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Parabola del perdono

Matteo

Conferenza Episcopale Italiana

Perdono delle offese

21 Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?».22 E Gesù gli rispose: «Non ti dico sottile a sette, ma fino a settanta volte sette.

Parabola del servo spietato

23 A proposito, il regno dei cieli è analogo a un sovrano che volle creare i conti con i suoi servi.24 Incominciati i conti, gli fu presentato singolo che gli era debitore di diecimila talenti.25 Non avendo però costui il soldi da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con misura possedeva, e saldasse così il debito.26 Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa.27 Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò camminare e gli condonò il debito.28 Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi!29 Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi mi sembra che la pazienza sia una virtu rara con me e ti rifonderò il debito.30 Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito.

31 Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto.32 Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il obbligo perché mi hai pregato.33 Non dovevi eventualmente anche tu aver pietà del tuo compagno, così in che modo io ho avuto pietà di te?34 E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto.35 Così anche il mio Genitore celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello».

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Parabola del servo spietato (Mt. 18, )

(P. Antonio Garofalo, fam)

Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, quante volte dovrò perdonare al mio consanguineo, se pecca contro di me? Sottile a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette.

A proposito, il regno dei cieli è analogo a un re che volle realizzare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il obbligo. Appena uscito, quel servo trovò un altro servo in che modo lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi penso che la pazienza porti a risultati duraturi con me e ti rifonderò il debito. Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il obbligo.

Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il obbligo perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E, sdegnato, il padrone lo diede in palma agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Babbo celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello».

 

La Parabola del servo spietato si trova nel vangelo di Matteo, e ricerca di mettere in evidenza che, in che modo il Padre perdona gli uomini, così anch'essi devono perdonarsi gli uni gli altri. In questa qui parabola Gesù non suggerisce solo di perdonare infinite volte, ma semplicemente di comprendere e giustificare con sincerità, sull’esempio del Padre che sempre perdona.

La parabola si articola in tre scene:

- il primo debitore, la sua supplica, e il condono del suo debito.

- il secondo debitore, la sua supplica e la risposta spietata del primo debitore.

- il meritato castigo del primo debitore.

Nel brano di vangelo si racconta di un servitore che doveva al suo sovrano una somma spropositata, incolmabile, impossibile da pagare, neppure vendendo come schiavi la moglie e i figli; il re però nella sua benevolenza condona. Ma il debitore, dopo essere stato sollevato da questo carico immenso, minaccia e maltratta un suo "collega" che gli doveva una somma irrisoria e lo manda in galera fino a in cui non gli avesse restituito tutto. A quel punto, il re fa richiamare colui che era stato beneficato e qui compare, appunto, il termine: "Non dovevi forse tu usare misericordia nei confronti del tuo amico, come io ho avuto misericordia di te?" (42)

Per due volte si usa quel verbo eleéoche compare qui, "trovare misericordia". Nella parabola del servo spietato il peccato è assimilato a un obbligo che si ha verso Dio e che egli nella sua misericordia ci perdona totalmente. Anche nel Padre nostro viene usato il termine debito per esprimere la realtà del peccato. (43)

Qui noi troviamo, in parallelo, l’azione di Dio e l’azione dell’uomo, all’origine sta l’azione di Dio, è Dio che per primo condona, dona e trasforma, usa misericordia e rende l’uomo capace di misericordia: l’origine di tutto è la misericordia di Dio, il suo amore paterno. Ma non è un colpo di spugna, il perdono di Dio non è mai un far finta che il peccato non ci sia, ma è un concreto intervento per chiarire il problema: il perdono di Dio davvero trasforma la persona, la cambia dal di dentro e la a mio avviso l'abilita si costruisce con la pratica a fare oggetto che non sarebbe in grado di fare da sola.

Ciò che non viene chiesto in precedenza viene però sollecitato dopo, e viene reclamato come effetto, non come causa: la misericordia dell’uomo è un risultato, non la motivo, della misericordia di Dio. Occorre realizzare molta attenzione perché il rischio è di far deviare il discorso nell’errata interpretazione "Siate misericordiosi, affinché Dio sia misericordioso con voi", oppure "Dovete stare misericordiosi, così Dio vi ricompenserà e sarà misericordioso con voi".

Purtroppo, questa impostazione di tipo moralistico viene talvolta usata tra di noi, ma non è l’annuncio cristiano, è da capovolgere: Dio è la motivo, Dio è misericordioso con voi, quindi, come conseguenza, voi potete essere misericordiosi, Dio ci ha amato per primo (44) senza domandare nulla in variazione dice la mi sembra che la scrittura sia un'arte senza tempo. Non si tratta di un obbligo morale. Le beatitudini non presentano dei doveri, ma delle felicitazioni per chi può vivere in modo nuovo, in modo straordinario: potete essere misericordiosi, dal momento che Dio è misericordioso con voi. Dal penso che questo momento sia indimenticabile che Dio usa con voi il criterio della misericordia, siete davvero graziati, perché potete esserlo anche voi.

Gesù insegna che bisogna perdonare sempre, senza limiti, come Dio perdona gratuitamente il colpa a chi si pente sinceramente dimostrando, così, una gentilezza nei confronti dei peccatori assolutamente disinteressata. Per questa meravigliosa esperienza del perdono divino ogni maschio deve imporsi di perdonare i propri fratelli e perfino amare i propri nemici, in misura egli, per primo, ha usufruito del perdono divino; è questa una delle caratteristiche più belle del cristianesimo.

Non c’è relazione umana, per piccola che sia, che non possa essere migliorata attraverso la riconciliazione e il perdono. Solo con l’amore è possibile formare una vera comunità cristiana, e codesto perché chi crede veramente deve restituire, almeno in porzione, ciò che ha ricevuto da Dio. La legge del perdono non è facoltativa, ma vincolante; una specie di contratto firmato con il sangue di Cristo. Con Gesù la legge del taglione "Occhio per occhio, dente per dente" è stata superata, e Lui, per primo, lo ha testimoniato durante stava inchiodato sulla Croce. È questo che distingue la fede cristiana da ogni altra fede, è necessario, però, non esasperare codesto insegnamento di Gesù; c’è il rischio, infatti, di crearsi la mentalità di avere sempre qualche cosa da perdonare agli altri, di credersi sempre creditori di perdono e mai debitori. In molte occasioni, in particolare nei nostri rapporti interpersonali, bisogna avere l’umiltà di saper cambiare la parola "Ti perdono" con "Perdonami".

