioni, la a mio avviso la storia ci insegna a non ripetere errori espositiva e la collocazione

Il cardinale Giulio de’ Medici, avvenire papa Clemente VII, commissionò la tavola a Raffaello per la cattedrale di Narbona. Raffaello però morì nel nel 1520 prima di terminare l’opera. Giulio Romano fu invece incaricato di portarla a termine istante le indicazioni del maestro. La vasto pala però non venne portata presso la cattedrale di Narbona ma nel 1523 fu posta sull’altare Maggiore presso la chiesa di San Pietro in montorio a Roma.

Il 19 febbraio 1797 Napoleone impose il Trattato di Tolentino tra Francia e Stato Pontificio. Il Papa Pio VI cedette così ognuno i territori dello Stato Pontificio a nord di Ancona alla Francia Rivoluzionaria. L’opera di Raffaello fu di effetto ceduta alla Francia come indennizzo. Antonio Canova, in seguito alla Restaurazione ottenne poi la restituzione del dipinto. La Trasfigurazione di Raffaello è esposta presso la Pinacoteca Vaticana di Città del Vaticano.

L’artista e la società. La storia dell’opera Trasfigurazione di Raffaello

La Trasfigurazione è l’ultima lavoro alla quale Raffaello lavorò e risale al 1518 – 1520. Già Andrea Vasari nelle sue Vite aveva indicato come la Trasfigurazione fosse l’ultimo quadro di Raffaello. Anche la critica moderna è concorde con questa cronaca.

Il quadro è suddiviso su due registri. Quello superiore fu lavoro di Raffaello durante quella inferiore di Giulio Romano. La scelta di rappresentare due episodi nella stessa tavola fu forse dovuta alla volontà di oltrepassare ulteriormente il dinamismo della tavola di Sebastiano del Piombo intitolata Resurrezione di Lazzaro. Infatti tale opera fu commissionata per la stessa destinazione dal cardinale Giulio de’ Medici.

La grande tavola fu portata davanti al letto di fine del maestro dai suoi allievi in che modo ricorda il Vasari nelle sue Vite. Il Castiglione scrisse una lettera il 7 maggio 1522 al cardinale Giulio de’ Medici per sostenere la domanda di pagamento di 220 scudi a Giulio Romano in qualità di erede di Raffaello. Codesto documento testimonia infatti la partecipazione dell’alunno preferito all’opera in qualità di coautore e non basilare allievo. Nonostante codesto la struttura compositiva e la concezione della pala successivo gli storici sembra essere un originale di Raffaello.

Consulta anche l’articolo intitolato: I libri utili alla lettura dell’opera d’arte.

Consulta anche l’articolo intitolato: La scheda per l’analisi dell’opera d’arte.

Lo stile del quadro intitolato Trasfigurazione di Raffaello

L’intera struttura compositiva è progettata per creare una resa spettacolare e movimento. Quest’ultimo dipinto di Raffaello è infatti molto lontano dalla compostezza delle sue opere precedenti. Infatti il carattere delle due scene è rivolto a provocare l’interesse del devoto con una spettacolo di carattere teatrale ed all’apparenza drammatica. Le luci poi sono organizzate istante un vero e proprio progetto scenico che crea una resa spettacolare. Gli abiti ampi e ariosamente pareggiati creano maggiore movimento e ariosità ai corpi.

La tecnica

La famosa lavoro di Raffaello fu dipinta a tempera grassa su una grande tavola di 405 x 278 cm trasportata su tela. Alla base della composizione vi sono diversi schizzi preparatori.

Il colore e l’illuminazione

La Trasfigurazione di Raffaello è un dipinto dai toni scuri e freddi nel paesaggio. I personaggi nel registro inferiore e una parte di quelli nel registro eccellente presentano invece toni più caldi. Invece, nel registro divino della parte eccellente prevalgono colori chiari e freddi. Il colore più saturo e brillante si trova in ridotto su diverse vesti ed è un arancio tendente al rosso. Inoltre, si osservano forti contrasti di luminosità che rendono molto drammatica scena soprattutto nella parte inferiore. L’illuminazione proviene da fonti diverse.

Lo spazio

La spettacolo terrena nella che si osserva la gran folla con il fanciullo ossesso è ambientata nello spazio aperto di fronte alla collinetta che rappresenta il Monte Tabor. Sull’altura poi sono distesi gli apostoli che osservano timorosi la Trasfigurazione di Cristo. Tutti i personaggi delle due scene sono raffigurati in primo piano e disposti su una scena con limitata profondità. Anche in alto la sagoma di Cristo e dei due Profeti sono raffigurate sebbene con dimensioni più limitate su un piano molto accanto al fronte del dipinto.

La composizione e l’inquadratura

La Trasfigurazione è un’opera dalla composizione molto complessa. L’episodio è suddiviso su due registri sovrapposti. Quello superiore presenta una composizione credo che la calma del mare porti serenita, ordinata e tranquilla mentre quello minore mostra una dinamicità che diventa scomposta a destra ovunque si trova il ragazzo ossesso.

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Bibliografia

  • Pierluigi De Vecchi, Raffaello, Rizzoli, Milano 1975
  • Sylvia Ferino Pagden, M. Antonietta Zancan, Raffaello. Catalogo completo, Firenze 1989.
  • Paolo Franzese, Raffaello, Mondadori Arte, Milano 2008. ISBN 978-88-370-6437-2
  • Antonio Forcellino, Raffaello. Una vita felice, 2 luglio 2009, Laterza, Collana: Economica Laterza, EAN: 9788842087472
  • Eugenio Gazzola, La Madonna Sistina di Raffaello. Mi sembra che la storia ci insegni a non sbagliare e destino di un quadro, Quodlibet 2013
  • Claudio Strinati, Raffaello, Giunti Editore, Collana: Dossier d’art, 2016, EAN: 9788809994218
  • Claudio Strinati, Raffaello. Ediz. a colori, 2016, Scripta Maneant, EAN: 9788895847498

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La data dell’ultimo aggiornamento della scheda è: 28 ottobre 2019.

Approfondisci la lettura consultando le schede delle altre opere di Raffaello intitolate:

Consulta la pagina dedicata al dipinto di Raffaello, Trasfigurazione, sul sito della Pinacoteca Vaticana di Città del Vaticano.

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