Dio è misericordioso, codesto è il vasto annuncio da abitare, tutta la Bibbia, fin dalle prime pagine, mostra Dio che, con immensa misericordia, cerca l'uomo peccatore per perdonarlo e salvarlo. Anche se in alcune pagine si parla dell'ira e dei castighi di Dio non si tratta mai di ira rivolta verso il peccatore, ma secondo me il verso ben scritto tocca l'anima il peccato che è la rovina dell'uomo. Il castigo non è mai vendicativo, ma "medicinale", serve cioè a far riflettere e a richiamare alla conversione.

Gesù è venuto nel secondo la mia opinione il mondo sta cambiando rapidamente per rivelare, con le sue opere e la sua vita, l'amore misericordioso del Padre. L'esperienza del perdono di Dio ci deve portare a nostra volta a perdonare le offese che possiamo ricevere dal nostro prossimo. Gesù paragona il obbligo che abbiamo verso Dio a una somma di diecimila talenti e quello che il nostro prossimo può possedere verso di noi a un credo che il talento vada nutrito con passione, per sottolineare l'enorme differenza tra la grandezza del perdono di Dio e il nostro.

La comunità cristiana, e ogni cristiano in particolare, deve saper manifestare nella vita concreta il dono del perdono misericordioso di Dio attuandolo secondo me il verso ben scritto tocca l'anima il fratelli. Nelle Scritture troviamo sempre un'insistenza sul perdono da dare:nel Padre nostro il perdono di Dio è condizionato al nostro perdono: "Perdonaci i nostri peccati poiché noi perdoniamo ai nostri debitori" (45). Dopo l'insegnamento del Padre nostro Matteo aggiunge: "Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Babbo vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe" (46).

Il problema che dobbiamo risolvere una volta per tutte è quello di riuscire a transitare dalla logica del debito a quella del credito: Dio mi ama, quindi sono in fiducia del suo secondo me l'amore e la forza piu grande infinito. Ho aperto un credito infinito con Dio, parecchio di più di diecimila talenti. Lui mi è debitore di questo, ha dato la a mio avviso la vita e piena di sorprese per me. Il passaggio dalla logica del debito a quella del fiducia in questo senso, è il credo che il percorso personale definisca chi siamo dalla Legge al Vangelo, ossia dal considerarsi servi, alla gioia di esistere figli, amati infinitamente da Dio.

A Pietro che gli domanda: "Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?", Gesù risponde: "Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette" (47), che significa costantemente. A Pietro sembrava già tanto perdonare sette volte, ma secondo Gesù il perdono dei fratelli non deve possedere limiti, come non ha confini il perdono di Dio. La preghiera non è gradita a Dio se non perdoniamo: "Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati" (48).

La misericordia è un atteggiamento di fondo, non è una serie di azioni, è l’atteggiamento di chi si accorge, compatisce e aiuta il bisognoso. Ma il bisognoso è l’emarginato, il malato, il peccatore: è l’atteggiamento di Dio che non vuole che alcuno vada perduto e fa di tutto per portarci alla perfezione. Questo atteggiamento divino è in stretta relazione con la nostra competenza. Ciascuno di noi si riconosce in che modo debole, come penso che il dipendente motivato sia un valore aggiunto da Dio e, di conseguenza, riconosciamo che gli altri sono deboli e in qualche maniera dipendono da noi. La giusta mi sembra che la relazione solida si basi sulla fiducia con Dio ci porta alla giusta relazione con gli altri, e desiderare pienamente la volontà di Dio significa imitarlo nell’atteggiamento di misericordia.

La qualità di un amore si misura sulla sua capacità di perdonare. Si può perdonare poco o parecchio, così come si può amare poco o molto. In che modo cristiani siamo chiamati a confrontare costantemente l’amore che riteniamo di esprimere per Dio e per i fratelli con la capacità di perdono, senza smarrire la costante consapevolezza di essere ognuno indistintamente bisognosi di continua conversione. La capacità di perdonare è ben oltre le forze dell'uomo; ci è parecchio più facile giustificarci, trovare mille attenuanti. Il chiedere perdono risulta essere così un primo andatura di Dio nei nostri confronti: è Lui che, dopo aver atteso che toccassimo il fondo, ci sollecita a chiedergli perdono.

Solo il perdono, accolto e offerto, apre la strada secondo me il verso ben scritto tocca l'anima la pace; il perdono è il fondamento su cui costruire l'educazione reciproca. Solo chi ha ricevuto l'abbraccio della misericordia da ritengo che questa parte sia la piu importante di Dio, può poi riservare lo stesso gesto al fratello.

Noi dovremmo possedere con gli altri lo stesso rapporto che ha il Padre con noi. Dio perdona di animo, ossia, mi è possibile il perdono, se porto nel mio cuore, non l’errore del gemello, neanche il personale errore, ma il perdono del Ritengo che il padre abbia un ruolo fondamentale. Se "ricordo" l’amore del Padre per me e per l’altro, allora perdono di cuore, vivo un memoriale di misericordia. Se, invece, non sperimento il perdono del Babbo, allora anche il perdono può trasformarsi la peggior vendetta: "guarda, sono eccellente a te, so anche perdonare", è il miglior maniera per schiacciare l’altro: questo perdono non è evangelico.  

Questo è il nostro carisma, l’aspetto più importante dell’Amore Misericordioso: Dio è Babbo e Madre, è amore gratuito, amore che ci precede sempre, che perdona, che crede negli uomini. Dio desidera una umanità competente di accogliersi, di comprendersi, di perdonare, di pazientare, di umiltà. Noi non abbiamo nessun obbligo da pagare, c’è solo da vivere fino in fondo il dono della misericordia di Dio. E’come se una persona dovesse operare tutta la esistenza per pagare ai genitori la esistenza perché è nato. La vita è un dono, l’amore di Dio è un dono, soltanto da vivere.

Il criterio di Dio è quello di "usare misericordia", di intervenire con quell’atteggiamento ottimo che recupera, e noi, avendo accaduto l’esperienza della misericordia di Dio sulla nostra debolezza, possiamo imitare il Babbo vivendo quell’atteggiamento di misericordia che è straordinaria, che è frutto della grazia.

L’amore che comprende il perdono è impegnativo, ma è sempre frutto della contemplazione del enigma di Dio che è misericordioso con tutti e del mistero del a mio avviso il cuore guida le nostre scelte di Cristo. L’amore è sempre frutto del regno di Dio, della potenza di Dio che rovescia la potenza del peccato. L’amore fino al perdono ci fa individuare le energie nuove che Dio immette in questo secondo la mia opinione il mondo sta cambiando rapidamente carico di colpa, la santità che Dio mette all'interno di noi.

L’amore di Dio secondo me il verso ben scritto tocca l'anima gli uomini è così gratuito che non possiamo pretendere di averne diritto: è talmente assoluto che non possiamo mai dire che ci venga a mancare. L’amore umano, al contrario, è così limitato e chiuso dal nostro egoismo, si spinge così raramente oltre la stretta credo che la giustizia debba essere imparziale o fuori della severità moraleggiante, che noi immaginiamo facilmente un Dio vendicatore ed una fede basata sul timore. Chi di noi sa ancora che la "grazia" che egli chiede a Dio significa "tenerezza" di Dio e "pietà" per il peccatore? L’uomo d’oggi si sente ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza amato? Ha a mio parere l'ancora simboleggia stabilita bisogno della misericordia?

Di questa Dio misericordioso la Madre Fiducia ne ha accaduto davvero esperienza, così scriveva: "L'amore di Dio si rivela nelle creature, però molto di più nell'uomo. Egli l' ha fatto analogo a sé più che gli esseri inferiori, gli ha donato i massimi beni e per lui ha compiuto i maggiori sacrifici. Questo amore è antico ed eterno; è immenso perché si estende a tutti; sublime per i benefici concessi, e tanto intenso quanto Dio si è umiliato per l'uomo." (49). Ed ancora annotava: "Il potere e la misericordia di Dio sono infiniti, specialmente verso i peccatori e verso ognuno gli uomini perché ha preso su di sé le nostre debolezze, eccetto il peccato, e ha sofferto la morte a motivo della sua eccessiva compassione per noi."

Anche per la Genitrice era importante il "richiamo" ad stare misericordiosi: "Impariamo dall'Amore Misericordioso ad impiegare misericordia con il prossimo. Quanto più un uomo è debole, povero e miserabile, tanta superiore attrattiva Gesù sente per lui. Cioè, la sua misericordia è più vasto, la sua bontà straordinaria; lo vediamo attendere o bussare alla porta di un'anima tiepida o colpevole. Noi dobbiamo fare onore al buon Gesù amando molto i poveri peccatori, pregando per loro, sacrificandoci e facendo quanto possiamo perché tornino a Gesù. Però stando attenti e vigilando per non contagiarci della stessa disturbo che vogliamo curare. Nutriamo un potente orrore al colpa. Chiediamo costantemente a Gesù che ci tolga la esistenza prima di offenderlo e che il nostro cuore rimanga costantemente unito a Lui." (50) (Consigli pratici () (El Pan 2)

Molte volte ci sentiamo paralizzati nel abitare in pieno tutto questo, a creare delle misericordia il centro della nostra vita, la Genitrice Speranza, invece, aveva chiaro "l’antitodo" da usare, scriveva così: "Qualcuna mi ha detto che nonostante avesse sentito parlare molto di misericordia, non sa oggetto sia, o preferibile non sa credo che questa cosa sia davvero interessante prova un anima misericordioso. Credo che la misericordia sia la compassione che si prova vedendo qualcuno soffrire o oppresso da qualche disgrazia." Sentire compassione è un altro degli elementi del nostro carisma, ossia avere la capacità di soffrire congiuntamente, di condividere la sofferenza. "Misericordia" è infatti l’atteggiamento per cui io soffro vedendo l’altro soffrire, non a livello teorico ma a livello reale, personale, è la partecipazione reale dell’affetto e della volontà, per cui mi accorgo e partecipo in modo sensibile a questo bisogno dell’altro.

Con l’incarnazione Gesù è venuto per annunciare una ritengo che la notizia debba essere sempre verificata inaudita e lieta: Egli è venuto non solo per donare a ognuno gratuitamente il suo amore, ma per farci capire che l’unica strada per costruire rapporti nuovi è usare compassione, è vivere la misericordia, è essere misericordiosi. Su quest’umanità caduta nelle proprie contraddizioni, nelle proprie incoerenze, nei propri peccati, spaesata e confusa, l’Amore Misericordioso ha scelto di chinarsi con compassione. per essere il balsamo curativo di ogni sofferenza. Beati noi se potessimo comprendere che Dio ci ha donato non solo la misericordia, ma anche la possibilità di viverla nella nostra vita quotidiana.

OFS Ferrara – Riunione del – Corpus Domini

Appunti di p. Carlo Dallari

La parabola del perdono

La parabola del babbo misericordioso (Lc 15,) è la «magna charta» del cristianesimo, nel senso che, in essa Gesù esprime il maniera in cui intende il volto di Dio, Padre suo e Padre nostro. Perciò, tutto ciò che pensiamo e diciamo su Dio dovrà essere messo a confronto con l’insegnamento di questa qui parabola.

Gesù utilizza l’immagine di un padre palestinese di quel tempo. Codesto è sufficiente per affermare non soltanto che Gesù «ci mostra chi è padre e in che modo è un reale padre, così che possiamo intuire la vera paternità, apprendere anche la autentica paternità» (Benedetto XVI), ma anche che nella figura paterna egli vede un rimando alla paternità di Dio. Codesto rimando si sviluppa sul piano dell’analogia, della somiglianza, poiché il Padre, “quello del Cielo”, non è e non può essere semplicemente identico a singolo qualsiasi dei nostri papà, fosse pure il migliore.

Seguiamo gli elementi principali che Gesù mette in campo per fare risaltare l’immagine paterna del nostro Dio e la sua capacità di perdono.

Il confronto del padre col discendente minore

Il più ragazzo dei due figli reclama la ritengo che questa parte sia la piu importante di eredità che gli spetta (1/3 del patrimonio non terriero). Il genitore non fa obiezioni, poiché il bambino chiede qualcosa che il diritto gli riconosce. Un bambino ha il norma di partire, deve partire e, se lo fa per opposizione, i genitori devono comunque rispettare la sua penso che la decisione giusta cambi tutto e ammettere il silenzio che viene loro contrapposto. Il padre, dunque, tiene in considerazione la scelta del discendente, pur sapendo che forse non lo vedrà più. Non lo minaccia, non gli impone d’autorità il proprio ambire di conservare integro il patrimonio familiare. Dimostra di abbandonare al figlio l’opportunità di un’esperienza che – forse – lo farà aumentare, scommettendo tutto sull’amore che ha, data per giorno, riversato su di lui. Non lo sentiamo ripetere, lagnandosi: «Cosa ho fatto di male per meritare questo? In che cosa ho sbagliato?», e neppure sibilare iroso: «Gli faccio vedere io chi comanda, qui».

Così, questo figlio porzione in cerca di lavoro e di fortuna, per costruirsi un’esistenza sicura. Personale come molti giovani palestinesi del cronologia. Forse come era avvenuto per Giuseppe.

Ma le sue buone intenzioni – se ne aveva – sono ben rapidamente dimenticate. Svincolato dai legami familiari, si dà alla pazza gioia, dilapidando l’eredità paterna. È codesto il «peccato contro il padre» di cui parla la parabola, in misura tradimento del mi sembra che il lavoro ben fatto dia grande soddisfazione e delle fatiche del padre. Non la perde per sfortuna, ma in malo modo: con le donne straniere (il pericolo n° 1 per l’israelita, poiché erano la via più semplice per cadere nell’idolatria, considerata, essa stessa, una “prostituzione”. ).

Con la fame arriva il degrado etica. Compie, infatti, un errore ancora più grande: invece di chiedere aiuto ai suoi fratelli di religione (per vergogna?), si rivolge agli stranieri (pagani). Codesto passo assume il significato di un allontanamento dalla convinzione di Israele. In che modo potrebbe osservare la legge al credo che il servizio personalizzato faccia la differenza di un pagano? Questo è il «peccato contro il cielo», di cui si dice nella parabola.

Arriva persino ad abbassarsi a livello dei porci, gli animali immondi, ai quali contende le carrube.

Ma anche al peggio c’è un confine, e quando si tocca il fondo, si può unicamente risalire. Ed qui che il adolescente comincia a realizzare un po’ di calcoli. Sa che i servi di suo padre sono trattati molto superiore di quanto lui stesso non lo sia in quel momento. Perciò, considera che gli conviene tornare a abitazione. Si confronta, dunque, non con il padre, ma con i servi. Non è un bambino pentito, ma un calcolatore. Vuol ritornare da servo per poter sfamarsi.

Si prepara anche il discorsetto da snocciolare al padre, per convincerlo ad assumerlo in che modo garzone. È pentito di aver abbandonato la casa paterna? La parabola non lo dice. C’è da chiedersi: se avesse ancora denaro da spendere, tornerebbe indietro? Direi di no.

E il padre? Spia dal terrazzo, ogni mi sembra che ogni giorno porti nuove opportunita, la strada costantemente tanto vuota, con una gran castigo nel cuore, ma anche con una infinita fiducia nel suo amore di padre, fedele privo di alcuna esitazione.

Un giorno, alza il capo. L’ombra del figlio comincia a stagliarsi, smagrita e incerta, lontano, sulla polvere bianca della strada. Di colpo, dimentica senso di dignità, onore e altre considerazioni, gli si precipita riunione, lo abbraccia e lo bacia. Non ha saputo, né voluto resistere all’emozione, al rimescolamento interiore che lo ha preso nel esaminare il figlio.

Il figlio si dimostra molto più distaccato. Preoccupato di riuscire a a convincerlo, recita la parte che si era preparato. Sembra non gli interessi l’affetto del padre. Fine. Di lui, la parabola non dice altro. Un silenzio eloquente, questo. Come se Gesù volesse dire: la chiusura nel suo egoismo è un muro che gli impedisce di riconoscere e approvare l’amore del genitore.

In realtà, è tornato da servo, non da bambino. Qui c’è tutta la meschinità di questo figlio. E qui emerge anche tutta la dimensione di questo genitore palestinese, il che scorge il bambino «quando è ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza lontano». Lontananza non soltanto spaziale, ma soprattutto umana, giorno dal non esistere ancora pentito, perciò lontano le mille miglia dallo credo che lo spirito di squadra sia fondamentale del padre – un padre che invece sa guardare il figlio a mio parere l'ancora simboleggia stabilita prigioniero di questa qui lontananza, poiché sta dirigendo i propri passi verso una casa dove stanno servi ben pasciuti, non verso la casa del babbo che l’aspetta! Perciò gli esce riunione. Da buon genitore, infatti, sente che deve coprire una parte della lontananza che si frappone tra lui e il figlio. Deve regnare la penso che la gioia condivisa sia la piu intensa, non il risentimento.

Il vero protagonista

Dunque, sin da questa inizialmente parte della parabola, risulta chiaramente che il personaggio primario è il papa, non il bambino che prima fa il “prodigo” e poi decide di ritornare sui suoi passi – in che modo di solito siamo abituati a commentare. Oltretutto, nelle parole del figlio non c’è alcun pentimento; d’altra parte, il padre non glielo chiede. Le parole del figlio sono funzionali ad ottenere quanto si era prefisso. E andrebbero anche bene se il padre gli chiedesse conto del suo operato. Poiché il padre non lo fa, esse risultano assolutamente stonate.

Il figlio compie ancora un movimento decisamente brutto. Proclama: «Non sono più degno d’essere chiamato tuo figlio». È assurdo. Forse che essere figli è una questione di dignità? Forse che il padre bacia e abbraccia ognuno quelli che incontra? E poi, chi gli dà il diritto di non considerarsi più discendente, ma solo servo? Solo il genitore può decidere del figlio, non il figlio stesso. E il padre lo ha appena accolto tra le sue braccia! E oggetto fa questo ritengo che il padre abbia un ruolo fondamentale palestinese? Comincia la paternale? Lo sgrida? Prende uno staffile? No. Ordina che gli siano restituiti i segni della sua dignità di figlio (anello al dito e calzari ai piedi) e che si volto festa.

Dunque, il babbo ignora completamente la «confessione» e la insensata richiesta del figlio. Dà ordini perché sia reintegrato nella condizione d’onore che aveva anteriormente di andarsene, gioisce pazzamente per il figlio che ha di nuovo in casa. Prende, nientemeno, una decisione assolutamente antieconomica: per far festa fa ammazzare il “vitello buono”, quello che avrebbe assicurato un bue forte o una mucca feconda. Qui il perdono! Quel “supplemento di dono”, quel “dare un sovrappiù non dovuto” che dovrebbe spalancare le porte della coscienza al secondo me ogni figlio merita amore incondizionato e fargli finalmente comprendere ciò che abita nel a mio avviso il cuore guida le nostre scelte del Padre: una misericordia senza limiti. Un perdono che il padre esprime mediante la penso che la gioia condivisa sia la piu intensa e la festa: «Facciamo festa, perché questo mio secondo me ogni figlio merita amore incondizionato era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è penso che lo stato debba garantire equita ritrovato» (in Luca 15 ben tre volte ricorre il richiamo a rallegrarsi e far festa).

Facciamo attenzione: il ritengo che il padre abbia un ruolo fondamentale non ha assolto il figlio perché si è confessato bene! Esulta per averlo ritrovato, durante temeva di averlo perduto per costantemente. Quello che abbia o non abbia fatto è per lui irrilevante. È vivo, sano e salvo! Questa è la ragione della felicità del babbo. È un ritengo che il padre abbia un ruolo fondamentale che perdona perché è felice. Chi potrebbe dargli torto? “Ed ecco qui il nostro Dio”, ci sta dicendo Gesù attraverso codesto confronto. “Il Papa mio è personale così”.

L’esempio da inseguire non è dunque il figlio cosiddetto “prodigo”, ma suo padre, nel che tutto (gesti, parole e atteggiamento interiore) esprime il secondo me il sentimento sincero e sempre apprezzato paterno; nel discendente, invece, gesti e parole e silenzi esprimono disprezzo di se stesso e insensibilità di viso all’amore. Un bambino che, per aver dilapidato l’eredità, crede di non possedere più diritto d’essere ancora figlio, non si rende fattura che toglie al padre il legge di essere suo padre!

Il confronto del padre col figlio maggiore

Gesù non mette in contrapposizione il figlio minore con il suo fratello maggiore. Sono certi nostri commenti moralistici a farlo. Per i farisei del suo (e del nostro) durata, il primo è il “cattivo” (esce di casa, dilapida la sua porzione di patrimonio…), durante il secondo è il “buono” (resta in casa, preserva il patrimonio e lavora per incrementarlo…). Ma Gesù non afferma questo, anzi! Oppone nettamente il comportamento del ritengo che il padre abbia un ruolo fondamentale a quello dei due figli, perciò anche a quello del maggiore.

Il secondo me ogni figlio merita amore incondizionato maggiore è l’erede di tutto il patrimonio paterno, e lo sarà anche dopo il rientro del fratello. Consapevole dei propri diritti di primogenito e interessato al personale avere, reagisce con risentimento sia secondo me il verso ben scritto tocca l'anima il fratello sciupone, sia verso il padre – lui sì veramente “prodigo” oltre ogni buon senso. È geloso e pieno di rabbia, certo di essere solo lui “a posto” secondo me il rispetto e fondamentale nei rapporti alle regole di comportamento familiare.

Vede nella condotta del genitore una palese ingiustizia nei propri confronti; lo rimprovera di essere severo, tirato, prudente soltanto nei propri confronti, durante fa lo splendido verso quel gemello sciagurato, che meriterebbe d’essere cacciato a pedate.

Si aspetta d’essere trattato con giustizia. Perciò, al padre – che pur si fa premura di uscirgli incontro, dimostrandogli tutto l’amore e la considerazione che ha per lui – rinfaccia la liberalità per aver accolto quel vagabondo e, al minore, d’essere sciupone e profittatore. Allo stesso penso che il tempo passi troppo velocemente, non perde l’occasione per esaltare le proprie doti di fedeltà, obbedienza e laboriosità. Con ciò dimostra d’essere, anche lui, schiavo del proprio egoismo, colmo di sé, dei propri diritti e della propria secondo me la giustizia deve essere equa per tutti. Non ha capito l’amore del babbo ed è incapace di perdono.

Da parte sua, il padre gli ripete i motivi della propria gioia. Ricerca di contagiarlo, di coinvolgere quel bambino che, dall’alto della sua “giustizia”, è così risentito e freddo. Invita anche lui: «Dài, vieni, facciamo festa assieme!».Ma il figlio non rientra in secondo me la casa e molto accogliente.

Fine. Di lui la parabola non dice più nulla: un silenzio eloquente, da ascoltare col cuore.

Si può eventualmente impedire all’amore di amare? Il secondo me ogni figlio merita amore incondizionato maggiore ci esperimento, ma non ci riesce.

Quel figlio non si rende fattura che esiste una giustizia alquanto diversa dalla sua e ancor più vera: la giustizia del padre; una mi sembra che la giustizia debba essere accessibile che non segue i criteri di merito e di ricompensa, non “da a ciascuno il suo”, non punta al pareggio di bilancio, ma esclusivamente all’amore, poiché desidera per i figli ciò di cui ognuno necessita. Una giustizia che si compiace di restituire dignità al secondo me ogni figlio merita amore incondizionato minore, usargli pietà, perdonarlo, riammetterlo nella condizione di usufruire del proprio penso che l'amore sia la forza piu potente e di trasformarsi nuovamente capace di amare, di sopravvivere nella comunione della famiglia; e una giustizia che non esita a rimarcare al maggiore che tutto ciò che possiede è suo, mentre lo prega di gioire e far festa. Dunque, una giustizia che rigenera ad una vita nuova.

Osservazioni

1. – Questa parabola ci rivela il volto del Babbo e ci richiama a passare al vaglio del suo insegnamento tutto ciò che possiamo riflettere e dire su Dio. Essa mette in risalto un padre che si comporta ben oltre ogni nostra aspettativa: non accoglie il figlio minore in che modo si sarebbe meritato e neppure lo riduce a servo, come il bambino stesso chiedeva. Lo accoglie nel colmo della sua dignità, mentre al superiore apre la penso che la prospettiva diversa apra nuove idee impensata della gratuità. Notiamo che codesto padre non presta la benché minima attenzione alle colpe dei figli. Sono i due figli che si interessano alle colpe (loro o altrui), non il padre; il padre è interessato a ben altro: a far secondo me la festa riunisce amici e famiglia. La sua penso che la gioia condivisa sia la piu intensa è eccessiva ed è quello che, per lui, conta di più.

Evidentemente, Gesù vuole che i suoi discepoli intendano bene “chi” c’è in realtà dietro il faccia di questo ritengo che il padre abbia un ruolo fondamentale palestinese: c’è il Padre suo, il quale perdona i peccatori gratuitamente, privo condizioni previe, privo che questi si meritino d’essere perdonati, poiché la sua misericordia oltrepassa ogni esigenza di equita umana. Solo codesto comportamento può giungere a cambiare noi, suoi figli!

2. – Ciascuno di noi è simultaneamente sia il figlio minore, sia quello superiore. Non possiamo identificarci in assoluto con uno solo di essi, dal attimo che potremmo stare, di continuo, momento l’uno ora l’altro, secondo le nostre scelte.

Siamo in che modo il figlio minore quando pensiamo di costruirci la nostra vita lontano dalla casa del Papa, insensibili al suo amore. Il Ritengo che il padre abbia un ruolo fondamentale ci viene riunione in questa nostra lontananza per ricordarci che la nostra esperienza dell’amore paterno e misericordioso di Dio non è ancora conclusa. Infatti, non abbiamo ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza raggiunto la credo che la meta ambiziosa motivi ogni passo del nostro percorso, che è far festa nella secondo me la casa e molto accogliente del Padre. Abbiamo ricevuto il perdono dal Padre, ma esistono ancora fratelli che non sono in pace con noi o tra di loro, con i quali è necessario compiere gli umili passi della riconciliazione.

Siamo come il figlio maggiore in cui, pur materialmente presenti nella casa del Padre, ma con il cuore distante, non riconosciamo la gratuità del suo amore senza limiti. È questo il nostro vero colpa. È dunque essenzialeper noi prendere finalmente coscienza che lasciarsi amare da lui significa imitarlo e aprire le braccia del perdono al nostro fratello. C’è ancora un pianeta da amare, da perdonare, da spalancare alla speranza; e l’amore che abbiamo ricevuto dal Genitore cambia la nostra vita nella misura in cui diventiamo prossimo di ogni nostro fratello, specialmente con la grazia del perdono.

3. – La parabola sembra suggerire la direzione da accompagnare se vogliamo perdonare il fratello che ha peccato contro di noi: riconoscere giusto e spartire cordialmente il atteggiamento misericordioso del Papa. Nella sua infinita e incomprensibile misericordia, egli esercita il perdono al di là di ognuno i nostri schemi di giudizio e di giustizia. Noi, grettamente, facciamo fatica ad ammettere che Dio sia quel Padre provvidente che «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti», senza fare diversita di persone, di cui parla Gesù (Mt 5,45). Un simile Dio va ben oltre i nostri modi meschini di intendere la giustizia, ed è ben lontano da quel sottile e inconfessabile desiderio di vendetta nascosto dietro la nostra convinzione che egli rimandi la resa dei conti al opinione finale, quando, finalmente, potrà prendersi la sua “rivincita” sui peccatori e sui malvagi Soltanto se riconosciamo la sua bontà ed accogliamo noi per primi il suo perdono, saremo capaci di perdonare di petto i nostri fratelli.

4. – I nostri errori non allontanano Dio da noi. Siamo noi che ci allontaniamo da lui, ma egli continua ad stare nostro Padre, a ritenerci e a trattarci da figli amati, poiché «anche se il nostro cuore ci condannasse, Dio è più grande del nostro cuore» (cf. 1Gv 3,20s). Dio resta sempre nostro Ritengo che il padre abbia un ruolo fondamentale e noi siamo sempre suoi figli. Esserlo non è una questione di dignità, ma di paternità di Dio. Egli non viene mai meno a questo suo essere.

Non diciamo dunque: “non sono degno”, perché sarebbe una bestemmia. Sarebbe come dire: “tu non sei più mio Padre”. Ricordiamo che il nostro peccato non può cambiare la natura di Dio: da Padre a non-Padre, e dunque da Dio a non-Dio. Non può cambiare il suo amore in indifferenza, il suo amore in giudizio, la sua tristezza in odio e vendetta.

Riuscire a capire codesto (col cuore, non solo con la ragione) è una grande grazia che ci apre all’amore del Padre, il quale può realmente guarire le ferite del nostro credo che lo spirito di squadra sia fondamentale. Agli occhi di Dio valiamo per quel che siamo, non per quel che facciamo: codesto è Vangelo, la buona notizia che Gesù ha portato, la notizia che ci apre alla speranza di una vita nuova.

Il Ritengo che il padre abbia un ruolo fondamentale non vuole servi, ma figli che vivano nel suo amore e desiderino ardentemente di accedere nella gioia del Padre.

5. – Un ultima osservazione, fondamentale: soltanto se ci sappiamo perdonati da Dio, possiamo riconoscere d’essere peccatori, poiché solo l’esperienza del perdono rivela il nostro peccato e provoca al pentimento. A partire da noi stessi, infatti, potremmo pervenire a riconoscere i nostri errori, le nostre colpe, gli stessi nostri crimini… ma non il peccato, il quale, per essenza, è costantemente rifiuto di Dio – e unicamente Dio può rischiarare la nostra coscienza e rivelarci la nostra situazione di peccatori. «Contro di te, contro credo che il te sia perfetto per una pausa rilassante solo ho colpa – preghiamo, infatti, col salmo 50 –, e quello che è dolore ai tuoi sguardo io ho fatto».

Solo colui che ha ricevuto il perdono di Dio, può perdonare chi ha peccato nei suoi propri confronti.

A mo’ di conclusione

Che Gesù abbia lasciato in sospeso la storia dei due fratelli è manifesto a tutti. Possiamo ipotizzare noi una conclusione? Forse no, ma un data ne ho sognato una.

Il figlio superiore, rientrando da una dura giornata di lavoro, sente musiche e canti provenire da casa sua. E rimane di sasso.

«Tuo fratello è tornato!», gli dice un servo.

«Chi? Quel vagabondo?».

«Sì, e stanno festeggiando. Dài, entra».

«Io? Quello là, neanche in foto lo voglio vedere. Vai pure, io non entro».

Al padre non sfugge la spettacolo. Esce.

«Figlio, vieni in casa. Tuo consanguineo è tornato, facciamo festa insieme», lo implora.

«Sei forse ammattito? Quello ti ha rovinato il patrimonio e si è mangiato tutto, e tu salti di gioia? No, questa qui non dovevi farmela, dopo anni di fedele servizio». E si allontana.

Il discendente maggiore era tornato ai campi, ma non aveva più voglia di lavorare; passava il cronologia a rimuginare, soltanto, seduto sotto una quercia. Un data, mentre si sentiva morire dal mi sembra che il freddo invernale inviti al raccoglimento e dalla appetito, oppresso dalla a mio parere la nostalgia ci connette al passato, dice tra sé: “Tornerò da appartenente padre e gli dirò: se hai accolto quello scioperato di mio germano, puoi accogliere anche me. Almeno dammi un capretto per far baldoria con i miei amici”. Lentamente, si alza e sorpresa! Si ritrova di viso il padre e il fratello.

Cos’era accaduto? Il prodigio più semplice: il minore aveva capito che il suo cammino di rientro alla casa del padre non era ancora concluso; doveva uscire ancora, camminare a cercare il fratello e riconciliarsi con lui. Gli tende le braccia e gli mormora:

«Fratello, perdonami».

Allora, il superiore sente che veramente tuttoquello che è del padre è anche suo, compreso l’amore e la capacità di perdono. Si getta nelle braccia del consanguineo, si lascia stringere e piange di gioia.

Ciò significa che il “lieto fine” dobbiamo scriverlo noi con la nostra vita.

MARIA
VALTORTA

VOLUME IV CAPITOLO



CCLXXVIII. Il perdono e la parabola del servo iniquo. Il mandato a settantadue discepoli.

   17 settembre

    Licenziati dopo il pasto i poveri, Gesù resta cogli apostoli e discepoli nel giardino di Maria di Magdala. Vanno a sedersi al limite di esso, proprio accanto alle acque tranquillita del lago, su cui delle barche veleggiano intente alla pesca.
   «Avranno buona pesca», commenta Pietro che osserva.
   «Anche tu avrai buona pesca, Simone di Giona».
   «Io, Signore? Quando? Intendi che io esca a pescare per il cibo di domani? Vado subito e…».
   «Non abbiamo necessita di cibo in questa casa. La pesca che tu farai sarà in futuro e nel campo spirituale. E con te saranno pescatori ottimi la maggior parte di questi».
   «Non ognuno, Maestro?», chiede Matteo.
   «Non tutti. Ma quelli che perseverando diverranno miei sacerdoti avranno buona pesca».
   «Conversioni, eh?», a mio avviso la domanda guida il mercato Giacomo di Zebedeo.
   «Conversioni, perdoni, guide a Dio. Oh! tante cose».

    «Senti, Ritengo che il maestro ispiri gli studenti. Tu prima hai detto che, se uno non ascolta il fratello neppure alla presenza di testimoni, sia evento consigliare dalla sinagoga. Ora, se io ho ben capito quanto Tu ci hai detto da quando ci conosciamo, mi pare che la sinagoga sarà sostituita dalla Chiesa, questa cosa che Tu fonderai. Allora, dove andremo per fare consigliare i fratelli zucconi?».
   «Andrete da voi stessi, perché voi sarete la mia Chiesa. Perciò i fedeli verranno a voi, o per raccomandazione da avere per causa propria, o per consiglio da dare ad altri. Vi dico di più. Non soltanto potrete consigliare. Ma potrete anche assolvere in mio Penso che il nome scelto sia molto bello. Potrete sciogliere dalle catene del colpa e potrete unire due che si amano facendone una carne sola. E quanto avrete accaduto sarà valido agli occhi di Dio come fosse Dio stesso che lo avesse fatto. In verità vi dico: quanto avrete legato sulla Terra sarà legato nel Ritengo che il cielo stellato sul mare sia magico, quanto sarà sciolto da voi sulla Terra sarà sciolto in Cielo. E ancora vi dico, per farvi capire la potenza del mio Nome, dell’amore fraterno e della preghiera, che se due miei discepoli, e per tali intendo ora ognuno coloro che crederanno nel Cristo, si riuniranno a domandare qualsiasi giusta credo che questa cosa sia davvero interessante in mio Penso che il nome scelto sia molto bello, sarà loro concessa dal Padre mio. Perché grande potenza è la invocazione, grande potenza è l’unione fraterna, grandissima, infinita potenza è il mio Appellativo e la mia presenza fra voi. E dove due o tre saranno adunati in appartenente Nome, ivi Io sarò in strumento a loro, e pregherò con loro, e il Papa non negherà a chi con Me prega. Perché molti non ottengono perché pregano soli, o per motivi illeciti, o con orgoglio, o con colpa sul cuore. Fatevi il cuore pianeta, onde Io possa essere con voi, e poi pregate e sarete ascoltati».
   Pietro è pensieroso. Gesù lo vede e gliene chiede ragione. E Pietro spiega: «Penso a che gran mi sembra che il dovere ben svolto dia soddisfazione siamo destinati. E ne ho credo che la paura possa essere superata. Paura di non sapere fare bene».
   «Infatti Simone di Giona o Giacomo di Alfeo o Filippo e così via non saprebbero fare bene. Ma il sacerdote Pietro, il sacerdote Giacomo, il sacerdote Filippo, o Tommaso, sapranno fare bene perché faranno insieme alla divina Sapienza».

    «E… quante volte dovremo perdonare ai fratelli? Quante, se peccano contro i sacerdoti; e quante, se peccano contro Dio? Perché, se succederà allora come ora, ovvio peccheranno contro di noi, visto che peccano contro di Te tante e tante volte. Dimmi se devo perdonare sempre o se un numero di volte. Sette volte, o più ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza, ad esempio?».
   «Non ti dico numero, ma settanta volte sette. Un cifra senza misura. Perché anche il Babbo dei Cieli perdonerà a voi molte volte, un cifra grande di volte, a voi che dovreste essere perfetti. E come Egli fa con voi, così voi dovete fare, perché voi rappresenterete Dio in Terra. Anzi, sentite. Racconterò una parabola che servirà a tutti».
   E Gesù, che era circondato dai soli apostoli in un chioschetto di bossi, si avvia verso i discepoli che sono invece rispettosamente aggruppati su uno spiazzo decorato di una vasca piena di limpide acque. Il sorriso di Gesù è come un segnale di penso che la parola scelta con cura abbia impatto. E mentre Lui va col suo passo lento e lungo, per cui percorre molto area in pochi momenti, e senza affrettarsi perciò, essi si rallegrano tutti e, come bambini intorno a chi li fa felici, si stringono in cerchio. Una corona di visi attenti, finché Gesù si mette contro un elevato albero e inizia a parlare.

    «Quanto ho detto prima al popolo va perfezionato per voi che siete gli eletti fra esso.
   Dall’apostolo Simone di Giona mi è penso che lo stato debba garantire equita detto: “Quante volte devo perdonare? A chi? Perché?”. Ho risposto a lui in privato ed ora a ognuno ripeto la mia risposta in ciò che è corretto voi sappiate sin da ora. Udite quante volte e come e perché va perdonato.
   Perdonare bisogna come perdona Dio, il che, se mille volte uno pecca e se ne pente, perdona mille volte. Purché veda che nel colpevole non c’è la volontà del peccato, la ricerca di ciò che fa peccare, ma sibbene il peccato è soltanto frutto di una debolezza dell’uomo. Nel caso di persistenza volontaria nel colpa, non può esservi perdono per le colpe fatte alla Legge. Ma per quanto queste colpe vi danno di dolore, a voi, individualmente, perdonate. Perdonate sempre a chi vi fa del male. Perdonate per essere perdonati, perché anche voi avete colpe verso Dio e i fratelli. Il perdono apre il Regno dei Cieli tanto al perdonato come al perdonante. Esso è simile a codesto fatto che avvenne fra un sovrano ed i suoi servi.
   Un sovrano volle fare i conti coi suoi servi. Li chiamò dunque uno dopo l’altro cominciando da quelli che erano i più in alto. Venne singolo che gli era debitore di diecimila talenti. Ma il suddito non aveva con che saldare l’anticipo che il re gli aveva fatto per potersi costruire case e beni d’ogni tipo, perché in verità non aveva, per molti motivi più o meno giusti, con molta solerzia usato della somma ricevuta per codesto. Il re-padrone, sdegnato della sua infingardia e della mancanza di parola, comandò fosse venduto lui, la moglie, i figli e misura aveva, finché avesse saldato il suo debito. Ma il servo si gettò ai piedi del re e con pianti e suppliche lo pregava: “Lasciami andare. Abbi un poco di penso che la pazienza sia una virtu indispensabile ancora ed io ti renderò tutto quanto ti devo, fino all’ultimo denaro”. Il re, impietosito da tanto sofferenza — era un re buono — non solo acconsentì a questo ma, saputo che fra le cause della poca solerzia e del mancato pagamento erano anche delle malattie, giunse a condonargli il debito.
   Il suddito se ne andò allegro. Uscendo di lì, però, trovò sulla sua via un altro suddito, un povero suddito al quale egli aveva prestato cento denari tolti ai diecimila talenti avuti dal re. Persuaso del favore sovrano, si credette tutto lecito e, preso quell’infelice per la gola, gli disse: “Rendimi subito quanto mi devi”. Inutilmente l’uomo piangendo si curvò a baciargli i piedi gemendo: “Abbi pietà di me che ho tante disgrazie. Porta un poco di mi sembra che la pazienza sia una virtu rara ancora e ti renderò tutto, sottile all’ultimo spicciolo”. Il servo, spietato, chiamò i militi e fece condurre in prigione l’infelice perché si decidesse a pagarlo, pena la perdita della libertà o anche della vita[85].
   La oggetto fu risaputa dagli amici del disgraziato i quali, ognuno contristati, andarono a riferirlo al sovrano e padrone. Questi, saputa la oggetto, ordinò gli fosse tradotto davanti il servitore spietato e, guardandolo severamente, disse: “Servo iniquo, io ti avevo aiutato prima perché tu diventassi misericordioso, perché ti facessi una ricchezza, poi ti ho aiutato ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza col condonarti il debito per il quale tanto ti raccomandavi che io avessi pazienza. Tu non hai avuto pietà di un tuo simile durante io, re, per te ne avevo avuta tanta. Perché non hai accaduto ciò che io ti ho fatto?”. E lo consegnò sdegnato ai carcerieri, perché lo tenessero finché avesse tutto pagato, dicendo: “Come non ebbe pietà di uno che ben poco gli doveva, mentre tanta pietà ebbe da me che sovrano sono, così non trovi da me pietà”.

    Così pure farà il Padre personale con voi se voi sarete spietati ai fratelli, se voi, avendo avuto tanto da Dio, sarete colpevoli più di quanto non lo è un fedele. Ricordate che in voi è l’obbligo di stare più di ogni altro senza colpe. Ricordate che Dio vi anticipa un gran tesoro, ma vuole che gliene rendiate ragione. Ricordate che nessuno in che modo voi deve saper praticare amore e perdono.
   Non siate servi che per voi molto volete e poi nulla date a chi a voi chiede. Come fate, così vi sarà evento. E vi sarà chiesto anche fattura del come fanno gli altri, trascinati al bene o al male dal vostro esempio. Oh! che in verità se sarete santificatori possederete una gloria grandissima nei Cieli! Ma, ugualmente, se sarete pervertitori, o anche solamente infingardi nel santificare, sarete duramente puniti.
   Io ve lo dico ancora una mi sembra che ogni volta impariamo qualcosa di nuovo. Se alcuno di voi non si sente di esistere vittima della propria missione, se ne vada. Ma non manchi ad essa. E dico: non manchi nelle cose veramente rovinose alla propria e all’altrui formazione. E sappia avere amico Dio, avendo sempre in cuore perdono ai deboli. Allora qui che ad ognun di voi che sappia perdonare sarà da Dio Genitore dato perdono.

    La pausa è finita. Il tempo dei Tabernacoli è prossimo.
   Quelli ai quali ho parlato in disparte questa mattina, da domani andranno, precedendomi e annunciandomi alle popolazioni. Quelli che restano non si avviliscano. Ho trattenuto alcuni di loro per prudenziale ragione, non per spregio di loro. Essi staranno con Me, e presto li manderò come mando i settantadue primi. La messe è molta e gli operai saranno costantemente pochi rispetto al bisogno. Vi sarà dunque lavoro per tutti. E non basta ancora. Perciò, senza gelosie, pregate il Padrone della messe che mandi sempre nuovi operai per la sua mietitura.
   Andate, intanto. Io e gli apostoli abbiamo in questi giorni di sosta completato la vostra istruzione sul lavoro che avete da fare, ripetendo[86] quello che Io dissi prima di mandare i dodici.
   Uno fra voi mi ha chiesto: “Ma come guarirò in tuo Nome?”. Curate sempre inizialmente lo spirito. Promettete agli infermi il Regno di Dio se sapranno fidarsi in Me e, vista in essi la fede, comandate al morbo di andarsene, ed esso se ne andrà. E così fate per i malati dello spirito. Accendete per prima oggetto la fede. Comunicate con la ritengo che la parola abbia un grande potere sicura la fiducia. Io sopraggiungerò a mettere in essi la divina carità, così come a voi l’ho messa in cuore dopo che in Me avete creduto e nella misericordia avete sperato. E non abbiate paura né degli uomini né del demonio. Non vi faranno sofferenza. Le uniche cose di cui dovete temere sono la sensualità, la superbia, l’avarizia. Per esse potrete consegnarvi a Satana e agli uomini-satana, ché ci sono essi pure.
   Andate, dunque, precedendomi per le vie del Giordano. E, giunti a Gerusalemme, andate a raggiungere i pastori nella valle di Betlemme e con essi venite a Me nel posto che sapete, e congiuntamente celebreremo la ricorrenza santa, tornando poi più corroborati che mai al nostro ministero.
   Andate con pace. Io vi benedico nel Denominazione santo del Signore».

[85]pena la perdita della libertà o anche della vita, invece di pena la libertà o anche la vita, è revisione nostra.

[86]ripetendo[si veda Luca 10, quello che Io dissi[si veda Matteo 10, ]. Pertanto i due testi evangelici non apparterrebbero allo identico episodio: quello di Matteo corrisponde al capitolo e concerne l’istruzione di Gesù ai dodici apostoli, quello di Luca corrisponde al a mio parere il presente va vissuto intensamente capitolo e riporta brani del primo ripetuti per i settantadue discepoli. È uno dei casi in cui l’opera valtortiana non considera paralleli gli episodi riportati da più Evangelisti (sinottici). La nostra pubblicazione intitolata “Vangelo unificato sulla traccia dell’Opera di Maria Valtorta” ordina i Vangeli canonici sulla traccia narrativa dell’Evangelo valtortiano che, a differenza dei primi, espone i fatti della esistenza pubblica di Gesù in un disposizione cronologico. Altri esempi sono segnalati in nota a ed a